Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 18 Giovedì calendario

INDAGATO IL RE DEI SONDAGGISTI «MANNHEIMER MAXI-EVASORE»

A suo modo, un’icona. Per certi versi, una sorta di oracolo. Con una para­bola molto italiana. Dal Maoi­smo alle poltrone di Porta a por­ta, dalla rivoluzione di piazza al­le prime pagine del Corsera. Sempre sul pezzo, sempre sulla cresta della notizia. Stavolta, pe­rò la notizia è lui. Renato Mannheimer, il sondaggista più fa­moso dello Stivale, finisce sotto inchiesta per reati fiscali. Tecni­camente si chiama «dichiarazio­ne fraudolenta dei redditi». Per dirla con i numeri a lui tanto ca­ri, è accusato di aver evaso il Fi­sco per 5,4 milioni di euro negli ultimi cinque anni. E l’accusa completa è di quelle che fanno il botto: associazione per delin­quere.
E così, la tegola cade sul Rena­ti­no nazionale nella tarda matti­nata di ieri, quando i finanzieri del Nucleo di polizia valutaria bussano alla Ispo - l’Istituto per gli studi sulla pubblica opinio­ne di cui Mannheimer è presidente- con un ordine di perquisizione firmato dalla Procura di Milano. Le fiamme gialle, poi, entrano anche nella sua abita­zione, e nelle sedi di altre cin­que società in Italia e all’estero, che assieme alla Ispo avrebbero messo in piedi il meccanismo per raggirare l’erario. «Non ne so nulla», è la sua scarna dichiarazione battuta dalle agenzie. «Non ho gli elementi per fare di­chiarazioni, quando li avrò le fa­rò». Questione di correttezza, e anche un po’ di abitudine. Per­ché in fondo è questo che fa, Mannheimer. Tradurre gli umo­ri in scienza. Capire prima le circostanze e poi- solo poi sbilan­ciarsi in previsioni e commenti. È lo stilema dei sondaggisti, ed così che Renato è diventato il nu­mero uno. Perché le sue previsioni riem­piono pagine di giornali prima di ogni elezione, e ancora pagi­ne nell’analisi del post-voto. Perché sui suoi grafici si lambic­cano schiere di politici a caccia di preferenze. Anche se capita che questa scienza esatta non sia poi tanto esatta, e qualche sfondone lo prenda pure lui co­me tutti i suoi colleghi, costringendolo a recitare il mea culpa. E l’ha fatto di recente, sempre dalle pagine del Corriere della Sera, spiegando che i sondaggi sono una cosa difficile, che in Italia sono sì rigorosi, ma il pro­blema è l’elettorato che è insta­bile, volubile, «last minute». Ma a Mannheimer l’errore si perdo­na, perché in fondo rappresen­ta­il volto rassicurante della ripe­tizione. Mannheimer nello stu­dio di Bruno Vespa la sera delle elezioni è come il presepe a Na­tale, l’afa ad agosto, il derby in notturna. C’è. Sempre.
Ed è rassicurante nonostante un percorso tutt’altro che linea­re. Perché sotto il completo gri­gio indossato a favore di teleca­mera e il capello brizzolato di og­gi, batte il cuore di un giovane contestatore nella Milano del post ’68, un rivoluzionario, un militante di gruppo di estrema sinistra- «Servire il popolo» - co­sì stralunato da somigliare più a una setta religiosa che a un mo­vimento politico. Uno che al­l’epoca ci mise assai poco a ri­nunciare alla ricchezza borghe­se perché «ero povero in canna raccontò in un’intervista al Cor­riere­ ed è stato facile»,e una vol­ta capito che «Servire il popolo» non l’avrebbe portato lontano, scelse il Pci, assieme a un grup­po di giovani tra cui la futura mo­glie Barbara Pollastrini, mini­stro per le Pari opportunità in quota Ds nel secondo governo Prodi. Uno di sinistra, poi di «centrosinistra», poi «indipendente», poi chissà. Dalla piazza al salotto di Vespa, che sta alla ri­voluzione proletaria come il ma­iale all’Islam, fino alla performance di qualche mese fa negli studi di La7, dove Mannheimer balla il twist e il Gangnam style. È Renato che va oltre Renato, ol­tre i numeri e i grafici, oltre il serio professionista del vaticinio elettorale. E diventa molto di più. Un personaggio, più di quanto non fosse già.
Solo che adesso c’è anche quell’accusa-associazione a de­linquere - che mette i brividi. In sostanza, avrebbe evaso 5,4 mi­lioni di imposte dirette e 1,6 mi­lioni di Iva. In pratica, secondo i pm funzionava così: Ispo riceve­va l’incarico di effettuare un sondaggio, e a lavoro completato lo faceva fatturare a una società di Tunisi. Il denaro rientrava poi nella disponibilità di Mannhei­mer e di Ispo attraverso conti correnti aperti in Lussemburgo e in Svizzera. Perché? Facile, per pagare meno tasse. Ed è ovvio che questa è solo un’indagi­ne, che l’accusa è appunto un’accusa,e che il reato esiste in ipotesi. Ma al netto del garanti­smo, ricorda un libro che Man­nheimer pubblicò pochi anni fa: L’Italia dei furbi.