Vittorio Sabadin, La Stampa 18/6/2013, 18 giugno 2013
COSÌ L’IRLANDA DEL NORD È DIVENTATA UN ESEMPIO DI PACE
L’ Irlanda del Nord è l’unico Paese al mondo ad avere una Commissione per le parate, che stabilisce come si devono tenere. Le parate sono ancora, a Belfast e nel resto dell’Ulster, la principale occasione di scontri tra cattolici e protestanti, e non bisogna pensare che questi siano fenomeni recenti. Va avanti così da secoli, da quando nel 1690 Guglielmo d’Orange sconfisse Giacomo II imponendo ai sudditi la fede protestante, e andrà avanti così per molto tempo ancora, grazie alla feroce tenacia di questo popolo. Come diceva Sigmund Freud, gli irlandesi sono una strana gente, per la quale nemmeno la psicanalisi è di alcun aiuto.
Giugno e luglio sono i mesi nei quali la Parades Commission ha più da fare, perché sono quelli con ricorrenze da entrambe le parti. Così, quando ad esempio i protestanti vogliono festeggiare la vittoria di Guglielmo, i cattolici, ai quali la Commissione ha inutilmente vietato di farsi vedere in giro, sbarrano loro la strada. Oggi si tirano pugni e sassi e la polizia usa il manganello, ma fino a poco tempo fa si sparava e si lanciavano bombe. Dal 1969 al 2011, più di 1500 persone sono morte a Belfast in questo modo, ovviamente non solo per questioni religiose: i cattolici sono repubblicani e vogliono un’Irlanda unita e libera, i protestanti sono fedeli all’Inghilterra, la patria dei loro trisavoli.
Belfast è ancora divisa da più di 90 muri, eretti da entrambe le parti per tenere a distanza i rivali. Il governo ha annunciato che li abbatterà, ma solo a partire dal 2023, perché a qualcosa servono ancora. Anche ad ospitare i murales che sfogano in modo pacifico il rancore e sono diventati una delle attrazioni della città: quelli protestanti a Highfield, Woodvale e Lower Shankill, quelli cattolici a Clonard, Beechmount e Bally Murphy. Poiché non è bello chiamarli muri, sono stati battezzati Peace Lines, linee di pace. D’altra parte, anche la guerra civile che ha insanguinato con inumane atrocità Belfast per più di 30 anni è definita nei libri di storia semplicemente come «The Troubles», i disordini, forse per ovattare una realtà difficile da rivangare.
Tutto è cominciato ovviamente durante una parata, nel 1969, quando le solite scaramucce si trasformarono in una battaglia di quattro giorni con morti e feriti, case e negozi incendiati, e la minoranza cattolica costretta a subire un vero e proprio pogrom. Il gruppo terroristico della Provisional Irish Republican Army nacque in quei giorni, con una «provvisorietà» destinata a durare a lungo e con lo scopo di difendere i cattolici dai protestanti e combattere in ogni modo l’Inghilterra.
Molte ricostruzioni e molti film ci hanno abituati a pensare ai terroristi dell’Ira come a patrioti oppressi dalle crudeli forze di occupazione britanniche, ma in realtà c’erano patrioti e farabutti da entrambe le parti e le brutalità commesse negli Anni 70 e 80 hanno avuto responsabili in ogni schieramento. I soldati mandati da Londra per dividere le fazioni hanno sparato contro la folla nella Bloody Sunday, la domenica di sangue di Derry, uccidendo 13 persone, ed è vero che picchiavano e torturavano i prigionieri. Odiavano l’Ira che li massacrava quasi ogni giorno, causando centinaia di vittime, di feriti e mutilati dalle bombe. Il caos di Belfast era poi l’ambiente giusto anche per le vendette private e per le bande criminali come i Macellai di Shankill, che attaccavano i cattolici nelle loro case, torturandoli e mutilandoli prima di finirli tagliando loro la gola.
Le devastazioni e le morti di civili, di donne e bambini causate dalle bombe in Irlanda e a Londra non avrebbero consentito all’Ira di sopravvivere a lungo alla condanna del mondo, se i terroristi non avessero trovato i loro eroi, come Bobby Sands e i suoi compagni. Bobby aveva solo 27 anni quando nel 1981 si lasciò morire di fame nel carcere di Long Kesh per ottenere lo status di prigioniero politico che il governo inglese aveva negato ai terroristi, e altri nove detenuti seguirono nei mesi successivi il suo esempio. Recenti ricerche hanno rivelato che il governo aveva segretamente accettato cinque delle sei richieste dei detenuti, un’apertura che forse sarebbe bastata a fare loro sospendere la protesta. Ma i capi dell’Ira, in particolare Gerry Adams, non avrebbero fatto arrivare la notizia in carcere, poiché sul piano politico Bobby e i suoi compagni servivano più da morti che da vivi.
Anche se l’allora premier Margaret Thatcher aveva davvero ceduto alle richieste, in Parlamento non lo diede certo a vedere: «Bobby Sands disse - era un criminale. Ha scelto di togliersi la vita, una scelta che l’organizzazione alla quale alla quale apparteneva non ha concesso alle sue molte vittime». Tre anni più tardi, l’Ira ricambiò tanto disprezzo mettendo nove chili di tritolo nell’albergo di Brighton dove si teneva il congresso del partito conservatore. La Thatcher si salvò perché il convegno era ospitato in un robusto edificio vittoriano, che crollò solo in minima parte. La Lady di ferro, nella notte, decise che l’indomani avrebbe comunque tenuto il suo discorso e chiese a Marks & Spencer di aprire il magazzino un po’ prima, perché chi aveva perso i vestiti nell’attentato potesse comprarsene di nuovi .
Sono stati Bill Clinton e John Major alla fine degli Anni 80 a capire che la politica avrebbe potuto avere successo dove armi e repressione avevano fallito e ad aprire una trattativa con il Sinn Féin, il partito politico dell’Ira, che ha portato alla pace e all’accordo che ora vede al governo protestanti e cattolici insieme. Nel 2002 l’Ira ha chiesto scusa per le vittime civili che ha causato in trent’anni di attentati e nel 2005 ha dichiarato la fine della lotta armata. La regina Elisabetta ha sancito questa pace con la visita a Belfast dell’anno scorso, ribadendo «il diritto dei cittadini nordirlandesi che si sentono irlandesi di essere trattati con uguali diritti di quelli che si sentono britannici». Elisabetta, che mette sempre il dovere davanti alle emozioni personali, è arrivata a stringere la mano a Martin McGuiness, uno dei responsabili dell’attentato che nel 1979 aveva ucciso suo cugino, Lord Louis Mountbatten, l’ultimo viceré dell’India. Ma suo marito Filippo non ce l’ha fatta. Mountbatten era stato per lui un padre e un vero amico e quando McGuiness si è avvicinato per parlargli, Filippo se ne è andato. Le nuove generazioni cancelleranno sicuramente il passato, ma per chi lo ha vissuto è sempre difficile dimenticare.