Maurizio Molinari, La Stampa 22/4/2012, 22 aprile 2012
NELLA MOSCHEA DEI KILLER "TAMERLAN ERA CAMBIATO CONTESTAVA ANCHE L’ IMAM"
Inviti alla beneficenza islamica, libri di preghiera sauditi e corridoi in piastrelle di ceramica accolgono i visitatori nella Islamic Society of Boston, la moschea frequentata dai fratelli ceceni Tsarnaev, gli attentatori della maratona.
Al 204 di Prospect Street l’edificio di due piani dalle pareti arabescate spicca nella zona urbana più povera di Cambridge. Siamo a breve distanza dai gioielli del sapere di Harvard e del Mit ma è un mondo che non potrebbe essere più diverso: fatto di famiglie di operai ispanici, immigrati disoccupati, case popolari come quella in cui abitava Dzhokhar sulla vicina Norfolk Street, rivenditori di auto usate e un diner impolverato all’angolo con Hampshire Street. Se non fosse per una gigante bandiera americana a mezz’asta issata dal benzinaio di quartiere sembrerebbe di essere nella periferia di una qualsiasi città del Terzo Mondo. È qui che nel 1981 questa moschea sunnita viene creata per accogliere «i nuovi musulmani che stavano arrivando in gran numero» racconta Nicol, la ragazza californiana con i parenti palermitani convertita all’Islam e divenuta la segretaria dell’imam Basyouny Nehela. È lei che ci accompagna nella moschea con simboli e storia che sovrappongono integrazione e fondamentalismo che si ritrovano negli oltre 70 mila musulmani residenti nell’area di Boston.
La volontà di integrazione è descritta dall’aspetto occidentale del luogo, l’assenza di ogni tipo di messaggi o simboli politici, i dépliant stampati in New Jersey su «Maometto, l’ultimo profeta di Dio» e «Come si prega nell’Islam», i campeggi estivi per far incontrare ragazzi musulmani e non. Il velo viola, contornato di perline colorate e il trucco leggero sul volto di Nicol esprimono tale versione dell’Islam. Lo stesso di cui il siriano Nasser Weddady, del Consiglio islamico del New England, ha parlato giovedì durante la cerimonia interfede nella cattedrale della Holy Cross citando, davanti a Barack Obama, la massima ebraica «chi salva una vita salva il mondo intero».
Ma la moschea sulla Prospect Street è anche quella che ha avuto fra i membri onorari del «Cultural Center» il teologo fondamentalista egiziano Yusuf alQaradawi, ricevendo finanziamenti ingenti - secondo fonti locali - dai Fratelli musulmani grazie ai quali nel 2004 ha costruito la grande moschea di Roxbury, capace di ospitare quasi duemila fedeli. E tutti i libri di preghiera sono wahabiti, la versione più rigorosa dell’Islam. Forse per questo Tamerlan l’aveva scelta per pregare e, come un comunicato della moschea conferma, «frequentava con il fratello le nostre attività religiose comunitarie, le scuole pubbliche, il club di pugilato».
Tamerlan si sentiva a suo agio nell’esprimere posizioni sempre più estreme fino al punto di contestare l’imam Nehela quando, alcune settimane fa, durante un sermone citò Martin Luther King, il leader afroamericano simbolo delle battaglia per i diritti civili. «Non bisogna farlo - sostenne Tamerlan, secondo un testimone che chiede di non essere citato - perché Martin Luther King non era musulmano» e dunque dentro la moschea è solamente un infedele. La reazione dell’imam fu di chiedere a Tamerlan di non frequentare più le preghiere ma ora il leader religioso non può confermarlo perché «è andato all’estero per aggiornamento culturale e non sappiamo quando tornerà» spiega Nicol, evitando sempre di guardarci negli occhi pur non riuscendo a trattenere un sorriso nell’evocare gli «arancini siciliani di mia madre».
Il malessere della comunità musulmana di Boston si rispecchia nelle parole di Suhaib Webb, l’imam musulmano-americano della moschea di Roxbury - la più grande del New England - che esclude di poter celebrare un funerale islamico per il terrorista morto nella battaglia con la polizia a Watertown «perché non è il caso di farlo» pur precisando però che «se qualcuno vorrà andare a pregare sulla sua tomba è ovviamente libero di farlo». Il resto è scritto nel lungo comunicato della Islam Society di Boston: «Siamo fieri degli agenti che hanno catturato il secondo sospetto, siamo sollevati dall’incubo è finito, incoraggiamo chiunque nella nostra comunità sappia qualcosa a collaborare con l’Fbi, siamo scioccati di aver saputo che gli attentatori frequentavano la nostra moschea ma non hanno mai esposto sentimenti o opinioni violente, altrimenti avremmo chiamato gli agenti». Sta ora all’Fbi appurare che tipo di legami i Tsarnaev hanno sviluppato pregando a Prospect Street.