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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

IL «SEGRETO BRUTTO» DI LEVI CHE OBBLIGA A RIFARE I CONTI CON LA RESISTENZA

Esistono libri, a volte a dispetto persi­no del valore letterario o storiografi­co, destinati a diventare degli spar­tiacque nella storia di un Paese. Crediamo che il saggio di Sergio Luzzatto Partigia, che esce oggi da Mondadori, sia uno di questi. Fine di un’epoca?Di una storiografia ideo­logica? Riappacificazione fra «revisionismo »e«vulgata partigiana»sulla guerra civi­le? Un cerchio che si chiude? Forse sì. Scritto da Sergio Luzzatto, storico del­l’Università di Torino, autore Einaudi, fir­ma e volto popolare sull’asse La7-Sole24ore e intellettuale di riferimento della Torino «azionista», Partigia (il titolo è il termine gergale con cui i piemontesi chiamavano i parti­giani) racconta una storia molto particolare della Resistenza. Anzi è una storia molto par­ticolare della Resistenza. Una lettura sor­prendente della nostra guerra civile, che parte da una documentata e appassionata indagine su un «segreto brutto», un episo­dio terribile che ebbe fra i protagonisti lo scrittore Primo Levi-un figura mito dell’an­tifascismo - quando partecipò alle azioni partigiane, per poche settimane, nella Valle d’Aosta del 1943. E il segreto, che lo stesso Levi, morto suicida nel 1987, non rivelò mai apertamente, accennò soltanto indiretta­mente, è questo: il 9 dicembre 1943, al Col de Joux, sopra Saint­ Vincent, due giovanis­simi partigiani, Fulvio Oppezzo, di 18 anni, e Luciano Zabaldano, di 17, vengono fatti uscire dalla baita di Frumy, dov’è rifugiata la ban­da di Levi, e uccisi dai loro compagni parti­giani con il «metodo so­vietico»: mitragliati al­le spalle, a freddo, sen­za parole, senza proces­so. La colpa dei due ra­gazzi? Avere rubato ci­bo o altre cose ai valli­giani. Levi – che non sparò, ma che insieme ai capi decise l’esecuzione sommaria- sarà arrestato pochi giorni dopo in un rastrella­mento dei nazifascisti, imbeccati da una spia, quindi portato a Fossoli e da lì ad Au­schwitz verso una storia che conosciamo be­ne.
Su quell’altra storia, invece, cade prima il silenzio (Levi accenna cripticamente al­l’episodio nel Sistema periodico, del ’75: «Eravamo stati costretti dalla nostra co­scienza ad eseguire una condanna, e l’ave­vamo eseguita, ma ne eravamo usciti di­strutti, destituiti, desiderosi che tutto finis­se e di finire noi stessi»).Poi seguì l’ipocrisia (i due ragazzi nel dopoguerra vengono fatti passare per vittime dei fascisti, e diventano eroi partigiani). Quindi, a 70 anni di distan­za dai fatti, prima con gli studi di storici loca­li e giornalisti, e ora con il saggio dell’accade­mico Luzzatto, arriva la giustizia della Sto­ria, che ci restituisce la verità su quel massa­cro, e un’ altra verità sulla Resistenza.
Infine, ieri, due articoli di Paolo Mieli e di Gad Lerner - a chiusura del cerchio - salda­no l’ultimo anello di questa lunga catena di sangue, silenzi, tabù e polemiche. Mieli sul Corriere della sera sottolinea come Luzzat­to, a lungo critico feroce verso la rilettura della «vulgata resistenziale» di Giampaolo Pan­sa, oggi mostri una sorprendente (e necessa­ria, e speriamo definitiva) riconciliazione con un modo diverso anche se scomodo di leggere la guerra civile. Mentre su Repubbli­ca Lerner, che ne scrive come ammette lui stesso«con disagio»(così come per un comprensibile imbarazzo Einaudi ha preferito che il libro fosse pubblicato dai cugini della Mondadori), è costretto obtorto collo a con­frontarsi, e con lui tutta la “vecchia”sinistra azionista, democratica e antifascista, con questa «discutibile revisione iconografica e sentimentale» - dolorosa ma indispensabi­le - della Resistenza, e dei suoi eroi. Come obbligano a fare tutti i libri spartiacque.