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 2013  febbraio 08 Venerdì calendario

GELMINI, LOMBARDIA E ASILI

Ci occupiamo parecchio di scuola in questo fact-checking sulla puntata di Servizio Pubblico andata in onda ieri sera. In particolare verificheremo se è vera l’affermazione che il governo Berlusconi ha tagliato 8 miliardi alla scuola, se è vero che le classi italiane sono sovraffollate e di quanto sono effettivamente calate le immatricolazioni negli ultimi anni.

La Gelmini ha tagliato 8 miliardi alla scuola?
Cominciamo con un’affermazione di Nichi Vendola, molto diffusa negli anni passati: quando erano al governo, Giulio Tremonti e Mariastella Gelmini si sarebbero accordati per un taglio di 8 miliardi alla scuola. Avvertiamo subito che si tratta di un argomento spinosissimo, già a partire dalla definizione. Calcolare quanto si spende per l’istruzione è una bella gatta da pelare: bisogna definire che cos’è la spesa per istruzione, rintracciare nel bilancio dello stato e degli enti locali le voci che concorrono a quella spesa e infine fare un totale. Ad esempio, Eurostat – cioè l’ISTAT dell’Unione Europea - sul suo sito, aggiornato all’ottobre 2012, ha i dati sulla spesa in istruzione dei vari paesi europei soltanto per il 2004 e per il 2009.

Poi, bisogna differenziare quella che è la spesa del Ministero per l’istruzione (MIUR), che non coincide con la spesa pubblica per l’educazione. Nel bilancio del ministero ci sono ad esempio anche i costi della struttura burocratica stessa del ministero (circa un terzo del totale), mentre mancano i contributi che danno all’istruzione gli enti locali. Infine, quando nel bilancio dello stato si osserva la voce che ha per missione “istruzione scolastica”, bisogna ricordare che viene segnata, separatamente, la spesa per l’università.

Torniamo agli otto miliardi e chiariamo che ci stiamo occupando delle spese per l’istruzione scolastica (la spesa per l’università è più o meno invariata proprio dal 2009-2010). I famosi tagli di Gelmini facevano parte del DEF, il documento di economia e finanza, che prevedeva dei tagli al bilancio del ministero per un totale di circa 7,8 miliardi per i tre anni successivi (lo potete trovare qui: la tabella che ci interessa è a pagina 19). In gran parte però, non si trattava di risorse che uscivano dalla scuola: il 30% dei tagli, ad esempio, venne utilizzato per recuperare gli scatti di anzianità allo stipendio degli insegnanti sospesi l’anno precedente. Come potete verificare il taglio netto previsto tra 2010 e 2013 era di circa 3,5 miliardi.

Ma, già vi sentiamo dire, queste erano previsioni, come sono andate poi effettivamente le cose? Nel 2012 lo stato ha speso in tutto 41,9 miliardi per l’istruzione scolastica – esclusi sempre i contributi degli enti locali. Nel 2008, all’arrivo del governo Berlusconi, la spesa per istruzione era pari a 45 miliardi. In altre parole, di questo tagli da otto miliardi noi non abbiamo trovato nessuna traccia, ma ne abbiamo trovato uno da 3 e mezzo.

In Italia le classi sono sovraffollate?
Si e no e in senso assoluto no. Qualche accenno al fatto che in Italia ci sia un problema del genere è stato fatto sia da Meloni che da Vendola. Secondo l’ultimo rapporto OCSE la dimensione media di una classe italiana nella scuola primaria è di meno di 20 studenti. Nelle classi secondarie di poco più di 20. In entrambi i casi la media del paesi OCSE è superiore. Per fare alcuni esempi: Giappone, Francia, Germania, Stati Uniti, Svizzera, Danimarca e Finlandia hanno classi più affollate di quelle italiane.

Ovviamente in Italia esistono piccoli comuni o frazioni con classi composte anche da 12 studenti – e questo porta le classi nelle grandi città a superare a volte anche i 25 studenti. Questo però è un problema di distribuzione degli studenti e non di numero di classi. Secondo Gelmini le classi molto affollate (non ha specificato quanti studenti ha una classe “molto affollata”) sono lo 0,6%, secondo Repubblica le classi con oltre 25 alunni sono il 17%. Né l’ex ministro né il giornale si sono sentiti in dovere di comunicare la fonte di questi dati.

Gli asili nido lombardi
Lara Comi, eurodeputata del PdL, ha sostenuto che la Lombardia è la più dotata regione d’Europa per numero di asili nido e servizi all’infanzia. Non conosciamo un indice europeo di servizi all’infanzia – ma potete segnalarcelo se lo conoscete. Per quanto riguarda il numero di asili nido, ci siamo limitati a verificare se la Lombardia fosse la prima in Italia e abbiamo scoperto che non lo è. La Lombardia ospita nei suoi asili nido meno bambini, in percentuale, di Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Friuli-Venzia Giulia, della provincia autonoma di Trento, delle Marche e dell’Umbria.

La statistica ISTAT, però, non conta il numero di quelli che richiedono un posto in asilo nido e lo trovano, ma solo la percentuale di posti disponibili ogni cento abitanti tra gli 0 e i 2 anni. Nelle tabelle che potete scaricare dal link, sono presenti anche alcuni indicatori di “servizi innovativi” e “alternativi” per l’infanzia. Non sappiamo se si tratta degli stessi “servizi all’infanzia” indicati da Comi, ma segnaliamo che, anche in questo, per quanto sicuramente molto efficiente, la regione Lombardia non si trova nei primi tre posti delle regioni italiane.

La “produttività” della regione Lombardia
Secondo Lara Comi la Lombardia avrebbe una produttività superiore a quella di Austria, Spagna e Portogallo. La produttività è in sostanza la quantità di output – beni e servizi – che si riesce a realizzare a parità di input – risorse finanziare, umane e materie prime usate nel processo produttivo. L’accostamento di tre paesi così diversi, l’Austria che ha una produttività alta, il Portogallo che la ha bassissima e la Spagna che ha più o meno quella italiana, avrebbe dovuto far storcere subito il naso. Probabilmente Comi si è confusa e intendeva riferirsi alla produzione, cioè al PIL della Lombardia che è effettivamente superiore, o comparabile, con quello di Austria e Portogallo. Forse la Lombardia ha effettivamente un indice di produttività superiore a quello della Spagna – che ha un PIL 4 volte superiore a quello della Lombardia – ma noi non siamo stati in grado di trovare alcun indice comparabile.

Quanti sono gli insegnanti italiani e quanto sono pagati?
Giorgia Meloni ha sostenuto che gli insegnanti italiani sono i meno pagati d’Europa e che il loro numero sia superiore alla media degli altri paesi avanzati. Sono affermazioni in parte corrette. Come questo documento dell’OCSE conferma, i salari degli insegnanti, rapportati a quelli di altri lavoratori a tempo pieno con simili titoli di studio, sono più bassi in Italia rispetto a quasi tutti i paese OCSE (non abbiamo trovato statistiche Eurostat a questo proposito). Bisogna anche segnalare che nello stesso documento si vede come in Italia gli insegnanti lavorino in media un numero di ore inferiore agli insegnanti degli altri paesi. Per quanto riguarda il loro numero, non abbiamo trovato riscontri all’affermazione di Meloni sul fatto che mentre gli insegnanti sono aumentati del 20% negli ultimi anni, gli studenti siano aumentati soltanto del 7%. L’Italia però è ai primi posti nel rapporto numero di insegnanti sul numero di alunni (circa un insegnante ogni 11 studenti contro una media OCSE di un insegnante ogni 14).

Il calo immatricolazioni
Umberto Ambrosoli, candidato governatore del centrosinistra in Lombardia, ha fatto un complicato discorso (lo potete riascoltare qui al minuto 1:46:00) nel quale ha paragonato le recenti notizie sul calo delle immatricolazioni con i numeri di studenti iscritti all’Università Statale di Milano. Premettiamo che non siamo sicuri di aver capito bene (attendiamo conferme e siamo disposti a pubblicare correzioni nel caso), ma il succo del discorso ci è sembrato più o meno questo: se continua questo trend nella diminuzione delle immatricolazioni sarebbe come se chiudesse un’università delle dimensioni della Statale di Milano.

È vero che il numero delle immatricolazioni è calato di 58 mila unità, come hanno scritto i giornali, ma si è trattato di un calo durato 8 anni. Insomma, le immatricolazioni sono scese molto, ma nel corso di due quadrienni e il calo dell’ultimo anno accademico – circa 8 mila immatricolati in meno – è la metà del calo più grave mai registrato negli ultimi anni. Quello avvenuto tra 2005 e 2006, quando in un solo anno si iscrissero all’università ben 16 mila studenti in meno e al governo c’era il centrosinistra (grazie a @jorge_leven per la segnalazione su Twitter).