Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 19 Venerdì calendario

CON LE RUOTE DI SCORTA

Un socio che scoppia di salute , ma con cui è in guerra. Una grande azienda, la Pirelli, che in Borsa perde terreno, mentre la holding Camfin quota "a premio", e vale molto più di quel che contiene (cioè la Pirelli stessa) in vista di possibili scalate. Una pattuglia di amici chiamati in soccorso, dall’industriale farmaceutico Luigi Rovati al gestore del ristorante dei calciatori Xavier Zanetti e Esteban Cambiasso. Un piano industriale che continua a essere rinviato. Un flusso di cassa che nel 2012 - nonostante un bilancio in forte utile - è stato negativo proprio mentre nel mondo il settore pneumatici andava a gonfie vele. Un difficile decollo in Russia. E una vera e propria fuga tra i manager di prima linea .
È questa la primavera più calda di Marco Tronchetti Provera da quando lo spettro dei suoi interessi industriali si è concentrato solo sul business delle gomme. Venduti i cavi, in via di abbandono il mattone, l’impero dell’imprenditore milanese avrebbe in teoria le carte in regola per dare grandi soddisfazioni. La Pirelli, da sempre un marchio molto forte, equipaggia da tre anni i bolidi della Formula Uno, con uno spettacolare ritorno d’immagine. E anche l’anno scorso il gruppo è riuscito a beneficiare della strategia impostata negli ultimi anni: vendere pneumatici di alta gamma, più costosi e redditizi, abbandonando le produzioni di massa. Così, nonostante la recessione che colpisce l’Italia e l’Europa, anche il 2012 si è chiuso con ricavi e margini in netto aumento, beneficiando di una presenza consolidata in Asia, Stati Uniti e America Latina.
In questo contesto, colpisce la staffilata arrivata alla Pirelli dall’ufficio studi di Mediobanca, uno dei soci che permettono a Tronchetti di mantenere la presa sul gruppo grazie al patto di sindacato che custodisce il 45 per cento della Pirelli. Gli analisti della banca d’affari hanno ridotto da 7,7 a 7 euro il prezzo obiettivo del titolo, confermando il negativo giudizio "underperform". Una valutazione che riflette il pessimismo sull’andamento del mercato europeo, ma anche la sfiducia nelle possibilità di raggiungere gli obiettivi reddituali indicati per il 2013. Anche se altre case d’investimento fanno previsioni più favorevoli (Hsbc vede il titolo a 10 euro), è però vero che la Pirelli ha dato negli ultimi tempi segnali contrastanti. Il continuo rinvio della presentazione del piano industriale (doveva arrivare sei mesi fa, è slittato a novembre) è motivato, dice l’azienda, «con le incertezze macroeconomiche legate alla crisi europea» che impone di dirottare sui mercati in crescita parte delle gomme prodotte dove la domanda è debole. Una spiegazione plausibile, ma che non tranquillizza del tutto alcuni osservatori. Per due diversi motivi.
Il primo è che, a dispetto della buona performance, sui conti suona qualche campanello d’allarme. Ci sono le attività nei filtri per i motori, che Pirelli ha acquistato dalla holding Camfin quando sembrava dovessero fare sfracelli e che, negli ultimi due anni, le hanno fatto perdere 70 milioni attribuiti «alla crisi dell’auto». Nel 2012, un anno record per l’industria degli pneumatici, Pirelli ha poi aumentato l’indebitamento finanziario netto di 468 milioni (da 737 a 1.205). Un dato non preoccupante in sé, ma che colpisce perché diversi concorrenti hanno chiuso l’anno con un flusso di cassa positivo: dagli 800 milioni di Michelin al miliardo e mezzo di Continental (vedere il grafico a fianco).
Il secondo motivo di preoccupazione riguarda invece il fatto che il rinvio del piano industriale segue un periodo in cui dall’azienda sono usciti ben sette manager di alto livello. Il primo è stato il direttore generale, il toscano Francesco Gori, uno dei manager più apprezzati nel settore, in Pirelli dal 1978. Le sue dimissioni, arrivate la primavera scorsa, sono rimaste senza spiegazioni ufficiali; pochi mesi prima, però, Tronchetti si era attribuito la responsabilità diretta di due mercati cruciali come l’Europa e la Russia. E proprio sul modo di avviare l’assalto russo aveva imposto un cambio di rotta che per ora non sta regalando troppi sorrisi (vedere il box nella pagina a fianco). Dopo Gori, poi, sono andati via i capi dei business auto e camion, quello della logistica, nonché i responsabili regionali di Europa, Asia e Sud America. Un esodo massiccio, che ha sorpreso gli esperti delle gomme.
Il problema, per Tronchetti, è dunque capire se questa velocità di marcia sarà sufficiente per macinare quegli utili che gli servono. I dividendi che Pirelli distribuisce, tra i più alti nel settore, devono infatti risalire il lungo sentiero di società finanziarie che gli sono necessarie per mantenere il controllo del gruppo. E l’impressione è che proprio la debolezza relativa del dominus possa scatenare nei prossimi mesi una battaglia decisiva per conquistare il potere in Pirelli. È stato lo stesso Tronchetti a cercare l’aiuto di diversi investitori, trattando l’ingresso tra i soci dei fondi Clessidra di Claudio Sposito e Investindustrial di Andrea Bonomi. Un’intesa sfumata perché non si è trovato l’accordo su come gestire la coabitazione (la formula ufficiosa riguarda i vincoli sulla governance) e perché nel mezzo delle trattative Tronchetti ha estratto dal cilindro una serie di alleati più piccoli che l’hanno finanziato in cima alla catena di controllo dandogli le risorse per placare le banche: la Rottapharm di Rovati, il finanziere Sigieri Diaz e Federico Enrichetti, socio del ristorante milanese di Zanetti e Cambiasso.
La rottura con Sposito e Bonomi ha però bloccato ogni possibile soluzione dello scontro con Vittorio Malacalza, l’industriale genovese di origine piacentina che nel 2009 era stato presentato come il salvatore della patria e il partner industriale che Tronchetti cercava da tempo. Ma che, poco dopo aver sganciato 100 milioni per entrare nella cassaforte Gpi e nella holding quotata Camfin, ha cominciato ad avere il sospetto che il presidente della Pirelli avesse in mente per lui e per i figli Davide e Mattia un ruolo di socio danaroso ma dormiente. Malacalza è contrario alla corposa distribuzione dei dividendi indispensabili a Tronchetti e non vuol sentir parlare di cessioni. Emblematica la querelle, sottotraccia, del cosiddetto "cord steel", il cordino d’acciaio che serve per i pneumatici radiali. Un business che, nonostante il sito Pirelli lo definisca "un valore aggiunto", si dice possa essere venduto per incassare 400-500 milioni.
Il sistema di scatole cinesi con cui Tronchetti controlla il gruppo parte da una finanziaria nella quale la sua famiglia ha il 69 per cento. E più si scende dalla vetta (vedere il grafico) più si riducono le percentuali attribuibili ai Tronchetti. I Malacalza, di fatto, sono gli azionisti più importanti, perché sulla base dei loro pacchetti in Gpi e Camfin, arriverebbero al 6,7 per cento di Pirelli. I Tronchetti si fermano invece al 4,4. Sommando tutti i soci-amici del presidente, tra cui Massimo Moratti, la loro quota sale però al 7,8.
È forse perché possono rappresentare un rivale pericoloso che la luna di miele con i Malacalza è durata poco. E dopo un periodo di punture di spillo il conflitto è esploso nell’estate 2012, su una divergenza apparentemente tecnica. Per ripianare alcuni debiti con le banche, la Camfin aveva bisogno di soldi. E Malacalza, che lo stesso Tronchetti aveva presentato in famiglia come una persona a cui dovere riconoscenza infinita, quei soldi ce li voleva mettere. In contanti. Anche comprando azioni prive di diritto di voto. Tronchetti ha preferito puntare invece sull’emissione di un prestito da 150 milioni, con scadenza 2017, che ha fatto felici le banche collocatrici e mandato su tutte le furie i Malacalza. I quali, a sorpresa, hanno fatto sapere di non essere interessati a nessuna ipotesi di uscita, neppure con una liquidazione che gli farebbe guadagnare parecchi milioni. Vogliono a tutti i costi diventare un socio sempre più coinvolto nelle scelte industriali. Molti fondi di private equity hanno sul tavolo il dossier Pirelli e stanno alla finestra. E Malacalza non vede l’ora che scada - tra un anno - il patto di sindacato che coinvolge gli storici alleati di Tronchetti: Allianz, Generali, Fonsai e i Benetton. A quel punto i giochi si riaprirebbero e lascerebbero in secondo piano le cause e ricorsi che impegnano gli avvocati dei due rivali. La partita si sposterebbe sul controllo. Con i genovesi pronti a mettere altri soldi sul piatto. E Tronchetti con la speranza di trovare nuovi alleati in grado di scommettere cifre pesanti. E di lasciarlo al volante, ovviamente.