Pietro Manzini, Lavoce.info 19/4/2013, 19 aprile 2013
IL PRESIDENTE E IL GOVERNO DELL’ECONOMIA
Si è dichiarata la incostituzionalità di John M. Keynes. L’articolo 81 della Costituzione riformato in base al fiscal compact riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra di governi, impone politiche economiche restrittive e soprattutto mette seriamente in dubbio la possibilità di politiche sociali che pure trovano un fondamento nella Costituzione; dunque la Costituzione contro se stessa”. Stefano Rodotà, che ha scritto queste parole (La Repubblica, 20 giugno 2012), probabilmente senza aver riflettuto sul fatto che il fiscal compact consente deficit pubblici quando l’economia va male a patto che da questi deficit si rientri quando l’economia va bene, è stato uno dei candidati alla Presidenza della Repubblica più votati nei primi scrutini. Mentre scrivo questa nota non sappiamo ancora chi sarà il nuovo inquilino del Quirinale. Ma vale la pena fare qualche ragionamento sui poteri del Presidente in relazione al governo dell’economia nazionale.
Ad esempio, il Presidente potrebbe opporsi all’applicazione rigorosa della regola dell’articolo 81 in favore di politiche di spesa?
La disposizione in questione originariamente prevedeva che ogni legge che importasse nuove o maggiori spese dovesse “indicare i mezzi per farvi fronte”. Luigi Einaudi pensava che in tal modo si fosse costituzionalizzato il principio del pareggio di bilancio, mediante un meccanismo che stabiliva che ogni spesa dovesse trovare una corrispondente entrata tributaria ovvero un’identica riduzione della spesa precedentemente deliberata. Ma negli ultimi quaranta anni, questa norma è stata interpretata e applicata in ben altro modo: ossia nel senso che essa permette che i mezzi per fare fronte alle nuove spese possano essere reperiti anche sul mercato, attraverso l’emissione di titoli di debito pubblico. La Legge finanziaria avrebbe dovuto razionalizzare e tenere sotto controllo la spesa, fissando annualmente l’entità del disavanzo e un tetto all’indebitamento. Tuttavia, in sede di approvazione parlamentare, la Finanziaria è sempre stata oggetto di un ‘assalto alla diligenza’ di emendamenti che gonfiano a dismisura la spesa pubblica.
Il nuovo testo dell’articolo 81, attuativo del fiscal compact, non prevede il pareggio di bilancio, bensì, più elasticamente, “l’equilibrio tra le entrate e le spese (…) tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Ma la vera novità sta nel limite al ricorso all’indebitamento. È consentito solo in due casi: a) al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e b) previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali, i quali sono fondamentalmente le forti recessioni economiche, le crisi finanziarie e le gravi calamità naturali.
IL RUOLO DI GARANZIA
Contro l’applicazione di questa norma e delle politiche a essa collegate, il Presidente ha armi spuntate. Astrattamente, potrebbe usare il potere di rinvio di una legge alle Camere che gli viene conferito dall’articolo 74 della Costituzione. Se ritiene che vi siano profili di illegittimità costituzionale in una legge adottata dal Parlamento, il Presidente può, con messaggio motivato, chiedere alla Camere una nuova deliberazione. Se però le Camere approvano senza modifiche, la legge deve comunque essere promulgata. Ma è ipotizzabile che tale potere possa essere concretamente utilizzato per chiedere una nuova delibera su un provvedimento diretto a mantenere l’equilibrio di bilancio? Sicuramente no. L’eco di tale iniziativa risuonerebbe forte a Bruxelles e nelle cancellerie europee, allertando l’Europa (e i mercati?) sui rischi di deriva del bilancio pubblico del paese. E potrebbe, all’inverso, il Presidente opporsi a una delibera di autorizzazione di ricorso all’indebitamento? Anche questo caso sembra irrealistico. Per come sono ormai interrelate le procedure di elaborazione delle politiche macroeconomiche degli Stati europei, una tale delibera dovrebbe essere stata in qualche modo concordata con l’Unione Europea e dunque, se il Presidente vi si opponesse si opporrebbe anche a quest’ultima.
La realtà è che, dopo le modifiche costituzionali derivanti dal fiscal compact, il Presidente è garante sia della Costituzione sia delle regole strutturali di governo dell’economia definite dall’Unione.
Tuttavia, come dimostrano anche le elezioni in corso, la figura del Presidente della Repubblica è in corso di trasformazione. Egli/ella non ha competenze effettive in materia di governo dell’economia, ma ha ormai assunto un soft power che può essere utilizzato verso l’esterno in funzione di garanzia del rispetto degli impegni presi sul piano internazionale e verso l’interno come rappresentanza delle istanze di carattere sociale provenienti dai cittadini. E questo è, in fondo, il moderno modo di interpretare l’articolo 87 della Costituzione che in una sola frase fotografa le funzioni del Presidente. Egli/ella è “il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”.