Roberto Giardina, ItaliaOggi 18/4/2013, 18 aprile 2013
OBAMA ALLA RICERCA DI UNA FRASE
Obama arriva a fine giugno a Berlino, notizia non ancora ufficiale ma data per sicura. Il presidente approfitterà del vertice G8 per passare poi dalla capitale tedesca. Verrà a celebrare, si spiega, i 50 anni dalla visita di John Kennedy, quando, all’inizio dell’estate 1963, il presidente americano pronunciò la storica frase: «Ich bin ein Berliner», anch’io sono un berlinese.
Neanche cinque mesi dopo lo uccisero a Dallas. La ricorrenza è un bel pretesto per venire in aiuto di Frau Angela a cento giorni esatti dalle elezioni (22 settembre).
La Cancelliera non avrebbe bisogno di spinte, a stare agli ultimi sondaggi distanzia nelle preferenze personali lo sfidante socialdemocratico, il maldestro Peer Steinbrück, per 67 a 47, e il suo partito Cdu sopravanza l’Spd per 38 a 28. Ma non si sa mai, a causa della complicata legge elettorale. La Merkel è una fedele alleata, benché non risparmi critiche agli amici americani, e per Obama la signora prussiana rappresenta l’Europa. Si fida solo di lei.
Sicuramente, un team di cervelli è già all’opera a Washington per escogitare una nuova frase che non sfiguri al paragone di Kennedy. Ognuno ci tenta, ma non è mica facile. Non male Ronald Reagan, che davanti alla Porta di Brandeburgo esclamò: «Mister Gorbaciov, tiri giù quel muro». Fece meglio, nel 1979, il nostro Pertini, alla sua prima visita all’estero. Individuai la torretta su cui lo avrebbero condotto, e ci andai un’ora prima con un collega.
Poi, gli agenti tedeschi ci volevano far sgombrare, la torretta era off limits, ma noi restammo abbarbicati in cima, e loro si arresero. Un corvo ci volò sotto il naso, e il presidente esclamò: «Quell’uccello può volare da Est a Ovest, ma se fosse un uomo gli sparerebbero addosso. Se la mia Genova fosse divisa da un muro prenderei un fucile per combattere». Nessuno dei tedeschi capì qualcosa, ma, dato che non credo agli scoop, tradussi la frase e la riferii ai colleghi in basso. Credo sempre che il giornalismo sia un’altra cosa. Pertini conquistò titoli a nove colonne in prima pagina e il cuore dei tedeschi.
Tutta farina del suo sacco. Per Kennedy la frase fu trovata dal consigliere Schlesinger. Gliela scrisse in tedesco secondo la pronuncia inglese «Eek bean aeen Berliner». E gliela fece provare più volte: a dimenticare l’«ein», in tedesco suona come «io sono un Krapfen». Non la recitò davanti al Muro, ma dal balcone del municipio di Schöneberg, il quartiere roccaforte degli omosessuali, ieri e oggi. Poco distante si trova la vera pensione dove visse Christopher Isherwood, l’autore di Good by Berlin, da cui fu tratto Cabaret. Ma questo non c’entra.
Caduto il Muro, un tassista dell’Est oltre un quarto di secolo dopo ancora recriminava: «Avrebbe dovuto dire Ich bin ein Westberliner, un berlinese dell’Ovest, a noi dell’Est nessuno pensò». A pensarci si sarebbe rischiata la terza guerra mondiale. Quando, nell’agosto del ’61, gli riferirono che si stava costruendo un muro a Berlino, Kennedy sorrise: la guerra non ci sarebbe stata, un muro è sempre un’opera di difesa. È probabile, ora si mormora, che Mosca l’avesse avvertito per tempo di quali fossero le sue intenzioni, per non spezzare l’equilibro tra Est e Ovest. Kruscev non avrebbe azzardato una mossa rischiosa al buio. Kennedy probabilmente lo sapeva già, ed era d’accordo. Nessuno potrà mai provarlo, però sembra logico.
Oggi, la maggioranza dei tedeschi ha nostalgia del Muro, come del Deutsche Mark, ma non credete ai sondaggi. Si risponde «sì» perché ieri eravamo più giovani, nessuno vorrebbe veramente dividere Berlino con il cemento, e tornare a pagare in marchi. Neppure l’ultimo disoccupato della scomparsa Ddr. Né i contribuenti dell’Ovest che continuano a pagare la tassa straordinaria per la ricostruzione.