Margherita D’Amico, La Repubblica 17/6/2013, 17 giugno 2013
LA CORREZIONE DI FRANZEN “IO, PALADINO DEGLI UCCELLI NON È VERO CHE ODIO I GATTI”
ROMA — «Non provo alcuna antipatia preconcetta per i gatti, né l’ho mai espressa» dice adesso Jonathan Franzen. Se non è un pentimento, almeno l’aria di essere una correzione di rotta ce l’ha. Lo scrittore americano — da sempre appassionato birdwatcher — si è infatti trovato coinvolto in una furibonda polemica su Facebook. Al centro c’è la sua presunta ostilità verso i felini, accusati di uccidere ogni anno negli Usa sterminate quantità di uccellini. Sovrapponendo le intenzioni letterarie a quelle personali, i social network fremono da settimana attribuendo all’autore di “Freedom” gli stessi disegni del suo protagonista. Walter Berglund, nel romanzo, arriva infatti a studiare il modo di eliminare il micio dei vicini che attenta ai volatili, cui lo lega un amore ossessivo. Quanto basta per dire che uno dei più popolari scrittori del mondo «ama gli uccelli a tal punto da odiare i gatti».
«Non è vero ma trovo tuttavia che i gatti randagi negli Stati Uniti rappresentino un problema ambientale» spiega a Repubblica Franzen, mai dichiarato animalista ma strettamente birdman: l’interesse verso le altre specie concentrata in modo esclusivo sugli uccelli attraverso una passione ormai celebre. «Studi recenti indicano che fra esemplari selvatici e domestici i gatti uccidono ogni anno fra uno e tre miliardi di uccelli. Dopo la distruzione degli habitat, sarebbero la seconda causa del declino della popolazione dei piccoli uccelli».
La ricerca in questione porta la firma dello Smithsonian Conservation Biology Institute di Washington, che ha moltiplicato il numero delle predazioni alate attribuite ai felini d’oltreoceano, un tempo valutate attorno alle cinquecentomila unità. Secondo alcuni si tratterebbe del solito modo di deviare l’attenzione dalle responsabilità umane — inquinamento, cementificazione, caccia — prendendosela con gli animali. Stimati, nel caso dei felini, in ottantacinque milioni sul territorio statunitense, dove peraltro è usanza sopprimere i randagi nelle camere a gas.
Non è Franzen, in ogni caso, a sottovalutare l’impatto dell’uomo sui padroni del cielo, tanto da aver coprodotto con Roger Kass un docufilm sugli orrori del bracconaggio presentato sabato al Documentary film festival di Sheffield. “Emptying the Skies”, commentato dal lungo applauso di una platea in piedi, trae ispirazione dall’omonimo reportage pubblicato nel 2010 sul New Yorker: allora lo scrittore riferì delle stragi di migratori compiute illegalmente fra Italia, Spagna, Malta e Cipro. Protagonisti della pellicola sono tre volontari italiani di un’organizzazione internazionale specializzata nel contrasto all’uccellagione. Andrea Rutigliano, Sergio Coen e Piero Liberati sono stati seguiti per oltre un anno passando dalla nostra penisola alla Francia, fino a Cipro e Malta, dal regista Donald Kass. Sullo schermo, lo stesso Franzen commenta le imprese volte a liberare gli uccelli superstiti fra i prigionieri di cappi di ferro, tagliole e reti.
Aggiunge lo scrittore: «Il film ci dà anche l’occasione di sostenere l’impegno di questi ragazzi. In Italia, ma non solo, i danni prodotti dalla caccia di frodo sono incalcolabili. Mentre la maggior parte degli italiani ama animali e natura, deplorando il bracconaggio». Le devastazioni arrecate dai cacciatori ridimensionano le colpe dei felini, senza però scagionarli in via definitiva: «Non tutti i gatti sono predatori di uccelli, ma chiunque ne abbia osservato uno che al contrario possa definirsi bird-killer e consideri per giunta l’immensa popolazione felina degli Usa, non farà fatica a credere al colossale numero di uccisioni». Oltretutto, conclude Franzen, «andarsene in giro non è senza pericolo per i gatti, dimezza la loro aspettativa di vita. Tenere in casa almeno quelli domestici tutelerebbe l’ambiente e i felini stessi. «Una convinzione non condivisa da chi desideri regalare al micio un po’ di wildlife, ma figlia di un sogno di pacificazione con le altre creature oggi umanamente difficile.