Massimiliano Panarari, La Stampa 17/6/2013, 17 giugno 2013
LA STAR DELLA PORTA ACCANTO
Sette decenni. E non sentirli, né dimostrarli. Se si vogliono attraversare i mutamenti del mondo (e della società) nel corso della storia italiana della seconda parte della Repubblica il nome giusto è, sicuramente, quello di Raffaella Carrà.
Inimitabile e intramontabile, ancora oggi scoppiettante e pronta a calcare palcoscenici che hanno via via rinnovato codici e mode, così come ha saputo fare sempre l’artista di origini emiliano-romagnole, dalle apparizioni cinematografiche degli Anni 50 al «talent», quintessenza della modalità odierna di fare tv. Da quella in bianco e nero e con tratti pedagogici, nella quale contribuì a introdurre elementi di entertainment al ruolo da protagonista nella stagione trionfante della neotelevisione e, ancor più, della transtelevisione (come l’ha chiamato il sociologo Vanni Codeluppi), con format che fecero epoca quali «Pronto Raffaella?» e « C a r r à m b a ! Che sorpresa».
Smentita vivente del cliché del personaggio di spettacolo disordinato e sregolato, con la sua notoria enorme capacità di lavoro (e disciplina), la Raffa Nazionale è diventata, canzone dopo film, serie televisiva dopo conduzione di show, da «Canzonissima» a «Domenica In» sino a «The voice of Italy», un’artista totale della scena pop italiana (e anche internazionale, venerata da un angolo all’altro del continente latino-americano), oltre che una rabdomante capace di scovare, di volta in volta, pubblici diversi e nuovi.
Così, dal corpo in libertà (tra il giocoso e il sessuatissimo) del tuca tuca che segnò l’immaginario collettivo, al corpo a corpo con l’esuberante Roberto Benigni a «Fantastico 12», nel 1991, ha accompagnato il divenire della rappresentazione della corporeità su quel piccolo schermo che rappresenta la religione civile (e non di rado incivile) della nazione.
Tanto che se qualcuno volesse fare un’archeologia foucaultiana dei cambiamenti del modo di mettere in scena la sessualità in Italia non potrebbe prescindere dalla showgirl che non per niente campeggia con una voce dedicata anche sulla versione internettiana dell’Enciclopedia Treccani. E, infatti, assai verosimilmente, oltre alla colorata allegria almodovariana, la ragione della sua trasformazione in icona gay risiede proprio nel suo essere stata un sex symbol a proprio agio con la corporeità, democratico e alla portata di tutti, senza mai tirarsela.
In questa caratteristica è dato ritrovare l’altro motivo del suo successo e degli ascolti elevatissimi che hanno salutato le sue innumerevoli performance: una celebrity a tutto tondo, ma della porta accanto, o del pianerottolo di sopra. Un divismo acqua e sapone e «di prossimità» che ha visto l’abbattimento del diaframma e delle barriere tra l’animatore-conduttore e i telespettatori; e di cui Raffa, tra telefonate, «carrambate» e ricongiungimenti familiari ad alto impatto emotivo (con conseguenti attivazioni delle ghiandole lacrimali) è stata insuperabile maestra.
La Carrà è stata la campionessa indiscussa del genere nazionalpopolare non unicamente dal punto di vista – decisivo e fondamentale, ovviamente – dello show. Ma, a ben guardare, anche e soprattutto sotto il profilo più autenticamente «filosofico», in virtù del suo inguaribile e incrollabile ottimismo riguardo la natura e il carattere degli italiani. Un amore sincero per gli abitanti della Penisola che l’ha resa la profetessa di un nazionalpopolare praticato innanzitutto perché professato e creduto. E se non è mai stata, chiaramente, un’artista «engagée», ha saputo essere una donna dei propri tempi, con incursioni nel presente, dalla politica alla promozione della causa femminile.