Chiara Mariani, Sette 19/4/2013, 19 aprile 2013
IL GUERRIERO CHE USAVA LA PENNA E LE IMMAGINI
Quando in America un uomo di colore è ancora un negro, Gordon Parks sulle ali del suo genio vola oltre ogni pregiudizio. Nato nel 1912 nel Kansas, figlio di contadini, ultimo di quindici fratelli, avverte nella fotografia, che incrocia per caso sulle pagine delle riviste dell’era pre-televisiva, la voce per intonare le prime note di un’identità collettiva. Scrittore, poeta e musicista, è il primo nero a penetrare nelle roccaforti del potere bianco americano fino ad approdare a Hollywood nel 1965 come regista di un film, The Learning Tree (Ragazzo la tua pelle scotta, ndr), prodotto dalla Warner Bros e tratto da una delle sue tre autobiografie, per cui scrive anche la sceneggiatura e la colonna sonora. Gordon Parks sin dagli inizi illumina la realtà con la sua visione, narra e commenta la diversità e la complessità del suo Paese e, complice la magia del suo sguardo, è il primo fotografo nero a varcare la soglia della rivista Life. Lo introduce Roy E. Stryker, direttore del progetto governativo della FSA (Farm Security Administration) sollecitato dal presidente Roosevelt, nato per documentare con l’immagine e la scrittura le conseguenze della depressione. Il progetto, che tanto lo aveva affascinato negli Anni 30, negli Anni 40 lo coinvolge da protagonista accanto a fenomeni come Walker Evans, Dorothea Lange e Carl Mydans.
Vogue, la prima conquista. Il primo miracolo era avvenuto prima. Dopo aver affrontato, per vivere, ogni tipo di mestiere, tra cui quello di cameriere su un treno della North Coast Limited dove sfoglia avidamente le riviste abbandonate che gli suggeriscono una nuova attività, entra in possesso della sua prima macchina fotografica per 7.5 dollari e, nel 1940 a St. Paul nel Minnesota, già padre di due figli, si avventura in un negozio per bianchi dove si confezionano esclusivi abiti da donna. Chiede di fotografare le produzioni e la reazione brusca del proprietario è mitigata dall’intervento della moglie, Madeline Murphy, che Parks non dimenticherà per tutta la vita. Lei gli offre una possibilità e poi un’altra ancora, fino quando entra nel negozio la moglie del pugile Joe Louis che lo invita nell’arena della moda di Chicago. I servizi fotografici realizzati in questa città costituiscono il cavallo di Troia per espugnare la prima delle fortezze dell’impero: Vogue. Quando nel corso della sua vita gli chiedono come abbia fatto a non cedere all’odio in un mondo dove i neri erano segregati anche dopo la morte nei cimiteri appositi, oltre che da vivi nelle scuole, nei cinema, sugli autobus, nei semplici negozi di alimentari, Gordon ricorda tutte quelle persone che nel momento del bisogno lo hanno allontanato dalle tenebre del razzismo con una semplice parola. Madeline Murphy figura in cima alla lista, e dal suo primo incarico questo giovane uomo senza istruzione decide fermamente che la fortuna non lo avrebbe mai trovato impreparato. Intraprende la scoperta e la conquista del mondo portandosi nel cuore il consiglio semplice della mamma persa in giovane età: «Lavora duro e abbi fiducia in te stesso».
Dalla moda alle gang di Harlem. Le signore di Chicago non saziano la sua sete di conoscenza e la sua ansia di denuncia. Si concentra sulla zona sud della città, dove la povertà dilaga e affonda le fauci nella vasta comunità nera. Dopo un anno riceve la chiamata di Stryker e a Washington D.C., proprio negli uffici della FSA, scatta la sua fotografia più famosa nota con il titolo American Gothic: il ritratto dell’inserviente di colore Ella Watson armata di scopa e spazzolone davanti alla bandiera americana. Le scene di miseria apocalittica sperimentate a Chicago e a Washington sono solo l’antipasto di ciò che lo aspetta sulla Lenox Avenue: «Harlem stava esplodendo… le vetrine dei negozi dei commercianti bianchi finivano in frantumi… bottiglie molotov improvvisate con stracci e benzina scagliate contro le forze dell’ordine... La libertà aveva intrapreso la direzione sbagliata». Nel corso degli anni la disperazione della popolazione nera di New York costituisce il cuore della sua produzione, incontra il favore degli emarginati e conquista la fiducia dei capi gang che considerano la violenza l’unica risposta a un mondo che li opprime.
Nemmeno la guerra unisce una nazione ossessionata dal colore della pelle e quando Parks è chiamato a documentare la vita dei piloti neri che, come gli omologhi bianchi, affrontano il pericolo che ha il volto della Luftwaffe, scopre che il pregiudizio è più forte della morte. Fare pubblicità ai piloti negri è sconveniente.
Inviato in Europa, l’elegante Parks si ritrova nella mecca dell’alta moda, circondato dai nomi melodiosi di Chanel, Dior, Balenciaga… ma l’occhio cade anche su chi non luccica e a questi dedica una parte della sua produzione fotografica e poetica. Dice di due anziani presso la Senna che «non hanno né una stella né un sogno da offrire… Lentamente sollevano i loro occhi, chiedono di essere lasciati in pace. Io, l’intruso, scappo via con una poesia confusa che mi agita dentro». Nel 1949 a Parigi riceve una chiamata. Deve recarsi a Stromboli. Sarà l’unico giornalista ammesso sul set dal ruvido Roberto Rossellini e da Ingrid Bergman, infastiditi e spaventati dai pettegolezzi che inseguivano la loro storia illecita. In Portogallo invece si intrufola tra i monarchi deposti: re Carol di Romania e la sua amante, Don Juan di Borbone, Umberto II… «ingrigiti, aggrappati ai loro titoli privi di significato, giacciono nella mia memoria come fiori sprecati che appassiscono in un obitorio regale».
Il concerto e il balletto. Quando ritorna in America nel 1952, «il razzismo è ancora nell’aria e i neri arrabbiati, stanchi di aspettare, ne chiedono la fine», mentre da oltreoceano giunge l’ennesimo riconoscimento: a Venezia, al Palazzo dei Dogi, avrebbero eseguito il suo concerto per pianoforte. L’amico Dean Dixon, che lo aveva ascoltato mentre eseguiva alcuni accordi al pianoforte, era stato di parola: aveva preso i bizzarri spartiti tracciati da Gordon, a digiuno di qualsiasi nozione di armonia, e li aveva fatti trascrivere da un amico secondo le regole richieste dalla logica del pentagramma.
In patria la sinfonia è diversa. I neri sono braccati e braccato è lui stesso nel 1956 quando per lavoro si reca in Alabama: «Quel negro che fa le fotografie è dannatamente fortunato. Se l’avessimo preso gli avremmo coperto la testa con il catrame e le piume». Dirà lui più tardi: «Se guardo indietro e considero la rivoluzione nera degli anni ’60, capisco perché ci siamo rifiutati di aspettare la giustizia della Corte Suprema».
Da Malcolm X alle Black Panthers. La turbolenta rivoluzione nera cresceva velocemente e lui, il nero di Life, era il candidato ideale del giornale bianco per raccontare ciò che avveniva tra le fila agitate del carismatico Malcolm X. Rifiuta l’incarico di Elijah Muhammad, la mente di Nation of Islam che aveva ammaliato anche Cassius Clay-Muhammad Alì, che gli offre 500 mila dollari per realizzare un film sulla loro organizzazione: i suoi principi non prevedono il controllo del committente su ciò che produce. Uccidono Martin Luther King, in onore del quale Parks scrive un balletto, e uccidono anche Malcolm X. Di entrambi fotografa il funerale. Da questo momento la rabbia nera ha i connotati delle Black Panthers che Gordon Parks non tarda a contattare e a frequentare con il solito scopo di capire e divulgare. Dopo aver condiviso a lungo con la sua gente il dolore della segregazione e la ricerca degli strumenti meno efferati e più efficaci per combattere l’oppressione, Gordon Parks si accorge di averli sempre avuti con sé: la penna e soprattutto la macchina fotografica. Mezzi di denuncia e di ricerca: «Tiranni, dittatori, re detronizzati, accattoni, regine, harlots, preti, the uplifting and the despoilers. Tutti guardavano la mia macchina fotografica con occhi privi di protezione. La macchina svelava ciò che erano: essere umani prigionieri di se stessi».