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 2013  aprile 20 Sabato calendario

IL VATE AI FESTINI DEGLI ARDITI

Corsi e ricorsi della storia. Masse di giovani che si ribellano al sistema politico vigente e ne sognano il sovvertimento tornano ciclicamente alla ribalta. A Fiume, dove, sotto il governo di Gabriele d’Annunzio, si viveva all’insegna della trasgressione, del motto “Me ne frego”, della libertà individuale e del libero amore e della ricerca di nuovi modi di fare politica, l’utopia, anche se per breve tempo, divenne realtà. Lotta continua contro il mondo intero. Ma anche festa continua: fra settembre 1919 e dicembre 1920 marce, parate, cortei e celebrazioni finivano immancabilmente in baldoria sfrenata.
Il carteggio, esposto all’Archivio di Stato di Terni, tra Gabriele d’Annunzio e l’Ardito Elia Rossi Passavanti, giovane eroe di guerra e medaglia d’oro, ci riporta al clima della “Città di Vita” e in particolare della “Disperata”, la più scatenata compagnia di legionari fondata a Fiume da Guido Keller, aviatore stravagante (praticava il nudismo, buttò un pitale su Montecitorio, voleva sequestrare Giolitti). Era formata da giovanissimi che non conoscevano regole e orari, marciavano a torso nudo e calzoni corti cantando allegramente, si esercitavano a nuotare, vogare e lanciare granate. Il 25 gennaio 1920 d’Annunzio scrive un biglietto a Rossi Passavanti diventato Capo dei “Disperati”: «Mio caro compagno, sono venuto a visitare i miei Arditi (non interamente fedeli!) e non vi trovo. Sono stato male. Ho riavuto la febbre di Ronchi. Volevo guarirmi col sole e con la “Giovinezza”. Vieni, se puoi, oggi alle 17 al Comando». Il giorno dopo gli scrive di nuovo: «Caro Elia, ero appunto venuto ieri mattina per fare la passeggiata coi miei Arditissimi. Verrò giovedì. Meglio, venite voi giovedì a prendermi. Sarò pronto. Io per tutti, tutti per me. “Servata manebunt”».
Per il non più giovane poeta-soldato andare a trovare i suoi più scalmanati legionari è una festa, una maniera di rigenerarsi. Che i “Disperati” fossero non solo alternativi ma anche ribelli agli ordini rischiando di essere abbandonati a loro stessi, lo dimostra un’altra lettera a Elia del 5 febbraio 1920: «Caro compagno, so che i miei Arditi stasera si propongono di assaltare le carceri e di liberare il sergente condannato. Confido che questa follia non sarà commessa. Altrimenti, sarei costretto a sciogliere domani la compagnia e a rimaner solo con la mia tristezza».
Dei mille volti di d’Annunzio, quello di conquistatore di Fiume e di spregiudicato fondatore di una repubblica che sfidava il governo, il Re e le grandi potenze, è certo il più sorprendente e scanzonato; per certi versi attuale. Pietra di scandalo agli occhi dei benpensanti per la mancanza di tabù, spina nel fianco dei governanti per la disinvoltura con cui i suoi legionari attuavano colpi di mano e il sequestro di navi, d’Annunzio non sembrava disposto a compromessi di alcun genere.
Fiume: città irredenta, dove le dimissioni del capo del governo Nitti il 12 maggio 1920 vennero celebrate con un fastoso funerale che commemorava «Il de-cesso di Sua Indecenza Francesco Saverio Cagoia»; città all’avanguardia, dove le donne avevano il diritto di voto ed era consentito il divorzio. Dove la politica divenne spettacolo. Dopo aver messo in riga gli “Arditissimi”, Rossi Passavanti sposò la dannunzianissima marchesa Margherita Incisa di Camerana, che aveva quindici anni più di lui e sfilava in divisa di tenente onorario degli Arditi, pugnale alla cintura. L’amicizia della nobildonna con il Vate continuò anche dopo il drammatico epilogo dell’impresa fiumana; nel ’24 suo marito, grazie all’interessamento di d’Annunzio, divenne deputato e poi podestà di Terni; si dimise nel ’29 per forti dissensi con i fascisti. Morì nel 1985 ultranovantenne.