Roberto Giardina, ItaliaOggi 18/6/2013, 18 giugno 2013
E SE AVESSERO RAGIONE I TEDESCHI?
Dell’Economist si dice che sia attendibile fino a quando non scrive un articolo sul tuo paese. Lasciamo perdere gli articoli sull’Italia, che scatenavano sempre polemiche, anche perché, fino a un certo punto, li scriveva il cremonese Beppe Severgnini che il nostro paese ovviamente lo conosce anche se a modo suo.
L’ultimo numero è dedicato al «The reluctant hegemon», che sarebbe la Germania, colosso che opprimerebbe l’Europa secondo molti osservatori stranieri. Non tocca a me difendere i crucchi che sanno farlo benissimo da soli, però abito da troppo tempo tra loro, e un po’ mi sento solidale. Un riflesso automatico.
Bella, graficamente, la copertina, con le ali dell’aquila che si trasformano in sbarre imprigionando l’imperiale volatile. La «Welt am Sonntag» ripubblica alcune delle vecchie copertine dell’Economist a partire dal giugno 1999, quando, secondo il settimanale britannico, la Germania era il «grande malato» d’Europa. Nel dicembre 2002, è diventato «an uncertain giant». Rapida trasformazione in tre anni, non si spiega come. Eccoci all’agosto 2005: sempre l’aquila in copertina «che spiega le sue ali», e il titolo «Germany’ s supresinng economy». A sorprendersi solo i distratti britannici.
Nel febbraio 2006, la Porta di Brandeburgo e il titolo «Aspettando il miracolo». I tedeschi, scrive, avrebbero bisogno di una buona dose di ottimismo all’ americana. Va meglio nel marzo 2010, «Europe ’s Engine», il motore d’Europa. I tedeschi dovrebbero capire che abbassare le tasse sarebbe nel loro stesso interesse, si consiglia. Lo stanno facendo, a casa loro, le abbassano e lo stato incassa di più. Sembra che funzioni solo in Prussia, chissà perché.
L’anno scorso, in copertina, c’era la Merkel, e la domanda «Tempted Angela?», tentata dal fare andare in pezzi l’euro come inglesi e americani si augurano. «Molti tedeschi pensano di dover essere una sorta di Svizzera più grande, con un modesto peso politico», è il commento. Siamo alla vecchia battuta, che risale ai tempi di prima della riunificazione: un gigante economico, un nano politico. Superata dai tempi, ma è sempre comodo ricorrere ai luoghi comuni.
La Germania, per Londra, domina ma non guida. Peccato che, ogni volta Berlino tenti di avere idee differenti, l’accusa britannica sia sempre quella di un paese tentato dal passato, e si raffigura ieri Helmut Kohl con l’elmo chiodato di Bismarck, e oggi Angela con i baffetti di Hitler. All’inizio della crisi, la Merkel si guadagnò il soprannome di Madame Non, perchè diceva sempre «nein» ai partner europei: mentre vi mettete d’accordo, disse, io vado per la mia strada. E lei è uscita per prima dalla crisi. Analisi superficiale, d’accordo, ma forse varrebbe una riflessione.
Egemonia economica, e leadership politica? La Germania fu l’unica (con la Francia) a dire no alla guerra in Iraq, appoggiata con ogni mezzo, comprese le menzogne, da Tony Blair. I risultati si sono visti. La Merkel ha detto no alla guerra in Libia, voluta da Sarkozy per interessi suoi, e seguita stupidamente dall’Italia. Oggi è l’unica a non voler armare i ribelli in Siria, che sarebbero paladini della democrazia, ancora contro la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Berlino ha mandato giubbotti antiproiettile ma neppure un proiettile. E se avessero ragione i tedeschi? Egoisti o riluttanti, prepotenti o arroganti, qualunque cosa facciano, sbagliano.