Notizie tratte da: Stuart Isacoff # Storia naturale del pianoforte # Edt 2012 # pp. 338, 22 euro., 8 maggio 2013
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Regno Unito
Notizie tratte da: Stuart Isacoff, Storia naturale del pianoforte, Edt 2012, pp. 338, 22 euro.(vedi anche biblioteca in scheda 2234662e libro in gocce in scheda 2240669)Composto di legno e ghisa, di martelletti e perni, un pianoforte a coda ha un peso complessivo di circa cinque quintali, con corde in grado di sostenere una trazione di ventidue tonnellate (equivalenti più o meno a quella di venti automobili di media dimensione)
Notizie tratte da: Stuart Isacoff, Storia naturale del pianoforte, Edt 2012, pp. 338, 22 euro.
(vedi anche biblioteca in scheda 2234662
e libro in gocce in scheda 2240669)
Composto di legno e ghisa, di martelletti e perni, un pianoforte a coda ha un peso complessivo di circa cinque quintali, con corde in grado di sostenere una trazione di ventidue tonnellate (equivalenti più o meno a quella di venti automobili di media dimensione).
Bartolomeo Cristofori, costruttore di strumenti musicali padovano, lavorava ancora nella sua città quando, a 33 anni, fu assunto da Ferdinando de’ Medici che aveva perso da poco il suo fabbricante e accordatore di clavicembali (ed era di ritorno dalle gozzoviglie del Carnevale di Venezia). A Firenze, oltre a prendersi cura degli strumenti del principe, Cristofori fabbricò una serie di strumenti originali e di elegante fattura. Uno era in semplice cipresso, con una tastiera di legno di bosso, e aveva «una coperta [un coperchio] di corame [cuoio] rosso foderata di taffetà verde, guarnita a torno di nastrino d’oro». Il primo pianoforte.
«Un cimbalo di cipresso di piano e forte»: così Cristofori definì la sua invenzione, che, a differenza del clavicembalo, consentiva di modulare il volume dei suoni, dal piano al forte. I particolari del funzionamento in un articolo pubblicato nel 1711 dal Giornale de’ letterati d’Italia.
Burkat Shudi, il giovane artigiano svizzero emigrato a Londra che cercò di colmare la distanza che ormai divideva il clavicembalo dal più efficace pianoforte con un dispositivo di apertura e chiusura chiamato “venetian swell” per produrre variazioni di volume. Meccanismo simile alle “tende alla veneziana” brevettate a Londra nello stesso anno 1769. [24]
I meriti che gli scrittori di costume avevano già attribuito al clavicembalo furono trasferiti al pianoforte. Per qualche tempo i due strumenti si poterono trovare l’uno accanto all’altro. Lo spartiacque che segna la definitiva affermazione del nuovo strumento può essere considerato il 1780: da un inventario dei beni confiscati nelle abitazioni dei nobili uccisi o fuggiti durante la Rivoluzione francese risulta che quasi tutti i clavicembali erano stati costruiti prima di quell’anno, quasi tutti i pianoforti dopo. [50]
La gara musicale al pianoforte tra Muzio Clementi e Wolfgang Amadeus Mozart, a Vienna, nel dicembre 1781. I due, invitati a corte e messi alle strette senza preavviso, dovettero alternarsi nell’improvvisare delle variazioni su un tema dato. Clementi veniva da Londra, dove aveva acquistato notorietà come virtuoso dopo essere arrivato in Inghilterra dall’Italia ancora studente. La gara si concluse con un pareggio. Clementi visto da Mozart: buona mano destra ma «di gusto e di sentimento nemmeno un soldo», puro «mechanicus… un ciarlatano, come tutti gli italiani». Clementi su Mozart: «Mai prima d’allora avevo sentito suonare con tanto spirito e tanta grazia». [42]
Jan Ladislev Dussek (1760-1812), il primo pianista che si sedette dando il profilo al pubblico. [47] Ignaz Moscheles (1794-1870), il primo a praticare il recital solistico, in una serie che chiamò “Soirées classiche di pianoforte”. [99]
Tumultuosa domanda di pianoforti già alla fine del Settecento: «Volesse il cielo che potessimo sfornarli come ciambelle!» (il costruttore londinese James Shudi Broadwood, che faticava a tener dietro alle richieste, a un grossista nel 1798).
A metà Ottocento l’Inghilterra è diventata il centro del mondo pianistico, potendo contare all’incirca duecento costruttori. Nel 1871 il numero stimato di pianoforti nelle isole britanniche è di quattrocentomila.
La capacità di suonare uno strumento, «uno dei principali ornamenti nell’educazione delle donne» secondo l’Encyclopédie di Diderot.
Gran Bretagna, 1722, in Condotta delle giovani: ossia, regole per l’educazione ordinate per diversi capi; con istruzioni sul vestire, così prima come dopo il matrimonio. E consigli alle giovani mogli, lo scrittore John Essex suggerisce la pratica di clavicordo o spinetta, mentre altri strumenti risultano «disdicevoli per il bel sesso: e intendesi il flauto, il violino e l’oboe; l’ultimo in particolare essendo spiccatamente virile e d’aspetto indecente in bocca di donna; laddove il flauto è inappropriato in quanto dissipa molta parte dei succhi che sarebbero altrimenti meglio destinati allo stimolo dell’appetito e al concorso della digestione». [50]
Francia, 1847, il critico Henry Blanchard: «Lo studio del pianoforte è diventato ormai una necessità, essenziale all’armonia della società come la coltivazione della patata lo è alla sussistenza delle persone. […] Il pianoforte è suscitatore di incontri, di ospitalità, di nobili contatti, di unioni di ogni tipo, anche matrimoniali. […] E se i nostri giovani sono tanto sicuri di sé da dire, parlando con gli amici, che hanno sposato una rendita di dodici o quindicimila franchi, se non altro si affrettano ad aggiungere il correttivo: “Miei cari, mia moglie suona il pianoforte come un angelo”». [49]
Il pianoforte, presenza irrinunciabile nella casa elegante dell’epoca vittoriana per Jane Ellen Panton, influente autrice del libro Dalla cucina al solaio.
«Al pianoforte una ragazza è costretta a stare eretta e a prestare attenzione ai dettagli», scrive il reverendo H. R. Haweis (1838-1901). E poi lo strumento si adatta bene all’umore incostante delle femmine: «Una buona sessione di pianoforte ha spesso preso il posto di un buon pianto chiusa in camera da letto».
Stoffe più adatte a ricoprire il pianoforte: serge, feltro, damasco, «bordati con una frangia appropriata… che lo renderanno un eccellente ripiano per oggetti di ceramica e vasi di fiori» (Jane Ellen Panton).
In nome della pruderie vittoriana, alcuni tra i più irreprensibili arrivavano a coprire le gambe del pianoforte. [52]
I coupon di Pianoforte Magazine, periodico pubblicato dal 1797 al 1802: presentando la raccolta completa si riceveva un pianoforte.
Londra, anni Quaranta dell’Ottocento: i gentiluomini inglesi che, alla domanda di Charles Hallé, primo pianista a eseguire a Londra tutte le sonate di Beethoven, se qualcuno di loro suonasse uno strumento, reagirono sdegnati, sentendosi insultati. [54]
«L’osservatore poco perspicace potrà considerarlo un pezzo di mobilio, per il superficiale sarà una moda come tante, ma in verità si tratta del sistema nervoso artificiale, ingegnosamente fabbricato in legno e acciaio, che la civiltà, con giustizia poetica, fornisce alle nostre giovani. È qui, in questo salottino, dietro le porte chiuse che la giovane del nostro tempo si rifugia per riversare in segreto il fiume impetuoso delle sue emozioni dalla punta delle dita. […] Una donna deve trovare adito ai propri impulsi donneschi. E quindi, essendo poco auspicabili per lei l’attività di conferenziere o di telegrafista, così come l’interpretazione di lady Macbeth, le si è dato il pianoforte…» (A. C. Wheeler, critico del New York World, nel 1875).
La sera dopo cena a casa di una certa signora Rachel Haskell: il marito entra in salotto e si siede accanto al pianoforte, la figlia Ella comincia a suonarlo, accompagnando il canto di tutta la famiglia. Nella città mineraria di Aurora, Nevada, negli anni Sessanta dell’Ottocento. [57]
Mark Twain suonava abitualmente spiritual afroamericani su un mezza coda Steinway nella sua residenza di Hartford, nel Connecticut.
W. W. Kimball, commerciante, che si stabilì nel 1857 a Chicago e annunciò di voler mettere i pianoforti «alla portata del contadino sulla sua prateria, del minatore nella sua casupola, del pescatore nella sua capanna, dell’artigiano acculturato nella sua elegante villetta in una prospera città». Vendeva a rate.
L’op. 110, penultima Sonata per pianoforte di Beethoven: nella partitura citazioni dal lamento cantato alla morte di Cristo nella Passione secondo Giovanni di Bach e da due canzoni popolari, La gatta ha fatto i micini e Sono un dissoluto. [87]
«Di rado prendeva in mano qualcosa senza che gli sfuggisse o la rompesse. Gli cadeva spesso il calamaio nel pianoforte, che era accanto alla scrivania. Nessuna suppellettile era al sicuro, tanto meno gli oggetti di un qualche valore. Tutto finiva rovesciato, macchiato, distrutto»: Beethoven secondo Ferdinand Ries.
Il pianista che, nel racconto di Wanda Landowska, «pagava delle donne venti franchi a concerto perché simulassero uno svenimento nel bel mezzo della sua esecuzione di una fantasia che attaccava con velocità tale da non potersi umanamente sostenere fino in fondo. Una volta, a Parigi, l’incaricata si addormentò e mancò la sua entrata», il pianista allora decise di svenire personalmente. Agli occhi del pubblico, la sua statura risultò «ancora più eccezionale per via di questa natura delicata e sensibile che si univa alla mercuriale prestazione». [99]
Liszt, che, secondo un testimone, suonando «si gettava in continuazione all’indietro la lunga chioma, con labbra tremanti e narici frementi».
Amori di Liszt: Marie d’Agoult, che si definiva «una spolverata di neve sopra sei metri di lava»; contessa Marie von Mouchanoff, «un pantheon nel quale giacciono sepolti tanti grandi uomini» (Heine); Carolyne zu Sayn-Wittgenstein, la principessa che fumava il sigaro; contessa Olga Janina, che in un accesso di gelosia minacciò Liszt con un pugnale avvelenato e una rivoltella; Marie Pleyel, moglie del fabbricante di pianoforti.
«Vorrei potergli rubare la maniera in cui esegue i miei Studi» (Chopin di Liszt).
A 19 anni Schumann si procurò una grave lesione a un dito per aver usato un dispositivo meccanico che avrebbe dovuto aiutarlo a conseguire una maggiore elasticità. In seguito all’incidete si mise a bere smodatamente per un mese, arrivando a soffrire di tremori, confusione mentale, allucinazioni notturne. Rimedio consigliato: “bagni animali” (l’ammalato immergeva le mani nelle interiora di bestie macellate). A 23 anni diede i primi segni di seri disturbi mentali.
Clara Wieck, figlia di Friedrich, insegnante di pianoforte che osteggiò a lungo, ma senza successo, la sua unione con Schumann. Clara era stata una bambina prodigio: a nove anni aveva già suonato al Gewandhaus di Lipsia, a dodici si era esibita a Parigi; a diciotto, a Vienna, si guadagnò l’ammirazione di Paganini, Chopin, Liszt e Mendelssohm, che riferì di essere rimasto «tramortito» da lei. [182]
Passati i cinquant’anni, Brahms riteneva che la sua creatività avesse cominciato a inaridirsi. Tuttavia continuava ad alzarsi alle sette del mattino, si sedeva al pianoforte e accompagnava il movimento delle dita sulla tastiera con «dei suoni caratteristici, una specie di rantolo, un brontolio, un russare» (Ferdinand Schumann, un nipote di Clara). [188]
Mendelssohn, che da bambino, precocissimo, stupì Goethe leggendo a prima vista al pianoforte un autografo di Mozart, quindi uno di Beethoven praticamente illeggibile. Da ragazzo era in grado di suonare a memoria tutte le fughe di Bach e di ripetere nota per nota la musica del Franco cacciatore di Weber tre o quattro giorni dopo averla ascoltata.
A Varsavia, dove Chopin compie i suoi studi giovanili, «in quasi ogni casa in cui si nutra una qualche ambizione di cultura si trova un pianoforte a coda, venuto da Vienna, da Dresda, da Berlino o da Breslavia, e spesso qualcuno che lo sa suonare molto bene» (da una rivista musicale dell’epoca). [196]
Il pianoforte nei bordelli, una consuetudine a partire dall’Ottocento. Il ricordo di Nietzsche colto dal panico in una casa di piacere, «circondato da una mezza dozzina di apparizioni in tulle e lustrini che mi guardavano speranzose. Per un attimo restai senza parole. Poi, istintivamente, mi avvicinai al piano, che mi parve l’unica cosa fra le presenti dotata di un’anima».
Il conservatorio di San Pietroburgo, fondato nel 1862 da Anton Rubinstein e Theodor Leschetizky. Tra i diplomati: Ciajkovskij, Rachmaninov, Prokof’ev, Shostakovich.
Leschetizky (1830-1915), pupillo di Carl Czerny che era stato allievo di Beethoven. Incontentabile. Riteneva che fossero tre le doti richieste a un pianista virtuoso: essere slavo, essere ebreo, essere stato un bambino prodigio. [225]
Anton Rubinstein (1829-1894), figura goffa e sgraziata, «il suo capo chino e spettinato, la forma delle sue membra e della sua schiena avevano un che di bestiale» (lo scrittore Sacheverell Sitwell). Quando nel 1872 approdò a New York per la sua tournée americana, più di duemila persone lo accolsero al porto. La tournée, sponsorizzata dal costruttore di pianoforti Steinway, comprese 215 concerti in 239 giorni. Compenso, inaudito per l’epoca, 200 dollari a serata. Quei proventi «gettarono le basi della mia fortuna economica. Tornato a casa, mi misi subito a investire in immobili». [222]
I tre concerti newyorchesi di Ignacy Jan Paderewski (1860-1941), nel 1891, fecero una tale sensazione che la Steinway gliene organizzò altri ottanta in giro per gli Stati Uniti, a cui ne seguirono altri ancora a un ritmo frenetico: alla fine furono 107 serate in 117 giorni. Compenso: 95.000 dollari. [247]
Svjatoslav Richter (1915-1997) trovava repellenti gli aspetti commerciali della sua professione. La sua tournée preferita: nel 1986, sei mesi tra Urali e Siberia, da un piccolo paese all’altro davanti a un pubblico che mai aveva ascoltato musica classica prima di allora. [230]
«Una ragione per cui in America ho suonato male, è perché mi era possibile scegliere il pianoforte. Me ne facevano vedere dozzine e io restavo sempre convinto di aver scelto quello sbagliato. Bisognerebbe suonare sul primo pianoforte disponibile nella sala, come accettando un segno del destino» (Richter).
Richter, che suonò, per ordine delle autorità, ai funerali di Stalin (una lunga fuga di Bach fischiata dal pubblico) e, per protesta, ai funerali di Pasternak.
Ernst Hanfstaengl, detto “Putzi”, studi ad Harvard, pianista personale di Hitler. Gli suonava soprattutto Wagner, che era il suo compositore preferito. Poi venivano Verdi, Chopin, Richard Strass, Liszt, Grieg e la musica tzigana. Hitler non amava Bach, Handel, Haydn, Mozart, Beethoven, Brahms. [234]
Quando la giuria del concorso pianistico Ciajkovskij dovette consultare Krusciov, allora segretario del Partito comunista, per assegnare il primo premio. Era il 1958, piena Guerra fredda: il migliore si era rivelato senza ombra di dubbio un pianista americano, Harvey Lavan (“Van”) Cliburn. Al ritorno in patria il vincitore fu accolto da folle acclamanti e da una parata con lustrini e coriandoli a New York.
Colori preferiti da Glenn Gould (1932-1982): grigio corazzata e blu notte. «Lo stato del mio umore è inversamente proporzionale alla quantità di luce solare della giornata». [270]
Lo sgabello di Gould: una sedia pieghevole “da bridge”, che il padre aveva modificato nel 1953 segando via dieci centimetri delle gambe regolabili, in modo che il pianista si trovasse seduto a soli 35 centimetri dal pavimento (cioè 15 in meno che con un normale sedile per pianoforte). Così aveva «precisamente la forma» che serviva per l’esecuzione.
«Voleva essere il Tiger Woods del pianoforte e ci è riuscito: ora ha la sua foto su tutte le riviste, ed è testimonial per gli orologi Rolex, le scarpe Nike e le penne Mont Blanc» (Gary Graffman, pianista e didatta, parlando del suo ex allievo Lang Lang).
Lang Lang, il primo pianista a cui la Steinway abbia intitolato un proprio modello. [282]
Trenta milioni i bambini che attualmente studiano pianoforte in Cina (la Rivoluzione culturale aveva temporaneamente bloccato la pratica della musica occidentale).
L’austriaca Bösendorfer, fondata nel 1828 (i pianoforti preferiti da Liszt, Oscar Peterson ecc.), acquistata nel 2007 dalla giapponese Yamaha, maggior fabbricante al mondo di pianoforti, acustici ed elettronici.