Davide De Luca, Il Post 19/12/2012, 19 dicembre 2012
IMU, GIOCATTOLI E DISEGUAGLIANZE
Non è vero che le vendite di giocattoli sono crollate del 20 per cento, non è vero che l’IMU è aumentata per tutti e non è vero che la spesa sociale in Italia è più bassa che nel resto d’Europa. Sono alcuni degli errori e delle inesattezze commessi ieri nella puntata di Ballarò.
Cominciamo con i numeri sbagliati: Francesco Pugliese, direttore generale della CONAD, per spiegare la gravità della crisi, ha sostenuto che le vendite dei giocattoli sono crollate del 20 per cento. Secondo Assogiocattoli le vendite di traditional toys, cioè di giocattoli che non sono videogiochi, sono calate del 2,3 per cento nell’ultimo anno. La Confesercenti stima che questo Natale le vendite di giocattoli scenderanno del 2-3 per cento, sostituite probabilmente da acquisti in smartphone e altri prodotti tecnologici.
Nel corso di un servizio, Silvio Berlusconi ha affermato che l’80 per cento delle famiglie italiane sono proprietari di immobili. Non è vero: secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, che risalgono al 2008, solo il 68 per cento delle famiglie vive in una casa di proprietà.
Sempre a proposito di abitazioni era (quasi) corretto il numero dato da Maurizio Landini, segretario della FIOM, secondo cui il 72 per cento di chi possiede una prima casa ha un reddito inferiore ai 26 mila euro: la cifra in realtà si riferisce a tutti quelli che possiedono almeno una casa.
È falsa un’altra affermazione di Landini, secondo cui in Italia la spesa sociale sarebbe inferiore a quella di gran parte dei paesi europei. Gli ultimi dati Eurostat, riferiti al 2010, mostrano che l’Italia spende lo 0,5 per cento del PIL in più rispetto alla media europea (29,9 per cento contro 29,4). Questa cifra ci rende l’ottavo paese d’Europa per spesa nella protezione sociale, a pari merito con il Belgio. Tra quelli che spendono meno di noi ci sono Regno Unito, Svizzera, Norvegia, Islanda, Irlanda, Spagna e Grecia. Spendono di più Francia, Germania, Olanda, Finlandia, Svezia, Austria e Danimarca.
Parlando di cose un po’ più complesse: Landini e Beppe Grillo (nel corso di un’intervista trasmessa dalla redazione) hanno affermato che l’IMU è un’imposta iniqua, regressiva – cioè che colpisce maggiormente i più poveri dei più ricchi – e che andrebbe aumentata sulle seconde case. Sono opinioni legittime, che però trascurano un fatto importante: l’IMU, rispetto alla vecchia ICI è un’imposta molto più progressiva e per il 75 per cento dei proprietari di prima casa costerà meno della vecchia ICI (in fondo all’articolo potete trovare una spiegazione più dettagliata).
Verso la fine della puntata si è parlato della distribuzione della ricchezza e dei redditi in Italia. Secondo Landini la ricchezza è distribuita in maniera sbagliata in senso assoluto e negli ultimi anni le diseguaglianze nella distribuzione si sono accentutate. L’economista Marianna Mazzuccato ha definito l’Italia un paese diseguale, senza specificare se in termini di distribuzione del reddito o della ricchezza.
Il reddito in Italia è distribuito in maniera diseguale, almeno rispetto alla media europea. Per la ricchezza invece è vero il contrario: non solo è più distribuita che in molti altri paesi, ma questa distribuzione è migliorata negli ultimi 30 anni. Lo sostiene la Banca d’Italia in un lungo documento sulla distribuzione della ricchezza. Pur con fasi alterne (e anche se i dati non sono estremamente affidabili), si può stimare che tra il 1978 e il 2008 la distribuzione della ricchezza sia considerevolmente aumentata.
Sempre nello stesso documento era presente anche la stima secondo cui il 10 per cento della popolazione italiana detiene il 40 per cento della ricchezza, numeri che all’epoca avevano fatto molto discutere. Ma questo valore è alto o basso se comparato al resto del mondo? Secondo alcune ricerche citate nel documento, il nostro paese sarebbe il meno diseguale tra tutti quelli analizzati (Svezia, Stati Uniti, Canada, Germania e Finlandia).
Torniamo all’IMU e spieghiamo perché in termini di equità e progressività è un passo avanti rispetto all’ICI (chi non è appassionato di calcoli può fermarsi qui). Per calcolare l’ICI bisognava prendere la rendita catastale della propria abitazione, aumentarla del 5 per cento, moltiplicarla per 105 per cento e, su questo imponibile, pagare le aliquote che andavano da un minimo di 0,4 per cento a un massimo dello 0,7 per cento. Per la prima casa era prevista una riduzione di 103 euro.
Il processo per calcolare l’IMU è identico, fatto salvo che il moltiplicatore non è più 105, ma 160 per cento.
Quindi l’IMU è più cara? Non necessariamente. La detrazione per la prima casa infatti è stata raddoppiata a 200 euro, con un aggiunta di 50 euro per ogni figlio minore di 26 anni residente nella casa. Il minimo di aliquota che il comune può stabilire è dello 0,2 per cento (non più 0,4 per cento) e quella massima è dello 0,6 per cento (non più 0,7 per cento).
Sulle seconde case (quelle che vorrebbe colpire Grillo) l’IMU è diventata molto più pesante. L’aliquota massima arriva infatti all’1,06 per cento (contro un massimo dello 0,7 er cento quando c’era l’ICI), mentre sono stati aboliti quasi tutti gli sconti per chi possiede immobili storici o di pregio.