G. Fas., Corriere della Sera 19/04/2013, 19 aprile 2013
DAL CAPPELLO ALLA BICICLETTA. TUTTI I PUNTI RIMASTI OSCURI —
Il processo è da rifare, dice la Corte di Cassazione. Ma è difficile prevedere quali saranno i passaggi controversi che i giudici chiederanno di approfondire. Lo diranno nelle motivazioni della sentenza e, almeno in teoria, potrebbero accogliere tutti quanti i motivi dei ricorsi presentati dalla parte civile e dalla procura generale. E comunque la Corte d’Assise d’Appello di Milano che riceverà il fascicolo potrebbe anche andare oltre le indicazioni della Cassazione.
Detto questo, se anche tornasse a Milano con l’indicazione di chiarire uno soltanto dei punti sottoposti alla Suprema Corte, il nastro si riavvolgerebbe comunque fino al processo di primo grado (2009). Perché le incertezze che procura e famiglia Poggi fecero notare allora sono le stesse di oggi. Salvo l’ormai famoso capello castano chiaro corto (con il bulbo), entrato in scena in appello.
Partiamo da quello. È uno dei tre punti sui quali sia la parte civile sia il pg hanno focalizzato l’attenzione partendo dalle consulenze del genetista Marzio Capra. Fu trovato nel palmo della mano sinistra di Chiara e fu analizzato ma non con il test che individua il profilo del dna. «Come facciamo a escludere che sia di Alberto?» si chiede l’avvocato della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni. Il solo modo è, appunto, sottoporlo al «test mitocondriale», richiesta respinta però dai giudici dell’appello.
Un dettaglio del quale si è discusso per pagine e pagine nell’inchiesta e nelle sentenze di primo e secondo grado è la bicicletta nera da donna vista davanti a casa di Chiara la mattina del delitto da una testimone. Alberto indicò ai carabinieri di averne altre tre ma non quella che invece fu tirata in ballo da suo padre ma mai sequestrata: perché il maresciallo che andò a controllarla disse che non era simile a quella descritta dalla teste. Salvo poi scoprire che quel maresciallo non ha mai interrogato la donna. Alla testimone fu mostrata quasi due anni dopo il delitto una bicicletta bordeaux di casa Stasi: «Non è quella» disse lei. Dicono ora il pg e la parte civile: se fosse stata usata le eventuali tracce biologiche sarebbero forse difficili da individuare a questo punto ma quantomeno sequestriamola e mostriamola alla donna.
Oggetto di infinite discussioni e di un test nel quale è stata ricostruita la scena del delitto, è la camminata che Alberto racconta di aver fatto a casa di Chiara (senza guardare per terra) quando la scoprì il suo cadavere sulle scale che portano in cantina. I ricorsi davanti ai giudici supremi dicono che Stasi non può aver fatto il percorso che dichiara senza imbrattarsi le scarpe di sangue (secondo l’accusa non sono le stesse che aveva durante il delitto). E la richiesta è rifare il test secondo le indicazioni del consulente di parte civile, il docente di informatica forense Antonio Barili. E cioè comprendendo stavolta due elementi esclusi dal primo accertamento: la porta che lui dice di aver trovato chiusa e di aver aperto (davanti c’era una grossa chiazza di sangue) e i due gradini (anche quelli con macchie di sangue) che ha dovuto calpestare prima di scorgere Chiara.
G. Fas.