Giuseppe Videtti, la Repubblica 20/4/2013, 20 aprile 2013
NOEMI “IO, IN FUGA DALL’ITALIA PER CAMBIARE MUSICA
Due camere e cucina. Una scala ripida che a trascinare su la valigia fa venire il fiatone. Noemi è troppo entusiasta per lamentare la mancanza dell’ascensore. Appena sbucata dalla metro di West Kensignton, con la sorella Arianna che l’ha raggiunta da Roma, si arrampica chiassosa e allegra fino al secondo piano. La rossa di
X Factor, vincitrice morale dell’edizione 2009, fa la pendolare tra Londra e Milano, dove è impegnata come coach (con Carrà, Pelù e Cocciante) nel nuovo talent
The Voice of Italy.
«Avevo bisogno di aria nuova, di nuove energie. L’Italia è bellissima, ma musicalmente letargica. Volevo incontrare persone, fare progetti, e così siamo partiti. Difficilissimo all’inizio trovare casa, infine eccoci qua», esplode, mentre sistema i bagagli dell’ospite e saluta Gabriele (Greco), il compagno (e bassista) con cui condivide la bohème londinese.
Si sono trasferiti quattro mesi fa, e già si sentono a casa. Lei ha appena tenuto uno showcase a South Kensington nel roof che una volta fu la leggendaria boutique di BiBa: sei pezzi suoi, uno della popstar britannica Ellie Goulding eI heard it through the grapevine, a ribadire il suo amore per la black music. Lui è in contatto con The Snare, una cooperativa di musicisti ska-jazz di cui fa parte anche l’italiano Salvo Nostrato.
«Ci troviamo benissimo», racconta, «facciamo molte jam session, al Troy Bar, all’Open Mic, al Ronnie Scott’s, che ormai è diventato una colonia italiana. Mario Biondi ci ha suonato una settimana, sold out ogni sera. Spero che nessuno la prenda a male ma il prossimo disco vorrei farlo a Londra». Non è un bel momento per l’Italia, in tutti i sensi, e la fiacca che si batte nella capitale in fatto di musica dal vivo ha spinto alla fuga la pasionaria del pop. Anche il music business vittima dei bamboccioni? «Siamo fifoni, terrorizzati dalla novità, pigri di fronte ai cambiamenti, preferiamo rimanere nella comfort zone del conosciuto », protesta. «Non mi lamento, ho avuto la possibilità di cantare pezzi bellissimi, firmati da autori egregi come Vasco Rossi, ho duettato con Fiorella Mannoia, ho partecipato al Festival di Sanremo, ma mi piacerebbe tornare dall’Inghilterra (tornerò?) con un album dai suoni modernissimi che sia lo specchio di me, della mia generazione e di quel che è oggi la musica. Ho ascoltato il cd di Laura Mvula e sono rimasta affascinata dalla produzione oltre che dalla voce; il brano intitolato
She, dove l’elettronica si mischia ai cori africani, è pazzesco. Lei è uno di quei personaggi che riescono a combinare con estrema libertà la musica delle radici con suoni moderni e radiofonici. Spero di avere la forza di proporre un progetto del genere, correndo dei rischi, perché la mia carriera è praticamente cominciata ieri. Vorrei arrivare dove è arrivato Lorenzo Jovanotti, uno sperimentatore, uno che ama osare e se lo può permettere. Ha fatto scintille a New York. Che sia il momento degli italiani?».
Trentun anni, romana, Veronica Scopelliti in arte Noemi, passione per il canto e il pallino del cinema, non è il tipo di vocalist che si realizza in sala d’incisione. Per una che ambisce a diventare l’Etta James nostrana l’attività dal vivo è indispensabile. Ma nella capitale la scena è asfittica e gli impresari hanno paura di rischiare, anche con una come lei che in tre anni ha venduto 450mila copie. «Ultimamente quando contattavo il proprietario di un club mi diceva, quanta gente sei in grado di portare? Capisce? A Londra i musicisti vivono del loro mestiere, da noi invece sono quasi tutti disoccupati. Per me è ancora più difficile. Pensano che ho avuto fortuna solo grazie a X Factor.
Ma che scelte avevo? Cos’altro offre la tv? Io
non sono quella di un passaggio in playback e via, mimare la canzone mi mortifica. Qui riesco a vivere di musica, sono affascinata e stupita dalle persone che incontro, dalla passione che mettono nel loro lavoro. L’Italia è in una fase di panico che gela ogni cosa, anche la creatività. Intendiamoci, non sono venuta con l’idea di spopolare all’estero e di suonare alla Royal Albert Hall, ma solo per mettermi in discussione. Ho conosciuto una giovane cantante di jazz, Marta Capponi, mi ha detto: “Le mie certezze vacillavano, sono venuta a Londra in cerca di conferme”. Questo è esattamente il mio atteggiamento, la mia fuga è una sfida. Qui il livello è altissimo, nei club si esibiscono cantanti di prim’ordine, pensavo non mi prendessero neanche in considerazione. Invece è successo, ed è una bella soddisfazione. Ho bussato alle porte, come una qualsiasi principiante, e il passaparola è stato formidabile. Lo scambio con musicisti e autori è continuo, proficuo. Ho conosciuto un giovane produttore dubstep, Silkie, che mi ha già proposto degli arrangiamenti. È bello sentirsi apprezzata».
L’Italia non è poi così lontana. I connazionali la riconoscono, la fermano, le chiedono l’autografo, si meravigliano di trovarla sulla metro come una qualunque. Sono studenti o famiglie in vacanza, ma anche ragazzi in fuga, stanchi di far parte di quell’imbarazzante trentanove per cento di disoccupati. A due passi da casa c’è Coffee 4U che fa un ottimo cappuccino in tazzoni da mezzo litro, con tanta schiuma. Infine c’è il contingente dei musicisti italiani, piccolo ma agguerrito. «Ho conosciuto un chitarrista, Antonio Forcione, che vive qui dagli anni Settanta. Lo chiamano il Jimi Hendrix dell’acustica. Mi ha raccontato che a Roma non aveva prospettive di lavoro. A Londra vinse una gara di musicisti di strada; da lì è iniziato tutto, ha inciso diciassette album. Qui la meritocrazia paga, da noi senza la spintarella non si va avanti. Anche nel nostro lavoro. Vede, ogni epoca ha i suoi gap e per la musica non è un momento fantastico, ma un artista ha sempre e comunque le sue sfide da superare — oggi come negli anni d’oro della discografia. La prima per me è stata
X Factor, poi la ghettizzazione del talent show, infine lo sforzo di tirarmene fuori. Ho esordito eseguendo cover di soul e rhythm’n’blues. Il talent mi è servito per capire che posso cantare con la stessa forza anche in italiano ».
Suonano alla porta, è la signora dell’agenzia immobiliare che è venuta con una proposta d’acquisto. La accoglie Gabriele, che sta preparandosi ad uscire per una jam session al Ronnie Scott’s. «La mia vita londinese? Una routine rassicurante », conclude Noemi. «Mi sveglio, porto giù il cane, mi vedo con degli autori, incido provini, incontro produttori. Cerco di cantare ogni sera, e se non ci riesco mi sbatto per cercare un locale per la sera dopo. Questo è un paese che fa sognare. Che artista sei se smetti di sognare?». E se dovesse fallire? «Mi resta sempre la carta del cinema!».