Giovanni N. Ciullo, D - la Repubblica 15/6/2013, 15 giugno 2013
MUSEI S.P.A.
Qualcuno sostiene che "con la cultura non si mangia", ma questo sembra essere vero solo per la dieta italica. Soprattutto quando si parla di musei, e in quel campo l’abisso fra i caterpillar internazionali (diventati vere S.p.A, società per azioni con super fatturati e indotto a tanti zeri) e i carrozzoni di casa nostra è sempre più evidente. Gli ultimi dati non lasciano dubbi: fra i primi 20 musei al mondo, per numero di biglietti emessi, non c’è neanche un italiano (i Musei Vaticani, settimi in classifica, appartengono alla sede papale). Bisogna arrivare così al 23 posto per trovare gli Uffizi di Firenze, staccati dai primi della classe. Che sono, neanche a dirlo, i soliti noti. Nella top-5 ecco la National Gallery (quinta), la Tate Modern (quarta) e il British Museum (terzo) tutti a Londra, il Met di New York (secondo) e Sua Maestà il capoclassifica: il Louvre di Parigi, che con quasi 10 milioni di visitatori all’anno (per capirci:38 volte più della Pinacoteca di Brera, a Milano) genera da solo un volume d’affari superiore a tutti i musei italiani messi insieme. Merchandising, gadget, sponsor, bookshop, ristoranti stellati, eventi, sfilate, e-commerce: il conto economico di chi ha imparato a stare sul mercato continua ad arricchirsi di nuove voci. Il MoMa, al di là delle Demoiselles d’Avignon di Picasso, grazie alla diversificazione ha oggi un fatturato da far invidia a una multinazionale. Il Guggenheim di Bilbao nei primi sette anni di vita ha avuto ritorni economici 18 volte superiori all’investimento iniziale. Il nuovo Louvre di Lens, in una zona depressa della provincia francese, prevede ricavi 7 volte il costo sostenuto per la sua costruzione già nei primi 12 mesi di attività. Il Victoria & Albert Museum di Londra ha appena dato una dimostrazione di cosa significhi applicare il marketing a un museo: la monografica David Bowie is è stata sui giornali di mezzo mondo per mesi, attirando sponsorship record. Mentre si affacciano le tigri dell’arte Brics: fra i primi 20 super musei al mondo ecco il National Palace di Taipei, il National Museum di Seul, il Centro Cultural Banco do Brasil di Rio de Janeiro e lo Shanghai Museum. E ad Abu Dhabi, nel 2016, chi aprirà una super-sede in terra araba? Il solito Louvre. Tutto cominciò dal genio cinico di Tom Krens: definito in un libro sul tema (Museums Inc., di Paul Werner) una "Miranda da Il Diavolo investe al Guggenenheim". Direttore per molti anni del famoso museo newyorchese, fu il primo ad applicare una formula semplice e al passo con i tempi: "L’arte è una merce e va trattata come tutte le altre". Cioè, a scopo di lucro. Sdoganò così il binomio arte-business, trattò un Basquiat come un Big Mac, aprì filiali (come ogni multinazionale che si rispetti) in giro per il mondo (Bilbao, Venezia, Berlino, ecc.) e diventò ufficialmente il primo "amministratore delegato della cultura". "È negli Stati Uniti, con bookshop e caffetterie, che le cose hanno iniziato a cambiare", conferma Luigi Guiotto, docente di Marketing territoriale e dei musei presso sociologia a Milano Bicocca. "Ancora oggi sembra strano applicare il marketing ai musei, invece è la cosa più giusta e logica. Bisogna capovolgere la prospettiva: non considerare più la centralità delle collezioni, ma partire dalle esigenze del pubblico che non vuole più un museo venerabile e minaccioso, pronto a schiacciarti con la sua cultura. Da tempio,scuola e deposito, il museo S.p.A deve diventare sempre più simile a Facebook o Twitter: un luogo di aggregazione e di entertainment, come i social network. I siti internet in effetti sono oggi la prima cartina di tornasole per capire chi ha colto il cambiamento". Il neoministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, ne è convinto: i musei sono uno degli asset più importanti per l’azienda Italia. L’idea è di affidare ai privati quelli che lo Stato non valorizza, prolungare gli orari di apertura, migliorare l’aspetto divulgativo ("Spesso le brochure sono solo in italiano", ha lamentato il Ministro), utilizzare il web in un piano di collaborazione con l’Agenzia Italia per il digitale. "Non possiamo vivere di rendita", continua Guiotto. "Anche i nostri musei devo andare a cercarsi i "clienti", diventando visitor oriented. Pubblico contro privato? Parlerei piuttosto dei finanziamenti: escludendo i contributi statali c’è quello diretto (biglietti e servizi) e quello indiretto (soci e sponsor). Su questi due fronti bisogna lavorare". Stando al Country Brand Index il nostro è ancora oggi il Paese più ambito dai turisti stranieri, ma ormai da decenni non è il più visitato, superato da Francia, Spagna, Usa, Cina. Così anche i musei spesso sono vuoti. Tre confronti dicono tutto: 1) Roma ha 32 musei, contro gli 11 di Londra, ma appena un sesto dei suoi visitatori; 2) su 36 milioni di ingressi nei musei italiani, 20 milioni sono gratis; 3) i direttori di istituzioni come Uffizi o Galleria Borghese guadagnano quattro volte meno di un commesso della Camera. La Musei S.p.A. è lontana.