Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 18/6/2013, 18 giugno 2013
L’AGENDA GLOBALE DELLE «3 T»
Non c’è bisogno di scomodare l’Ecclesiaste per constatare che «c’è un tempo per tutte le cose...». Basta fare un salto a Loughe Erne in Ulster, ridente località di una terra in lacrime, dove oggi si chiude il G8, per capire che «c’è un tempo per l’economia e un tempo per la politica...». Déjà vu, si dirà, ricordando la storia della nascita, dello sviluppo e della crisi dell’euro per celebrare un precedente di disarmonia fra politica ed economia assai diverso e assai più epocale di quello che sta andando in scena ora al tavolo dei Grandi. Eppure le urgenze per uscire dalla crisi economica ritrovano il cammino globale in una clima di ricostituita fiducia, con il via a negoziati formali per intese commerciali euro-americane, a dispetto delle resistenze francesi sull’eccezione culturale. Parigi recalcitra, ma il cammino di un dialogo che ha un premio finale con molti zeri e milioni di posti di lavoro, se è vero che potrà liberare centinaia di miliardi di euro sulle economie dei due blocchi, è avviato. E lo è nella consapevolezza che l’interesse comune passa anche da quel pertugio di possibile, futuro grande accordo, prima T (trade) della triade che David Cameron ha messo in cima alla sua lista di ospite del summit. Si rafforza, in queste ore ancora interlocutorie, la volontà di accettare il compromesso anche sul fronte della seconda e terza T, evidenti nell’agenda del premier britannico: tasse e trasparenza. L’enfasi spesa nei giorni scorsi dal premier inglese per salutare l’accordo con i paradisi britannici nel Canale e Oltremare fa parte della debolezza autoreferenziale che è nel dna di un capo di governo. Ma sarebbe un errore liquidar tutto con una battuta perché in quest’epoca di lenta uscita dalla crisi riconosciuta dai Grandi (il contesto globale rimane debole hanno notato) l’urgenza di chiudere i buchi macroscopici della governance fiscale globale è sempre più evidente. Quanto lentamente si concretizzerà, lo capiremo con maggiore certezza oggi dopo gli ultimi ritocchi al comunicato finale, ma è un fatto che la lotta all’elusione delle grandi corporation ha ritrovato spazio. Per questo crediamo che il G8 di Lough Erne celebri il tempo dell’economia globale, nella versione espansiva prodotta dalle auspicate intese commerciali, e in quella del consolidamento, con la caccia al denaro disperso in "luoghi assolati per gente nell’ombra", vecchia immagine riadattata ai paradisi fiscali. Senza dimenticare il tema della lotta alla disoccupazione giovanile, fortemente voluto dal presidente Letta e ben recepito da Barack Obama e David Cameron. Resta sul fondo il tempo, fermo, della politica estera, tragicamente simbolizzato dalla paralisi internazionale dinnanzi alla guerra civile siriana. Di colpo le logiche della diplomazia ancien regime tornano dominanti, il dialogo formale salva a malapena le facce, svelando un contrasto che in altre epoche avrebbe potuto far naufragare il summit intero. Il doppio aspetto del vertice nordirlandese non poteva essere più evidente. L’imbarazzo per la fuga in avanti americana sulla proposta di armare le milizie siriane si è letto nei volti di molti, la tensione e il disagio solo in quella di Valdimir Putin che ad Assad le armi le ha sempre vendute. Il presidente russo è apparso eccentrico più del solito nel salotto buono del mondo, portatore come continua ad essere della tutela di antiche relazioni con il regime siriano per nulla scosse dalla lunga guerra civile. È toccato al premier canadese Stephen Harper, con una frase secca, identificare le differenze. «Non dobbiamo prenderci in giro. Noi, del G-7 più 1, perché di questo si tratta, noi occidentali, abbiamo una visione molto diversa su quanto sta accadendo». Parole che approfondiscono la crepa originaria e mai sanata che manda il mondo all’indietro, nella consapevolezza che dal tempo dell’economia - quello scandito a Loughe Erne - Mosca è largamente esclusa, non essendo né America né Unione europea e non avendo mai dimostrato gran zelo nella collaborazione alla lotta contro l’elusione. Da quello della politica non perde occasione per emarginarsi, riproponendo equilibri strategici che si credevano superati, costringendo, così, gli altri Grandi a doversi misurare, una volta di più, con l’eccezione russa.