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 2013  giugno 18 Martedì calendario

STOP ALLE INTERVISTE PROVOCATORIE

Nelle interviste i giornalisti devono evitare di rivolgere domande «allusive, suggestive e provocatorie», condite anche da «personali valutazioni» che finiscono per essere elementi di «concause della lesione dell’altrui onore e reputazione» rispetto alle parole dell’intervistato. Lo sottolinea la terza sezione civile della Cassazione, condannando l’ex giudice costituzionale Romano Vaccarella e il giornalista del quotidiano Il Foglio Andrea Marcenaro al risarcimento dei danni morali in favore del pool di Mani pulite per un’intervista nella quale si sosteneva l’esistenza di processi mediatici «per conseguire cospicui risarcimenti pecuniari per le pretese diffamazioni del loro operato di pm». Senza successo Vaccarella ha provato a sostenere che la sua elezione alla Consulta dal 2002 al 2007 gli dava il diritto a godere dell’immunità anche per le cause civili nate, a suo carico, negli anni precedenti, come quella intentatagli dal pool nel 1997, anno di pubblicazione dell’intervista incriminata. È così definitiva, per effetto della sentenza 15112 della terza sezione civile, presidente Giuseppe Berruti, relatore Franco De Stefano, la condanna per Vaccarella e Marcenaro a risarcire con 25 mila euro ciascuno l’ex capo del pool di Milano, Francesco Saverio Borrelli, e l’ex pm Gherardo Colombo, oltre ai magistrati ancora in servizio Ilda Boccassini, Piercamillo Davigo e Francesco Greco. In sede penale, invece, dopo la condanna in primo grado, in sede di appello, i due imputati furono prosciolti. Ma il pool si era in precedenza già costituito in sede civile. Per quanto riguarda la responsabilità di Marcenaro, i giudici della Cassazione condividono il punto di vista del pool che aveva rimarcato la «conclamata mancanza di obiettività da parte dell’intervistatore per l’evidente strumentalità delle domande alle risposte diffamatorie e per il carattere oggettivamente lesivo anche degli interventi riferibili esclusivamente all’intervistatore».
La Cassazione ritiene che non si può pretendere che i giornalisti siano dei «semplici trascrittori delle risposte altrui», oppure che non tengano «un atteggiamento asettico e sterile dinanzi a quanto riportato», perchè questo comporterebbe una «inammissibile serie di limitazioni alla manifestazione del pensiero, se non proprio atteggiamenti francamente censori». Tuttavia, i giornalisti possono essere ritenuti corresponsabili nell’intervista a un’altra persona quando con il loro «atteggiamento» concorrono «a dar luogo alla valenza o portata diffamatoria dell’intervista». In poche parole quando «interagiscono» con l’intervistato «in relazione al tenore delle singole domande poste, o del loro complessivo contesto, o ai commenti o alle premesse alle medesime, nonché alle modalità stesse della loro formulazione o struttura».
Nel caso concreto Marcenaro aveva affermato che i magistrati del pool non avevano presentato querela penale e aveva escluso che avrebbero destinato l’eventuale risarcimento a opere di beneficenza.