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 2013  aprile 20 Sabato calendario

BANKITALIA SCOPRE LE CARTE: «INEVITABILI ALTRE MANOVRE»

Stangate finite? Macché: preparatevi a nuovi salassi fiscali. Almeno fino al 2018. Le previsioni del Governo di Mario Monti sono sbagliate. Di poco, questione di percentuali. In effetti è così: 0,2% l’anno, dal 2015 per tre anni consecutivi. Il che vuol dire una correzione dei conti pubblici complessiva pari ad almeno l’1% del prodotto interno lordo, più alto dello 0,6% indicato dall’Esecutivo. Calcolatrice alla mano significa 16-17 miliardi di euro nel triennio finito, ieri, sotto i riflettori della Banca d’Italia. Quattrini, secondo palazzo Koch, necessari a raggiungere il pareggio di bilancio oltre che a mantenere il rapporto tra deficit e pil sotto il 3% imposto dall’Unione europea.
È stata dunque l’autorità di via Nazionale a portare alla luce gli «errori» dell’Esecutivo contenuti nel Documento di economia e finanza, approvato poche settimane fa dal consiglio dei ministri. Errori quasi impercettibili - quelli riportati nell’audizione al Senato di Daniele Franco, alto funzionario di Bankitalia - ma dagli effetti non irrilevanti. Specie per le tasche dei contribuenti, già massacrati, negli ultimi 18 mesi, da una sequenza di manovre tributarie probabilmente tra le più dolorose della storia del Paese. Del resto, come certifica Bankitalia, la pressione fiscale è al 44% ed è la più alta degli ultimi 50 anni: supera di 3 punti la media degli altri Paesi dell’euro. Non solo. Combinato con «l’elevato livello di evasione fiscale», il peso delle tasse «rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente» creando anche un «ostacolo alla crescita». L’allarme fisco, peraltro, è risuonato più volte a palazzo Madama. Ne hanno parlato artigiani e commercianti di Rete Imprese Italia che hanno stimato un aggravio di 2.600 euro l’anno per famiglia. Pure Confindustria ha alzato la voce per denunciare «livelli intollerabili» e un peso del fisco reale che tocca, secondo viale dell’Astronomia, il 53%.
Sta di fatto che, salvo miracoli improbabili, la mannaia fiscale colpirà ancora a lungo famiglie e imprese. A cominciare dall’Imu.
L’odiata imposta sulle case continuerà a sopravvivere: pensare a una modifica o un’eliminazione pare impossibile. Al punto che Bankitalia ha chiesto al Governo di dissipare i dubbi contenuti nel Def, dove si ipotizzava un ridimensionamento dell’imposta, corretto «in diretta» dal Tesoro. Che ha cancellato dal Documento online il capitolo sullo «scenario senza Imu». D’altra parte il gettito è necessario per salvaguardare i conti e raggiungere il pareggio di bilancio. I conti dello Stato restano sul filo. Quest’anno il rapporto tra deficit e pil deve fermarsi al 2,9%, anche se si raggiungerà il pareggio strutturale tenendo conto della scarsa crescita. Ma un peggioramento del quadro economico potrebbe imporre nuovi interventi sulle finanze pubbliche. Altre manovre, dunque. Quelle targate Monti sono state prese di mira dalla Corte dei conti. Il peso delle tasse, ha detto il presidente Luigi Giampaolino, è tale che comincia ad avere consistenza macro economica anche il fenomeno di chi non riesce a pagare.
L’ex numero uno dell’Autorità sui lavori pubblici ha bocciato l’austerity. Gli interventi sul fronte delle entrate, ha spiegato il capo dei magistrati contabili, non hanno gli effetti sperati. Nel 2012 sono mancati all’appello 30 miliardi rispetto alle prime stime. E non tutti si spiegano con la congiuntura, visto che alcuni parametri sono migliorati. Questi, a esempio, non giustificano i circa 6 miliardi di imposte indirette venute meno. L’analisi di Giampaolino è dettagliata. Le ragioni del flop possono essere molte, ma tra queste c’è anche la «difficoltà del contribuente a onorare il proprio debito nei confronti del fisco». Già perché «con un alto livello di entrate e di spese pubbliche, oltre che con un’inflazione in risalita, la compressione del reddito disponibile delle famiglie e imprese non può non generare una caduta dei consumi e degli investimenti». Consumi sui quali pende il rischio, ormai sempre più probabile, di un ulteriore inasprimento dell’Iva. L’aliquota salirà da luglio dal 21% al 22%: la misura vale 4 miliardi e un passo indietro, secondo Bankitalia, richiede di individuare non facili «compensazioni». Altrimenti l’Italia si troverebbe a giustificare a Bruxelles un altro sforamento del 3% del disavanzo.