Daniel Gros, Il Sole 24 Ore 19/4/2013, 19 aprile 2013
IL TABÙ INFRANTO A CIPRO
Le radici del problema di Cipro sono note. In passato, le sue due banche principali avevano attirato ingenti capitali esteri, soprattutto russi, di cui la maggior parte apparteneva presumibilmente a persone che volevano sottrarsi ai controlli vigenti nel proprio o in altri Paesi. I proventi di tali depositi erano poi stati investiti in titoli di Stato greci e in prestiti alle imprese elleniche. Quando la Grecia è implosa, questi investimenti sono andati in fumo, mentre le banche cipriote che avevano aderito a tale strategia sono diventate insolventi.
Data la situazione, la scelta logica per il Paese doveva essere una e chiara: se il governo voleva sopravvivere, i depositanti stranieri si sarebbero dovuti accollare parte delle perdite. Non si capisce bene, pertanto, perché il governo cipriota sia stato, in un primo momento, così restio a imporre un prelievo ai depositanti.
In ogni caso, la soluzione alla quale alla fine si è arrivati ha senso: le due più importanti banche del Paese sono state liquidate. I loro asset tossici saranno separati e indeboliti nel tempo. Né il governo cipriota né i contribuenti europei verseranno altri fondi a questi istituti, e le perdite restanti dopo lo smaltimento degli asset dovranno essere sostenute dai creditori non assicurati, ovvero i titolari di depositi superiori a centomila euro (130mila dollari).
Anche se Cipro è uno Stato troppo piccolo per essere rilevante sul piano dei mercati finanziari globali, il suo caso potrebbe creare un precedente importante che indicherebbe ai policymaker europei come affrontare eventuali problemi bancari futuri. Potrebbe influire sul progetto di unione bancaria, che necessita di tre elementi: una vigilanza unica, un’autorità di risoluzione a livello europeo e un sistema credibile di garanzia dei depositi. La crisi di Cipro fa scuola su tutti e tre gli aspetti.
In primo luogo, ha evidenziato la necessità di un supervisore unico super partes. La Banca centrale europea non avrebbe mai consentito alle banche cipriote di attrarre depositi così ingenti garantendo tassi di interesse fuori mercato, per poi mettere tutte le uova in un unico paniere, cioè la Grecia. Questa era una strategia ad alto rischio e senza rete di protezione.
In secondo luogo, mentre si continua a discutere sul meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie nella zona euro, alcuni eventi hanno evidenziato che la Bce di fatto già ricopre questo ruolo. Nessuna banca in difficoltà può sopravvivere se la Bce non gli concede o rinnova la fornitura di liquidità.
Certo, questa concentrazione di potere nelle mani di un organismo totalmente indipendente non è ideale dal punto di vista della responsabilità democratica. Tuttavia, ciò dovrebbe fungere da ulteriore incentivo per gli Stati membri della zona euro a deliberare la creazione di una vera e propria autorità di risoluzione europea, dotata di fondi sufficienti a liquidare anche le grandi banche in modo strutturato.
Infine, la rivolta dei piccoli risparmiatori di Cipro ha evidenziato la necessità di un sistema credibile di garanzia dei depositi. La direttiva Ue che stabilisce la tutela dei depositi bancari fino a 100mila euro non prevede una garanzia europea, bensì solo a livello nazionale.
In realtà, però, molti hanno avuto l’errata percezione che in qualche modo l’Europa proteggesse i piccoli risparmiatori. Eppure, almeno fino a questo momento, non si era mai parlato di un sistema di garanzia dei depositi a livello europeo, perché il problema non era stato percepito come reale. Cipro ha infranto questa sorta d’illusione: limitare la garanzia dei depositi al livello nazionale non è più una strada percorribile.
Cipro offre anche una lezione più generale: data la reazione estrema dei mercati finanziari al crollo della Lehman Brothers nel 2008, era evidente per i policymaker europei che a nessuna banca fosse consentito di diventare insolvente. Tuttavia, i mercati finanziari hanno reagito senza scomporsi alla notizia che, per la prima volta, anche i depositanti di una banca Ue perderanno parte dei loro capitali (e ciò è stato registrato con soddisfazione a Berlino e in altri paesi nordeuropei).
Pertanto, la lezione fondamentale per i policymaker europei è la possibilità di un bail in dei depositi bancari, ovvero di una partecipazione dei creditori di una banca al salvataggio. Un’ammissione ufficiale non c’è stata, ma il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, ministro delle Finanze olandese, ne ha parlato apertamente, dicendo che, dopo Cipro, l’Europa dovrebbe diventare più audace nell’applicare tale opzione.
La consapevolezza che il contribuente europeo non è tenuto a salvare tutte le banche in difficoltà potrebbe avere un effetto molto benefico, perché la resistenza della Germania a un’unione bancaria è dettata dal timore che i contribuenti tedeschi siano costretti a finanziare indirettamente le perdite delle banche nei Paesi in difficoltà ai confini della zona euro. Forse questa paura ora verrà meno.
La crisi di Cipro rappresenta un caso estremo e speciale sotto molti aspetti. Tuttavia, il modo in cui è sorto il problema e la soluzione alla fine adottata rischiano di avere ripercussioni importanti su come l’Europa affronterà i propri problemi bancari negli anni a venire.
(Traduzione di Federica Frasca)