Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 18/6/2013, 18 giugno 2013
LA UE AMMETTA GLI ERRORI SULL’AUSTERITY ITALIANA
Gli errori della politica europea del rigore senza crescita appaiono evidenti se si considera che persino la Germania non cresce più. Dopo essersi illusa di poter vivere esclusivamente di esportazioni extra-Ue, Berlino deve prendere atto che se l’Europa si ferma, si ferma anche la macchina tedesca. Ciò a dispetto del fatto che la Germania sia considerata il Paese più competitivo al mondo e quello che ha realizzato le più importanti riforme degli ultimi anni. Ma né la competitività né le riforme bastano se il grande mercato europeo in cui la Germania è profondamente immersa si prosciuga, letteralmente, attorno a lei. Marco Fortis
Continua da pagina 1 C iò a seguito della più meccanica applicazione di un’austerità fiscale in parte necessaria ma spinta ottusamente così all’eccesso al punto da mettere in ginocchio quella che era considerata la più grande conquista dell’euro: una moneta unica per servire una grande domanda domestica continentale comune che avrebbe reso tutti più prosperi. Stiamo invece diventando tutti più poveri, mentre altrove nel mondo gli altri crescono. Molti errori sono stati compiuti dall’eurozona nella gestione della crisi. Innanzitutto, un errore drammatico di autorappresentazione verso i mercati. Come è stato possibile che l’eurozona diventasse nella percezione mondiale il "buco nero" del debito? I numeri raccontano una realtà tutta diversa. Basti pensare che nel lontano 1995 il debito pubblico dell’eurozona e degli Stati Uniti erano all’incirca uguali, pari a poco più di 4mila miliardi di euro correnti e quello giapponese era intorno ai 3.400 miliardi. Secondo le proiezioni della Commissione Europea, invece, nel 2014 il debito pubblico Usa sarà diventato nettamente il più alto, superiore ai 14.400 miliardi di euro, ben 5mila miliardi superiore a quello dell’Eurozona, che nel frattempo sarà stato raggiunto da quello del Giappone, cioè una singola nazione che ha un Pil grande la metà del Pil dell’area della moneta unica. Senza contare che i debiti privati di Usa e Giappone sono ben più alti di quelli dei Paesi dell’eurozona. Ma Stati Uniti e Giappone crescono e non fanno paura ai mercati mentre l’Eurozona va indietro e fa fuggire gli investitori. La crisi finanziaria globale è nata in America ma si è di colpo trasferita nel vecchio Continente nel 2010-2011 anche per la lenta capacità politica dell’eurozona di affrontare l’emergenza di un piccolo Paese, la Grecia, che è stato soccorso tardi e male, con una progressiva estensione del contagio sovrano ad altre economie. Tra queste ultime, sono entrate nel mirino della sfiducia dei mercati anche due grandi economie: una effettivamente mal ridotta, la Spagna, messa in ginocchio da una bolla immobiliare spaventosa e con 1/3 del sistema bancario di fatto fallito; l’altra, l’Italia, con problemi storici mai risolti ed eternamente rinviati, ma a ben vedere, non messa poi così male. In primo luogo, l’Italia per vent’anni aveva sempre onorato puntualmente il suo alto debito pubblico/Pil con un avanzo primario cumulato record dello Stato dal 1995 al 2011 (il doppio, in miliardi di euro, di quello tedesco). Del resto, diversamente dai Pigs, l’Italia è un Paese con un alta ricchezza finanziaria netta delle famiglie, a cui i governi nazionali hanno sempre attinto a piene mani per imporre nuove tasse anziché tagliare le spese improduttive e gli sprechi. Una ricchezza talmente alta che nel 2007 il debito pubblico italiano in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie era persino più basso di quello tedesco! Come è stato possibile, allora, che l’Italia diventasse nella percezione generale il "buco nero" del debito europeo? In secondo luogo, non è in fondo la stessa Commissione europea ad aver sempre detto che allo scoppio della crisi mondiale noi italiani avevamo le banche più solide, un alto risparmio privato e una forte economia reale? Certo, nel 2011 l’Italia e il suo governo hanno fatto di tutto per dare ai mercati una pessima immagine e la sensazione di un Paese allo sbando, senza una guida autorevole. Ma il nostro Paese aveva allora un forte problema di perdita di credibilità politica sul piano internazionale, non un problema di fondamentali economici degradati. Infatti, il debito pubblico/Pil italiano dal 2008 al 2011 era tra quelli cresciuti di meno, assieme ai debiti olandese e tedesco. Lo stesso vale per il tasso di disoccupazione, cresciuto percentualmente di meno in Italia rispetto agli Stati Uniti e agli altri maggiori Paesi europei esclusa la Germania. Quanto ai consumi privati, quelli italiani nel 2011 erano tornati in termini reali agli stessi livelli del 2008 pur senza il supporto di quelle politiche espansive che avevano sostenuto Germania, Francia e Usa, mentre i consumi dei Pigs ma anche di Olanda e Gran Bretagna erano franati. Dunque la nostra performance economica non era poi tanto distante da quella di Paesi percepiti come "solidi". Tuttavia, a metà del 2011 l’immagine dell’Italia, colpita al cuore da scandali politici ed afflitta da una confusa capacità di risposta di governo, nonché mal rappresentata dal cumulato di anni di autodenigrazione in cui purtroppo siamo stati (e siamo tuttora) tristemente maestri, era davvero caduta ai minimi storici. In seguito, l’Italia del governo dei "tecnici" ha recuperato meritoriamente la credibilità perduta ma la cura "greca" che l’Europa ha imposto all’Italia (e che i "tecnici" hanno fatto poco per contestare o mitigare con misure anche rivolte allo sviluppo) è stato un errore clamoroso. Un errore per l’Italia e per l’Europa stessa. Lo dimostrano i dati nudi e crudi. L’Italia è andata molto indietro. Avrà pure chiuso la procedura di infrazione europea sul deficit ma il debito pubblico italiano dal 2011 al 2014 sarà tra quelli cresciuti di più, così come il tasso di disoccupazione, mentre i consumi delle famiglie italiane saranno crollati di quasi il 6%. Anziché migliorare, la nostra performance si è degradata quasi a livello di un qualsivoglia Paese "periferico". Inoltre, una Italia fiaccata nella domanda interna non ha giovato nemmeno all’Europa che ha finito col soffrire di un contagio ben più grave di quello finanziario, cioè il contagio della depressione economica. Il primo avrebbe potuto essere facilmente controllato con una vera governance europea e una maggiore solidarietà, mentre si è dovuto attendere l’intervento supplente di Mario Draghi nell’estate del 2012 per porvi una pezza. Il contagio della depressione economica, invece, si è esteso progressivamente dai Paesi "periferici" alla Spagna e all’Italia e ora anche a Francia e Germania, con un’esplosione della disoccupazione giovanile nel continente europeo che deve preoccupare perché può mettere a repentaglio la stabilità sociale e che perciò, giustamente, sarà al centro dei prossimi vertici europei. Forse il contagio finanziario alla fine sarà superato. Ma ben maggiori e in parte irreversibili saranno gli strascichi a medio-lungo termine che la cura del rigore senza crescita ha prodotto all’economia italiana ed europea, distruggendo capacità produttiva e posti di lavoro. Occorre, al più presto, ridare spazio allo sviluppo.