Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 19/04/2013, 19 aprile 2013
LA REAZIONE FREDDA DEL RAGAZZO INDECIFRABILE CHE CI DISORIENTA ANCORA
Parafrasando una celebre frase di Carlo Emilio Gadda sul barocco, si potrebbe dire che ambiguo non è Alberto Stasi, ambiguo è il mondo. Qualche colpevolista incallito, messo di fronte a questa evidenza, potrebbe insistere affermando che sì, va bene, ma Alberto è un po’ più ambiguo di quanto sia ambiguo, abitualmente, il mondo. Purché non sia un giudice di Corte d’Assise, avrà le sue buone ragioni, come avranno le loro ottime ragioni gli innocentisti. E qui si potrebbe chiudere il discorso. O piuttosto riaprirlo, a dimostrazione che da quando è accaduta, il 13 agosto 2007, la vicenda nera di Garlasco si presta a innumerevoli e più sfumate interpretazioni. Ammettiamolo, di fronte all’imputato di un omicidio siamo lombrosianamente portati, quasi per una reazione automatica, a farci un’idea immediata del suo spirito (buono o cattivo) affidandoci alla lettura somatica. Certo è che mai, come nel caso di Alberto Stasi, l’opinione pubblica ha sovrapposto i tratti espressivi e il comportamento dell’accusato a un possibile verdetto. E questo perché, innocente o colpevole che sia, l’ex fidanzato di Chiara Poggi ha un modo di reagire per lo più spiazzante, al punto che dopo averlo visto un sacco di volte in televisione o dal vivo (anche per lunghe sedute, come nella famosa intervista di Matrix nel 2010), si fatica a capire chi sia in realtà Alberto Stasi. Indecifrabile. Ed è stata proprio la sua indecifrabilità — che non è affatto una colpa sul piano giudiziario — ad accrescere terribilmente il sospetto dei più.
Per esempio — ci si è chiesti — com’è possibile che telefonando al 118 per comunicare il ritrovamento della sua ragazza massacrata non abbia tradito un’emozione, un’incertezza? «Credo che abbiano ucciso una persona ma non sono sicuro, forse è viva...». Una persona? Appropriato, ma fino a un certo punto. Tant’è vero che solo quando il suo interlocutore gli chiede se si tratti di una parente, lui risponde impassibile: «È la mia fidanzata». E ascoltando quella registrazione è logico chiedersi come mai non l’abbia detto subito. L’emozione? Già, ma allora come si spiega quella voce così imperturbabile? Intendiamoci, non sarebbe lecito trasformare un’incongruenza emotiva (specie in certe condizioni) in un sospetto, ma almeno lo stupore ci sta tutto. Altri trovano stupore persino sul suo aspetto, che aggiungerebbe indecifrabilità all’indecifrabilità: come se nel viso spigoloso, nel pallore, nei gelidi occhi verdi, persino nel colore degli occhiali, nel taglio dei capelli e nell’abbigliamento ben curato si potessero nascondere le ragioni profonde di un temperamento potenzialmente omicida.
Si potrebbe piuttosto ragionevolmente affermare che Alberto non riesce proprio a risultare simpatico. A volte neanche a Chiara. Come quando in uno scambio di mail (lei a casa, lui a Londra) alla domanda: «Ma la tata quanto manca al tato? Da uno a 10 almeno 5?», Chiara si sente rispondere: «Manca 8». E poi tutta una serie di scuse improbabili: «Ma solo perché sono a Londra... se gia fossi a Milano 11... alla fine il tato vuole benissssssimo alla tata» seguite da una altrettanto goffa teoria sui sessi: «Ma perché noi maschietti siamo meno attaccati e voi di più... e non capiamo le femminucce eccetera». Niente di criminale, per carità. Ma come si mette insieme l’Alberto imperturbabile della telefonata al 118 e dell’intervista a Matrix con il Tato tremebondo di fronte alla gelosia della fidanzata scatenata dall’accenno al quartiere delle prostitute e ai «sexy-shop» londinesi. Il Tatissimo, che si definisce «uno quadrato», in realtà incassa le reprimende della Tatissima, che gli raccomanda di non ubriacarsi o peggio. E quando poi lei incalza e affonda il colpo accusandolo di comperarsi degli oggetti inutili e di non regalare niente alla Tata, lui è un bimbo che balbetta: «Ma sei sempre nervosa» e solo a pace fatta invia «kiss», «kissotti», appassionate effusioni: «Ti v benisssssssssssimo» e promesse di regalarle «gadgettini» erotici. È lo stesso che tre anni dopo in uno studio televisivo avrebbe parlato di «metodiche», «modalità», «dichiarazioni testimoniali», «collegi peritali». Eh sì, non c’è dubbio che si cresce in fretta, dopo certe esperienza. Strano tipo, questo Alberto, che è stato visto in lacrime una sola volta per la sua Tata, dopo il funerale. Strano tipo come sono strani, forse, tanti suoi coetanei: condannato, dallo status sociale della famiglia e dal fatto di essere figlio unico, a primeggiare ovunque, con gli amici come negli esami in Bocconi. A esibire il proprio decoro. E a nascondere (quasi) tutto ai propri genitori, troppo rigidi e ansiosi: «Ogni minimo problema lo fanno diventare una tragedia», scriveva a Chiara. E poi pronto a ingolfare il computer di video porno. Altro che strano. Normale, piuttosto, come la sua vita. Le stranezze, piuttosto, sono altre.
Paolo Di Stefano