Stefano M. Morelli, Sette 19/4/2013, 19 aprile 2013
IL PAESE DELLE ESECUZIONI
Un cittadino pakistano, un saudita e un terzo la cui nazionalità era sconosciuta. Sono i tre uomini che, a inizio aprile, sono stati impiccati nel piazzale del carcere di Kuwait City, con l’accusa di omicidio. Si è trattato delle prime esecuzioni dopo il maggio del 2007 e, come prevedibile, il fatto ha suscitato le reazioni critiche di organizzazioni internazionali come l’Unione Europea e di organizzazioni non governative, tra cui Amnesty International, che da sempre lotta contro la pena capitale. La strada verso l’effettiva esecuzione della pena di morte in Kuwait è lunga: occorrono tre gradi di giudizio che riconoscano gli imputati colpevoli del reato loro attribuito e, dopo questo iter, l’esecuzione deve essere ufficialmente approvata da un’autorità di rango superiore. I reati per cui è prevista la pena capitale sono l’omicidio, il rapimento con la minaccia o l’intento di uccidere o stuprare l’ostaggio, vari tipi di reati sessuali e di crimini connessi alla produzione e allo spaccio di droga. Soltanto l’anno scorso, nel maggio 2012, il parlamento kuwaitiano aveva addirittura esteso i casi cui applicare la pena di morte al reato di blasfemia. Dal 1964 al 2007 erano state 72 in tutto le esecuzioni commesse in Kuwait, Paese che gode della fama di uno dei più democratici di tutta l’area mediorientale. La regione del Medio Oriente rimane una di quelle dove la pratica è più diffusa. Nonostante l’ultimo rapporto di Amnesty International riporti che, ogni anno, si registrano progressi a livello mondiale circa l’abolizione della pena capitale. Nel 2012, il maggior numero di esecuzioni al mondo, tolta la Cina, i cui dati non vengono resi noti, si è registrato in tre Paesi dell’area: l’Iran con più di 300 casi, l’Iraq (129) e l’Arabia Saudita (79). Lo Yemen segue a distanza con circa 30 esecuzioni. Nel rapporto non figurava il Kuwait ma, l’anno prossimo, tornerà a essere incluso.