Lorenzo Cremonesi, Sette 19/4/2013, 19 aprile 2013
UN COMITATO DI SAGGI DECIDERÀ IL FUTURO DELLA CASA NATALE DI HITLER
Che fare della casa natale di Adolf Hitler? È il dilemma riproposto dagli scheletri negli armadi della politica austriaca, con ripercussioni ben più profonde del mero scontro tra partiti. Le sinistre vorrebbero donarla a un’organizzazione non governativa impegnata nel lavoro di testimonianza e denuncia contro le derive della follia totalitaria.
Si ipotizza un “museo della discussione” con tanto di cineforum, sale conferenze e mostre. Oppure una scuola popolare per adulti, o, ancora, un ricovero di accoglienza per immigrati. Tra le destre c’è chi, per contro, progetta di dividerla in diversi mini-appartamenti da affittare a privati, come fosse un edificio qualsiasi, a rimarcare l’esigenza di normalizzare e dimenticare un passato considerato morto e sepolto. Non manca però l’idea, abbastanza provocatoria, di trasformarla in clinica ostetrica, in nome “della vita contro la morte”.
Ce ne parla Christian Schlicher, esponente dell’estrema destra per il Partito della Libertà (il gruppo xenofobo fondato da Jorg Haider, oggi guidato da Heinz-Christian Strache) e vicesindaco della cittadina di Braunau, dove il 20 aprile 1889 venne alla luce il futuro dittatore. «Perché no? Potrebbero nascerci le generazioni dei nuovi austriaci», dice senza troppo fare caso a chi giudica per lo meno inopportuno associare il luogo natale di Hitler alla culla dei nuovi austriaci, tanto da prestarsi a possibili interpretazioni di ambigua continuità ideale. Ma il rischio che venga abitata da nostalgici neonazisti in doppiopetto resta in agguato. Così un gruppo di miliardari russi, sei mesi fa, si è offerto di acquistarla per qualsiasi cifra pur di poterla ridurre in macerie, scontrandosi però con il rifiuto unanime dei proprietari e dello stesso governo di Vienna. Il portavoce del ministero degli Interni, Karl-Heinz Grundbock, assicura che non sarà distrutta e neppure venduta. «Ci atterremo alle scelte di un comitato di saggi locali di Braunau eletto l’ottobre scorso, che dovrebbero essere presentate prima dell’estate 2013», spiega. Il tema scotta. «Non si può cancellare la storia. Per quanto dolorosa e terribile. Dimenticanza e memoria selettiva sono un cattivo viatico per il futuro. Ciò che vogliamo nascondere, sopprimere e negare poi, a un certo punto, inevitabilmente torna indietro più forte di prima», ci dichiara tra i tanti Robert Schindel, scrittore viennese 69enne, che proprio nel suo ultimo libro Der Kalte, apparso a metà febbraio, affronta la questione del rapporto – carico di ambiguità, rinvii, silenzi e ipocrisie – tra Austria e nazismo.
Cinquemila euro di affitto. Il problema è vecchio e nuovo allo stesso tempo. Da un anno e mezzo si è complicato con la scelta della proprietaria, la sessantenne Gerlinde Pommer, di rifiutare i lavori di ristrutturazione (in particolare la costruzione di un ampio ascensore e l’allargamento dei bagni) richiesti dalla “Lebenshilfe Oberösterreich” (Aiuto alla Vita), l’organizzazione caritativa che dalla metà degli anni Settanta aveva ottenuto l’appalto dal ministero degli Interni per le attività del suo centro di accoglienza per disabili mentali e portatori di handicap. «Uno schiaffo a Hitler. Nella sua casa natale ci stavano quelle stesse categorie di persone che lui avrebbe voluto eliminare con i programmi di eutanasia su larga scala», ricorda Schindel. Ma l’ostracismo dei Pommer ha causato l’abbandono dell’edificio. «Nessun cambiamento strutturale importante», ha imposto la signora Gerlinde. Così, dal settembre 2011 la casa è libera, seppur sempre affittata per quasi 5.000 euro mensili dal ministero degli Interni. «Uno spreco ingiustificato», hanno denunciato con forza l’estate scorsa i media locali e in particolare il quotidiano dell’Alta Austria, Oberösterreichische Nachrichten. I nodi sono subito venuti al pettine nella stessa Braunau. In ottobre infatti il neosindaco conservatore del Partito Popolare, Johannes Waidbacher, aveva proposto di affittare la casa a privati, scatenando però l’opposizione indignata delle sinistre, i cui timori per l’intrusione dei neonazisti (un’ipotesi che fu più volte paventata negli anni Sessanta) sono rafforzati da un recente rapporto dei servizi segreti interni, che segnalano dal 2012 la crescita preoccupante delle attività dei gruppi dell’estrema destra xenofoba e razzista nell’Alta Austria.
Nel documento si guarda con attenzione alla rinascita delle confraternite studentesche, dove il tradizionale antisemitismo (un aspetto classico sin dalla seconda metà dell’Ottocento) si mischia ora all’ostilità nei confronti dei musulmani, e soprattutto alle piccole cellule di neonazisti. Lo scorso 24 gennaio la polizia ha scoperto un nucleo di circa 200 militanti chiamato “Object 21” che stavano procurandosi armi ed esplosivo.
Corsi e ricorsi. Sin dall’arrivo a Braunau il 2 maggio 1945 le truppe americane si resero conto di avere per le mani la classica patata bollente. Ancora non avevano preso posizione sulle rive dell’Inn (il confine con la Germania è solo a poche decine di metri), che un gruppo d’assalto delle SS cercò di raggiungere il centro per distruggere il massiccio edificio a due piani dove nel 1889 risiedeva la famiglia Hitler. «Non ci riuscirono. Gli americani li fermarono appena in tempo. Ma da allora Braunau è segnata nel profondo dalla presenza imbarazzante e comunque incombente, incancellabile, del luogo dove il futuro dittatore nacque e visse sino all’età di tre anni», sottolinea il 64enne Florian Kotanko, preside del liceo locale, storico e soprattutto dirigente della commissione incaricata di trovare una soluzione sul futuro dello stabile. Lui alza le spalle quando gli si fa notare che tre anni sono pochi. Quando la famiglia Hitler traslocò, il giovanissimo Adolf ancora non andava a scuola. Sembrerebbe una casualità il suo periodo a Braunau, un mero, infimo dettaglio nella immensa tragedia corale del Terzo Reich. Eppure sufficiente a farne un luogo-mito, un simbolo, specie tenendo conto che non esiste la tomba di Hitler, come invece è il caso di Mussolini o Stalin. Il dittatore stesso nel primo capitolo del Mein Kampf (le sue memorie scritte in carcere negli anni Venti) vide nella sua nascita proprio a Braunau un segno del destino di architetto dell’Anschluss. A lui il compito di riunire nel nuovo impero ariano Germania e Austria, sorelle di razza e sangue. «In questa piccola città sulle rive dell’Inn, bavaresi per sangue e austriaci per nazionalità, dorati dalla luce del martirio tedesco, vivevano i miei genitori», scriveva, aggiungendo di considerare sua «massima fortuna» che il «fato» l’avesse fatto venire alla luce in quella regione. Tanto era simbolico il valore della casa che solo poche settimane dopo l’annessione dell’Austria al Reich, il 15 marzo 1938, fu Martin Bormann in persona a recarsi dalla famiglia Pommer, che dal 1912 era proprietaria dello stabile, per offrire una cifra sino a quattro volte superiore il suo prezzo di mercato pur di farne dono a Hitler. Sarebbe stato impossibile rifiutare una proposta di questo genere e per di più arrivata da uno dei massimi dirigenti nazisti. Da allora e sino alla fine della guerra lo stabile fu centro culturale e galleria per l’esposizione dell’ “arte” ariana e covo delle attività propagandistiche del regime nell’Alta Austria.
Molte verità scomode. Passeggiando per le vie pulite e ordinate della cittadina il grande edificio giallo slavato è al numero 15 della Salzburger Vorstadt, la via principale. Nulla ricorda il dittatore. Se non un largo masso di granito proveniente dalle cave del campo di concentramento di Mauthausen (situato presso Linz, circa 100 chilometri più a est) posto sul marciapiede prospiciente la facciata su cui è incisa la scritta: «Per la pace, libertà e democrazia. Mai più il fascismo. Alla memoria dei milioni di morti». Il nome di Hitler non appare mai. E i Pommer si sono fermamente opposti al fatto che sui muri della casa venisse appesa alcuna targa. L’unica scritta che è leggibile ancora ben in evidenza sull’intonaco è quella di “Biblioteca”, quale era la funzione di una parte dello stabile ai tempi del nazismo e poi a tratti negli anni Sessanta e Settanta. Per un certo periodo del dopoguerra fu anche la sede di una banca. Finestre ad arco, i muri in pietra spessi, macchie di umidità ovunque, una loggia coperta sul retro che testimonia di ricchezze passate. Costruita nel diciassettesimo secolo, fu prima birreria, poi locanda. Oltre 600 metri quadrati abitabili, più altri 200 con le cantine. Valore attuale meno di 500mila euro. «È necessario almeno un milione per le ristrutturazioni. Ma la signora Pommer bada poco a chi ci abita. L’affitto è assicurato, arriva in parte dal ministero degli Interni e in parte dalla municipalità. Per lei importa invece il senso di potere e influenza su tutto il Paese che le garantisce la pura proprietà della casa di Hitler», nota polemico Gunter Pointner, il 60enne vicesindaco socialdemocratico.
Così, lentamente, ma con coerente insistenza, torna a riproporsi il ruolo dei Pommer. «Il loro rapporto con la casa di Hitler è la metafora di quello tra l’Austria e il nazismo. Per tanti anni il nostro Paese ha giocato la parte della vittima, salvo poi scoprirsi alla prova dei fatti assolutamente complice. Per i giovani questo dato oggi è chiaro, evidente: l’Anschluss venne accolto con gioia dalla stragrande maggioranza della popolazione. Ma tanti anziani rifiutano di riconoscerlo e parlano ancora di occupazione unilaterale nazista», sostiene accalorata Brigitte Bailer, studiosa del Centro di Documentazione della Resistenza Austriaca a Vienna. Una curiosità: al referendum per l’approvazione dell’Anschluss sui quasi 4.000 elettori di Braunau furono 5 a votare “no”, e 3 di loro lo fecero nel seggio posto nella casa di Hitler. Già nell’autunno 1945 però le truppe di liberazione americane nella stessa casa vollero esporre le fotografie dell’orrore prese nei campi di concentramento di Bergen Belsen, Mauthausen, Auschwitz e nei tanti centri di detenzione e campi di lavoro minori sparsi in tutta la regione attorno a Braunau. «Una delle tante verità scomode è che una larga parte delle guardie nei campi di sterminio erano austriaci e moltissimi provenivano dall’Alta Austria», sottolinea polemica Maria Buchmayr, 41 anni, attivista del Partito Verde e membro del Consiglio Provinciale dell’Alta Austria dal 2009. A suo dire le “ambiguità” della famiglia Pommer sono a dir poco inquietanti, lo specchio di un Paese dove ancora tanti sono nel contempo fieri del passato nazista, ma anche riluttanti a parlarne. Curioso infatti che già nel 1954 ancora i Pommer abbiano insistito per riacquistare l’abitazione. «Chi glielo ha fatto fare? Era una casa maledetta dal fantasma di Hitler. Per loro la vendita ai nazisti nel 1938 era stata un grande affare. Perché dopo tutti gli orrori della guerra sono tornati a comprare proprio quella casa, che tutto sommato era stata loro solo per poco più di un ventennio?», si chiede ad alta voce lo stesso Kotanko. «La passività e il silenzio danno potere alla signora Pommer. La fanno sentire importante, al centro del dibattito. E forse c’è qualche cosa di più. Ma lei ha un carattere difficile. Non accetterà mai di parlare di queste cose in pubblico o con estranei», rincara Pointner. La signora Pommer non dà risposte. Non accetta di vedere i giornalisti e anzi è stata attaccata più volte dai media locali. Non ha figli. Conduce un’esistenza appartata assieme al marito, che non ha voce in capitolo. Proviamo a chiamarla. Nessuna risposta. Ci viene indicato il suo avvocato, Karl Nobauer. Ma lui fa rispondere alla segretaria, che è lapidaria: «Non posso commentare su questo tema. E l’avvocato è occupatissimo, sarà assente tutta la settimana. E magari anche la prossima. Arrivederci», e appende subito.
A una decina di metri dal portone della casa sta la gelateria di Massimo Baccili, immigrato da Lucca nel 1988. Lui quando la visitiamo è assente. Ma risponde una commessa: «A noi che questa sia la casa di Hitler non crea alcun problema. Anzi, quando ci sono gli assembramenti di gruppi della destra e sinistra in occasione delle ricorrenze del suo compleanno vendiamo più gelati». Al caffè di fronte danno risposte simili. Gran parte dei 16.000 abitanti di Braunau chiaramente vorrebbero che la loro città fosse nota al mondo come un tranquillo centro turistico. La proloco incentiva i percorsi in bicicletta lungo l’Inn, la visita alle chiese medievali, i parchi naturali tra le colline. Nella libreria ben fornita in centro si trovano solo tre titoli di storia locale sulla “Città di Hitler” e due sottolineano il ruolo della resistenza anti-nazista, che fu comunque un fenomeno minoritario. Riassume Schindel: «Il grande salto di qualità nella percezione austriaca del passato nazista avvenne durante la fine degli anni Ottanta, quando Kurt Waldheim era presidente. Fu allora che il Paese comprese la profondità e la popolarità della sua adesione al nazionalsocialismo. Il dibattito sul suo passato divenne quello dell’identità nazionale. E per questo motivo la casa di Hitler conserva anche oggi un grande significato. Distruggerla sarebbe da codardi. Ma va impedito che diventi meta di pellegrinaggio per i nazisti del futuro».