Leonardo Clausi, L’Espresso 19/4/2013, 19 aprile 2013
NIENTE WELFARE SIAMO INGLESI
Aprile è il più crudele dei mesi, secondo la folgorante apertura de "La Terra Desolata", il poema modernista di T. S. Eliot. E in questo aprile la Gran Bretagna si è davvero svegliata un po’ più desolata. È successo qualcosa: di crudele per moltissimi disoccupati, di giusto secondo altrettanti contribuenti. Un cinico taglio di sussidi per i primi, l’agognato inizio di un urgente risanamento per i secondi.
Questo, a seconda dei punti di vista, è il "Welfare Reform Act", il più radicale disboscamento dello Stato sociale mai tentato dal 1945. Un intervento enorme, grazie al quale il mito ideologico fondativo dei conservatori, cioè la contrazione compulsiva della funzione dello Stato rispetto a quella del mercato, provvidenzialmente legittimata dall’ingente debito pubblico (2 mila miliardi di dollari, Moody’s per questo ha recentemente tolto al Paese la Tripla A), riceve una robusta spinta in avanti. Con milioni di famiglie appartenenti ai ceti più deboli investite dalla politica di rigore introdotta dal governo di coalizione di destra in carica.
Firmata del triumvirato Cameron-Osborne-Duncan Smith, rispettivamente primo ministro, cancelliere dello Scacchiere e ministro del Lavoro tory, appoggiata non senza qualche remora dai liberal-democratici di Nick Clegg, la riforma rappresenta una virata dalle implicazioni epocali per il tessuto sociale del Paese. L’esecutivo la introduce per porre fine a uno Stato sociale, secondo David Cameron, «non solo economicamente insostenibile, ma che intrappola le persone nella povertà, che incoraggia l’irresponsabilità, che diffonde segnali incredibilmente dannosi, come il fatto di credere di avere diritto ad avere qualcosa senza dare nulla in cambio. E che il non lavorare renda».
Si tratta di interventi che non è esagerato definire di macelleria sociale e grosso modo in linea con l’offensiva antikeynesiana cavalcata a briglia sciolta dalla troika Ue, Bce, Fmi sulle perenni note del mantra dell’austerity. Roba che va al di là dei sogni proibiti della compianta MargaretThatcher, la quale peraltro i sussidi li aumentò e sulle cui orme sia la destra sia il centrosinistra blairista hanno continuato a camminare. Andando, ora, ben oltre quanto vagheggiato dalla stessa "lady di ferro".
L’intervento si articola in ben 42 cambiamenti al sistema degli assegni familiari e punta a risparmiare 18 miliardi di sterline l’anno (oltre 21 miliardi di euro) dal budget per la sicurezza sociale a partire dal 2015. Da subito il governo spenderà 16,5 miliardi in meno in benefit e agevolazioni. Secondo l’ente benefico Child Poverty Action Group la maggior parte dei tagli andrà a colpire le famiglie meno abbienti. Dice il direttore Alison Garnham: «Il Cancelliere George Osborne sostiene che ne trarranno giovamento le famiglie con bambini che lavorano sodo e ambiscono a farcela, a salire la scala sociale. In realtà la maggior parte delle famiglie a basso reddito ha poche ragioni per rallegrarsi e molte per spaventarsi. Saranno 600 mila in più i bambini che scivoleranno nella fascia della povertà».
Le tre maggiori e più controverse misure già in atto sono la cosiddetta Bedroom Tax, l’abolizione dei sussidi per la casa e un abbassamento del tetto degli assegni familiari. La natura di alcuni di questi provvedimenti è di carattere essenzialmente punitivo e punta, secondo chi li ha voluti, a far ravvedere coloro che approfittano del welfare in maniera parassitaria preferendo vivere di sussidi anziché cercarsi un lavoro vero e proprio, e che la scioccante vicenda della famiglia Philpott (vedi box a fianco) simboleggia in modo emblematico. Scopo della Bedroom Tax è quello di combattere il sovraffollamento delle case popolari e razionalizzarne l’utilizzo. Chi si trova in età lavorativa e richiede il sussidio di disoccupazione avendo a disposizione una stanza da letto inutilizzata in alloggi popolari perderà il 14 per cento dei propri assegni familiari e il 25 per cento nel caso abbia più di una stanza vuota. Le famiglie che rientrano in questa categoria sono circa un milione. Si intende così spingerli a cercarsi delle case più piccole in modo da lasciare quelle più grandi ad altre famiglie più numerose in lista d’attesa e che ammontano, secondo il governo, a 1,8 milioni di individui. In teoria, ma soltanto in teoria, un provvedeimento equo. Ma l’opposizione laburista e le associazioni religiose del Paese criticano la misura per ragioni pratiche oltre che etiche: nel Nord, tradizionalmente l’area più povera del Paese, le famiglie che hanno una stanza in più rispetto alle necessità sono il triplo di quelle che vivono in appartamenti sovraffollati. E tutte (si stimano in 660 mila persone) si vedranno ridurre i contributi per un risparmio di 465 milioni l’anno.
Non solo: molte di queste famiglie appartengono a una categoria abbondantemente (e odiosamente) tartassata: quella dei disabili. I quali vedono il loro sussidio ("Disability living allowance"), sostituito dal "Personal independence payment". In pratica, anziché essere erogati soltanto in base alla disabilità, d’ora in poi gli assegni lo saranno secondo gli effetti che questa produce sul soggetto, portando a una riduzione degli stessi. Le valutazioni d’idoneità non avverranno più per iscritto, ma attraverso un colloquio, con il comprensibile stress psicologico di chi dovrà sottoporvisi. Circa 500 mila persone perderanno il sussidio.
C’è poi l’introduzione del "Universal credit", un unico benefit di disoccupazione che ne sintetizza ben sei dei precedenti e digitalizza la ricerca d’impiego affiancando Internet ai tradizionali job centre, gli uffici di collocamento.
Lo storico sistema del sussidio per la casa (il Council tax benefit), il cui costo era aumentato del 50 per cento sotto il precedente governo Labour ed era amministrato da un unico dipartimento per il lavoro e le pensioni, sarà decentrato e trasferito localmente, non prima di ricevere una riduzione al proprio budget del 10 per cento. Sono quasi 6 milioni le famiglie a basso reddito su tutto il territorio nazionale che se ne avvalgono. Secondo stime dell’Institute for Fiscal Studies citate dal "Guardian", questa mossa avviene in un momento in cui il finanziamento degli enti locali è sceso del 26,8 per cento in due anni, provocando, fra le altre cose, un aumento della council tax, l’imposta comunale che interessa 2 milioni e mezzo circa di famiglie. Scompare inoltre l’aiuto legale gratuito per le famiglie che guadagnano meno di 32 mila sterline l’anno.
Altrettanto drastico il trattamento riservato al Nhs, il sistema sanitario nazionale tanto celebrato dalla cerimonia di apertura delle Olimpiadi dell’estate scorsa, che vede trasferire sulla già oberata categoria dei medici e delle infermiere la responsabilità della propria gestione amministrativa dopo una massiccia dose di licenziamenti. Varrà un risparmio di 5 miliardi.
Infine il provvedimento-simbolo che ha saputo parlare alla pancia del Paese, con plauso irrefrenabile da parte della stampa tory e di Rupert Murdoch e che gode del pieno sostegno dell’opinione pubblica, almeno stando ai sondaggi. Dal 15 aprile, e per ora soltanto in alcune zone pilota del nord e del sud di Londra, è stato introdotto un tetto massimo ai benefit richiesti pari al reddito familiare annuale medio, fissato a 26 mila sterline (poco più di 30 mila euro). Che possono sembrare tanti soldi ma che, nella carissima capitale, ad esempio, non sono sufficienti a un nucleo familiare per campare.
Se da una parte questa legge sembra aver spronato 8 mila persone a trovarsi un lavoro ancora prima dell’entrata in vigore, dall’altra si teme che mandi 80 mila famiglie in mezzo a una strada. Inoltre, secondo Jonathan Portes, già direttore del National Institute of Economic and Social Research ed ex economista del Department of Work and Pensions, «non c’è ancora alcuna prova che il tetto abbia prodotto un mutamento nei comportamenti». E Duncan Smith, il ministro del Lavoro, non dovrebbe parlare senza avere in mano delle statistiche vere e proprie.
Proprio quest’ultimo provvedimento evidenzia la netta frattura che si è venuta a creare nella società tra la "virtuosa" realtà di un Paese di onesti lavoratori e imprenditori e la pesante zavorra di un "lumpenproletariat" amorale, pigro e insaziabile, che si riproduce solo per mungere la mammella dello Stato sociale. E la "dependency culture" su cui Duncan Smith e colleghi non si stancano mai di ritornare perché tarpa le ali alla piccola impresa e diventa la causa di tutti i mali dell’economia. Ignorando, l’assai maggiore danno causato dal settore finanziario di cui il governo è in parte espressione.
Questo giustizialismo populista ha innegabile successo: il 60 per cento degli intervistati in un recente sondaggio è convinto che la colpa della crisi sia appunto in gran parte dei brutti, sporchi e cattivi "scrocconi", definiti scroungers, o shirkers, ai quali si contrappongono gli strivers, coloro che lavorano duro perché "hanno ambizioni". Contribuisce alla diffusione dell’idea la propaganda costante dei giornali più letti in assoluto ("Sun", "Daily Mail" e "Daily Telegraph") e una cultura televisiva che demonizza i poveri. Non solo. È abbracciata soprattutto dai giovani sotto i 30 anni che hanno studiato a prezzo di grandi sacrifici (le tasse universitarie sono triplicate) ma non hanno accesso al mercato del lavoro e vedono negli "scrocconi" la causa delle loro difficoltà.
Il dato spiega in parte anche l’impaccio del Labour di Ed Miliband, che preferisce sussurrare proprio quando ci sarebbe bisogno di grida: consapevole del rischio di scontentare i molti che hanno volentieri abbracciato la tesi degli scrocconi, i suoi deputati si sono astenuti quando il parlamento ha votato una mozione che impediva a 250 mila giovani di ricevere un’indennità di 130 mila sterline che l’alta corte aveva decretato come indennizzo per aver preso parte a un controverso (perché non retribuito) programma governativo di inserimento nel mondo del lavoro. Le cose dunque non promettono bene per la campagna elettorale del Labour, che si vedrà sbattere in faccia la questione del welfare infinite volte da qui alle elezioni, nel 2015. A meno che non sia la rivolta spontanea anti-tagli a soccorre Miliband.
Come dimostra il caso diventato famoso delle "53 sterline". Di che cosa si tratta? Un disoccupato ha detto che, in seguito ai tagli, si sarebbe trovato a vivere con quella cifra settimanale a disposizione. Il ministro Duncan Smith, con moglie aristocratica e ricchissima, ha replicato che con quel denaro lui riuscirebbe a campare. Il disoccupato ha allora lanciato una petizione per chiedere che Smith campi con 53 sterline e ha raccolto in pochi giorni 400 mila firme.
La proposta dell’opposizione di riformare il welfare in base ai passati contributi di ciascuno per ora è accolta con una certa sufficienza. La vera speranza del Labour è che la marea cambi quando i Tories cominceranno ad attaccare le pensioni, che avevano sempre giurato di difendere e come invece sembra saranno costretti a fare.
Il Regno Unito non è nuovo a simili drastici rivolgimenti. LaThatcher smantellò l’industria (soprattutto quella estrattiva e navale) mettendo il turbo alla finanza, ora i suoi nipotini stanno smantellando il welfare. Ed è emblematico che succeda nei giorni di un aprile crudele in cui la polemica sui costi faraonici del funerali di Margaret ha profondamente lacerato l’Inghilterra.