La Stampa 18/6/2013, 18 giugno 2013
DUE ANNI PER METTERE IN SICUREZZA PIÙ DI METÀ DEL COMMERCIO MONDIALE
Il titolo lo propongono gli europei, dicono che è il «più grande accordo bilaterale della Storia». I numeri li mette Barack Obama, che attribuisce all’universo degli affari transatlantici la competenza per metà della ricchezza generata sul globo terracqueo, con un trilione di dollari di merci e servizi venduti ogni anno e quattro di investimenti reciproci, e 13 milioni di posti direttamente collegati. Cifre stellari che possono solo crescere una volta aboliti i dazi e le barriere agli scambi. «Altre centinaia di migliaia di posti di lavoro», stima il presidente americano, per un’intesa che non sarà facile. «Non perderemo di vista il premio finale - promette il capo della Commissione Ue, José Manuel Barroso -. E alla fine ce la faremo».
Erano tutti ottimisti ieri pomeriggio quando sono apparsi insieme sotto il tendone bianco a poche centinaia di metri da Lough Erne, il complesso alberghiero a cinque stelle dell’Irlanda del Nord dove è cominciato il vertice degli otto Grandi del pianeta. Senza cravatta e in camicia il padrone di casa, il premier britannico David Cameron, felice come una Pasqua. Alla sua destra Barroso, Obama, il presidente del Consiglio Herman Van Rompuy, che la giacca se la sono tenuta, alla faccia del clima informale della riunione. Giusto sorridere, almeno ora, «il confronto parte a Washington in luglio». Chiusura nel 2015. Si spera.
I due blocchi si studiano da sempre, hanno radici comuni e la tendenza a divergere. Nella rivoluzione degli assetti economici globali, hanno ripreso a guardarsi con interesse costruttivo, anche se quelli che possono scegliere sono gli States, che nel menu hanno una possibile alleanza con l’Europa - come sarebbe più naturale -, un rischioso G2 con la Cina, o ancora un blocco continentale con gli emergenti sudamericani. Al momento, Obama guarda solo oltreoceano e annuncia, «è una rivoluzione».
Certo è un’occasione da non perdere, un passaggio in cui l’Europa deve mantenere i nervi saldi, gli stessi che sull’eccezione culturale sono saltati. La Francia ha puntato i piedi e ha chiesto di tenere cinema e televisione fuori dal mandato negoziale. I partner europei glielo hanno concesso disperati per non bloccare il dossier. Alla Commissione, cioè in casa del negoziatore, l’hanno presa male e Barroso ha dato del reazionario a chi cerca di frenare l’economia globale.
La risposta di Hollande non si è fatta attendere. «Non posso credere abbia pronunciato quelle parole - ha replicato il presidente francese -. L’eccezione culturale è sempre stata fuori dai negoziati internazionali: non c’era bisogno di metterlo in questo». A Bruxelles la pensano diversamente, e hanno già detto che in un secondo tempo potrebbero cambiare idea. E’ una provocazione, visto che il dietrofront richiederebbe l’unanimità e, dunque, riaprirebbe la ferita in senso all’Unione.
Si può vincere se compatti, consapevole che l’America non esiterà a mettere qualche trappola sul percorso. Washington non ha definito il mandato, manca il sigillo del Congresso. Voci insistenti rivelano che potrebbero saltare i servizi finanziari, sebbene non sia noto se, e cosa, gli americani chiederanno in cambio dell’eccezione culturale. Più fonti ipotizzano i trasporti marittimi e la protezione geografica degli alimenti.
Non si deve cadere nella trappola.
La Transatlantic Trade and Investment Partnership, «Ti-Tip» come la chiama Obama, è una chiave necessarie per stimolare la ripresa. Lo è perché elimina i dazi, perché toglie le barriere agli investimenti e perché i titolari del mezzo pil planetario possono fissare gli standard. Un esempio. Se una ditta italiana fabbrica 20 mila t-shirt, metà per gli Usa e metà per il mercato interno, non può vendere negli States un eventuale residuo europeo perché l’etichetta per il lavaggio è diversa. Con regole omogenee, potrebbe spedire i capi a New York e oltre. Eviterebbe una perdita, magari guadagnerebbe. E farebbe contenti i consumatori a stelle e strisce.