Tommaso Labate, Corriere della Sera 17/06/2013, 17 giugno 2013
I PALETTI DI RENZI: PRIMARIE APERTE O RESTO A FIRENZE —
«Non possiamo permetterci di avviare la fase congressuale con uno scontro sulle regole», ha spiegato l’altro giorno ad alcuni deputati. Di conseguenza, è stata la nota a pie’ di pagina con cui ha sorpreso i suoi interlocutori, «se la discussione partisse nel modo sbagliato, allora la gestirò io. In prima persona».
Dalla partita che comincia ufficialmente oggi con la riunione della commissione per il congresso del Pd, Guglielmo Epifani avrebbe voluto rimanere fuori. Defilato il più possibile. Ma quando il segretario ha capito che alle perplessità dei renziani sul responsabile Organizzazione (bersaniano) Davide Zoggia sta per aggiungersi l’intenzione dei giovani turchi che sostengono Gianni Cuperlo (e legati a Massimo D’Alema) di avanzare la candidatura dell’europarlamentare Roberto Gualtieri alla presidenza dell’organismo, a quel punto il leader ha suonato il gong. «Se va avanti così, di questa questione me ne occuperò io».
Tranquillizzato da un risultato elettorale che ha regalato al Pd un inaspettato filotto alle amministrative, e soprattutto sempre più deciso a mantenere la promessa pubblica di limitarsi al ruolo di «segretario a tempo», Epifani si appresta a gestire da «arbitro» la difficile contesa incrociata tra bersaniani, renziani e giovani turchi. Un compito difficilissimo anche per chi, come lui, alla guida della Cgil è riuscito a far andare d’accordo il suo personalissimo dna riformista da ex socialista con le posizioni oltranziste della Fiom. Che si ritagli un ruolo da «coordinatore» della commissione per il congresso o che si limiti a fare da garante rispetto alla nomina del bersaniano Zoggia o di qualche outsider (tipo Gualtieri), una cosa è certa. Epifani è sempre più convinto che, alla fine, il prossimo segretario vada eletto con «primarie aperte». E che almeno su questo fronte non ci sarà, «né ci deve essere», un muro contro muro tra renziani e bersaniani.
Già, Renzi e Bersani. Il primo, confortato da sondaggi che lo danno in cima a qualsiasi indice di popolarità e pressato da una base sempre più ampia che gli chiede di candidarsi alla guida del Pd, guarda alla disputa sulle regole con un atteggiamento sempre più distaccato. Tanto che il leit motiv delle discussioni coi suoi su questo punto è sempre lo stesso. «Stavolta non si fa come l’anno scorso. Perché», è il ragionamento ribadito anche negli ultimi giorni dal sindaco di Firenze, «se ci sono regole che consentono a tutti una partecipazione aperta, bene». Altrimenti, è la subordinata renziana, si disinteresserà della corsa alla leadership del Pd e continuerà a preparare la sua scalata alla presidenza del Consiglio, quando sarà. Magari candidandosi l’anno prossimo per il secondo mandato a Firenze. Di sicuro, aggiungono i suoi, «muovendosi da battitore libero e con le mani libere». Tanto rispetto al partito, quanto rispetto al governo Letta.
Per Bersani, invece, la lunga disfida che comincia oggi con il battesimo della commissione del congresso è sempre più in salita. Ai fedelissimi che l’hanno cercato dopo l’intervista al Corriere, in cui ha rilanciato lo scenario di una maggioranza con Sel e i fuoriusciti dei Cinquestelle, l’ex segretario ha affidato un messaggio duplice. Quella posizione serviva anche a «coprirsi a sinistra» in vista della contesa per la leadership del Pd. Per la quale, esclusa l’ipotesi di scendere in campo in prima persona, Bersani non ha ancora un nome. Ma, per adesso, solo tre possibili piste. Le prime due rimandano ad altrettante personalità che hanno già manifestato pubblicamente l’intenzione di rimanere fuori dalla contesa. E cioè il governatore del Lazio Nicola Zingaretti e l’ex ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca. L’ultima è quella che porta al capogruppo alla Camera, Roberto Speranza.
Tommaso Labate