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 2013  aprile 20 Sabato calendario

HO ADOTTATO UN EMBRIONE IN SPAGNA E OGGI HO UNA BIMBA STUPENDA

Non credevo fosse possibile adottare un embrione, un bambino creato in provetta e lasciato in una banca come in un orfanotrofio, un essere appena formato, da far nascere e crescere senza dover affrontare una burocrazia ingarbugliata, inconcludente e proibitiva. Ho adottato un embrione, ora ho una bambina meravigliosa che ho aspettato e voluto con tutte le mie forze. Ho sempre desiderato un bambino, una famiglia numerosa, ed ero convinta che l’avrei avuta. Ma la mia vita è andata da un’altra parte e quando finalmente ho convinto il mio compagno, già padre d’un figlio avuto da una precedente relazione, avevo ormai 40 anni e poche possibilità di diventare madre naturalmente. Ho iniziato la lunga trafila delle terapie per la procreazione assistita trascinando con me un uomo sempre più insofferente e riluttante, che alla fine se n’è andato proprio mentre moriva mia madre. Dopo, sono stati anni solitari, con tentativi inutili sui percorsi complessi dell’affidamento, visite alle case famiglia e scontri inevitabili con le leggi italiane fino alla rassegnazione, a cinquant’anni, a una solitudine affettiva e all’idea di dovermi inventare un futuro privato oltre al lavoro sempre più impegnativo. Vivevo alla giornata, navigando a vista con i sentimenti seppelliti in fondo al cuore e i rimpianti a fior di pelle, fino all’improvvisa sorprendente notizia della felice maternità di un’amica coetanea. All’inizio ho provato una gioia stupita per l’eccezionalità dell’evento, poi in un angolo della mente si è insinuata la curiosità di sapere come e dove era successo.
Un biglietto d’auguri alla neomamma, una telefonata, informazioni passate con discrezione e la promessa di un appuntamento per una visita col medico autore del miracolo. Un momento di follia che mi ha fatto pensare all’inizio di un nuovo percorso, ma subito archiviato, rimosso, fino all’arrivo inaspettato della conferma di un consulto in una clinica romana, chiesto e ottenuto, con privilegiata precedenza, dalla mia amica. Impossibile rifiutare, sarebbe stata una terribile scortesia, ma pure impossibile era l’idea di rimettermi in gioco.
Sono andata all’appuntamento consapevole di buttare via inutilmente un sacco di soldi per infliggermi l’ennesimo fallimento. Ancora una volta un’attesa lunghissima, ancora una volta mi sono stupita nel vedere coppie giovani in cerca di aiuto per diventare genitori, perchè oggi l’infertilità non è solo un problema di donne e uomini maturi con la speranza di una seconda giovinezza. Era febbraio di due anni fa e più volte, durante quella lunga attesa, ho pensato di andarmene. Sono rimasta per cortesia, rassegnata e scontenta, ma quando il professore mi ha indicato la via dell’adozione dell’embrione invitandomi a riflettere sul valore etico di una scelta che riguardava embrioni già esistenti e in attesa di essere impiantati, un nuovo mondo si è aperto davanti ai miei occhi. Un’adozione a tutti gli effetti, assolutamente anonima e possibile solo, e naturalmente, se garantita dallo stato di salute idoneo della donna che avrebbe accolto il futuro bambino.
Un colpo di scena inaspettato ed eccomi a fantasticare sulla possibilità di avere un figlio da sola, accoglierlo dentro di me e dargli la vita senza il timore di una legge che te lo porti via. Ci ho pensato a lungo, di giorno e di notte, sarebbe stato lungo e costoso, avrei dovuto chiedere un prestito e poi, sarebbe finita come le altre volte? Ho iniziato di nascosto da me stessa prima con esami e controlli e poi due volte la settimana a Milano per la terapia di preparazione all’impianto. Prendevo l’aereo delle 6 e in tarda mattinata rientravo a Roma, a lavorare, rimuovendo dalla mente la prima parte della giornata.
L’estate scorsa sono andata a Barcellona per la visita al centro dove avrei fatto l’impianto e ho conosciuto la dottoressa Flor, una donna rassicurante ed eccezionale con un nome dedicato a Firenze e molta dimestichezza con gli italiani, che sono i suoi pazienti più numerosi. Ancora non avevo deciso, ma se l’avessi fatto sarebbe stato per un unico tentativo e l’impianto di un solo embrione. Quando ho spedito a Flor gli esiti degli esami richiesti ero ancora incerta, ma la mia struttura fisica risultava più preparata di me ad accogliere un bambino, dovevo solo decidere.
A febbraio di un anno dopo, il giorno stabilito per l’impianto per Roma era “the day after” di un’eccezionale nevicata. Strade e aeroporto erano bloccati e ho pensato che il destino avesse deciso di impedirmi una sciocchezza ma uno dei pochi voli non cancellati era il mio per Barcellona. Sono partita in trance alle 8 del mattino e sono rientrata alle 7 di sera rimuovendo ogni cosa dalla mente. Soltanto quindici giorni dopo, il test positivo mi catapultava in una realtà nemmeno lontanamente contemplata. Per tre mesi non ne ho parlato con nessuno, poi mi sono confidata con un amico medico e ho scoperto che anche lui, con il suo compagno, avevano tanto desiderato un figlio ma ci avevano rinunciato. Erano felici quanto me, mi sono stati vicini fin dall’inizio, mi hanno assistito in ospedale durante il parto e mia figlia è anche la loro figlia. Ho scoperto che tante persone consideravano la mia scelta egoista e assurda, altre mi invidiavano per il coraggio, ma non ho mai voluto farmi condizionare dal giudizio degli altri. Se la mia bambina non fosse nata, sarebbe rimasta un embrione chiuso in una cella frigorifera da eliminare prima o poi. Ho cercato per il parto una ginecologa, volevo che fosse una donna a seguirmi ma non era facile raccontare la mia esperienza, l’impatto con la realtà italiana è pieno di pregiudizi. Ho avuto una gravidanza solitaria e serena ma il rischio per la mia salute era grande. Il disagio più forte l’ho provato in ospedale, fra donne molto più giovani di me. E anche se ho la fortuna di non dimostrare la mia età, non mi sono risparmiata battute taglienti di medici e infermiere. Ma ho ricevuto anche dimostrazione di affetto e ammirazione da tante donne che hanno capito senza chiedermi niente.
Mia figlia è nata con parto cesareo ed è bellissima. Durante l’attesa mi chiedevo come sarebbe stata, non avrei potuto cercare in lei nessuna somiglianza, ma non mi importava. Non ho mai pensato che qualcosa potesse andare storto, ho vissuto tutta la gravidanza come in uno stato di grazia anche nei momenti più difficili, quando mi mancava il respiro e temevo di non arrivare alla fine. È andato tutto bene, fra lo stupore generale ma non mio. Quando guardo la mia meravigliosa bambina ancora non credo che possa essere mia figlia e se mi chiedono che cosa le dirò da grande, rispondo che le dirò la verità ma se crescerà nella famiglia dei miei amici diventati volontariamente zii e zie premurosi, la verità la capirà da sola. Spero che comprenda che sua madre ha rischiato la vita per darle la vita, ma saprà anche con certezza che è la cosa migliore che ha fatto, e che non esiste amore più grande.