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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

DAL SANGUE DI VUKOVAR AL COLLE: “CI PENSERO’ TUTTA LA NOTTE”

-Vukovar, periferia croata, 19 novembre 1991. L’assedio dei serbi è finito. L’acquedotto è crepato, la cittadina non esiste più: “Sono da sola. Porto con me una video 8. A un certo punto, (la Tigre) Arkan sale in macchina e mi dice: ‘Te la senti di filmare i bambini morti? C’è stato un massacro’. Dico sì. Poi spiego a un soldato come funziona la telecamera, perché non sarò in grado di farlo io. Ho visto la faccia di un bambino con la gola tagliata”. Mixer, vent’anni fa. Milena Gabanelli ha due orecchini di perla che sbucano tra i capelli a caschetto. Ha dismesso i robusti occhiali rosa e la giacca a vento bianca indossata nei gelidi Balcani. Non riesce a parlare: la voce è soffocata, sembra non avere fiato. Giovanni Minoli, che l’aveva provata come si fa con i frutti sconosciuti, la guarda con ossessiva attenzione. Vuole strappare un orpello che Milena Jole, piacentina per l’anagrafe e bolognese per l’esistenza, non ha mai posseduto: la cronaca, se nuda, non si lascia vestire.
HA UN FREMITO di emozione e tensione che non trasmette mai quando martella, rettifica e precisa a Report. In vent’anni s’impara la freddezza estrema e il trucco si fa più leggero e il taglio si fa più corto. Quando ha saputo che la popolazione Cinque Stelle l’aveva votata per il Quirinale, in riunione per la puntata di domenica, ha reagito con cinque parole: “Onorata e commossa, ma anche sopravvalutata”. Poi ha spento il cellulare e s’è innervosita , tanto, perché tra telefonate e messaggi non ha potuto lavorare: medita il ritiro, chissà. Il Quirinale, la politica, il discorso di fine anno: bene, però il mestiere di giornalista non s’archivia. Cecenia, la prima guerra. La reggeva lei, la telecamera, davanti a Ettore Mo che tirava giù un po’ di rassegnazione e si riscaldava con un filo di candela e un goccio di vodka acida: “Ogni tanto mi dico: beh, potrei anche concedermi un pranzo all’aria aperta. Magari passo per Roma, vado a trovare gli amici e andiamo a mangiare insieme. Però succede un fatto: se tu scegli questo cammino, segui questa storia, questa rotaia, ti accorgi che non puoi far parte di quella gente da pic-nic”. E ci voleva stomaco a evocare un pranzo festoso tra la puzza di piscio e il grasso di un manzo stufato nei sotterranei abitati da topi da museo e uomini, carne da cannone nel palazzo di Dudayev, a Grozny. E ora è surreale, per chi braccava i discendenti degli ammutinati del Bounty e il generale vietnamita Giap, passare una notte a decidere se accettare o negare, se scendere per non salire al Colle: “Ci penso stanotte, non saprei cosa rispondere. È una cosa più grande di me”. Ettore Mo ha i colpi di un cronista che non può ripetere il tiro: “Non ha mai esitato, Milena. L’ho conosciuta in Cecenia, viaggiammo insieme. Era un carro armato”. E una notte, di quelle notti che non ti assicurano il giorno, l’inviato di guerra prendeva a calci una macchina e Milena, invece di strattonarlo per il colbacco marrone, metteva a fuoco la telecamera: “Abbiamo affittato questa cazzo di automobile per arrivare appena a questo cazzo di posto e per non concludere un cazzo”. Quando fu di nuovo luce, i cadaveri dei soldati russi penzolavano su ammassi di lamiere e spazzatura. Erano così giovani che i corpi carbonizzati li rendevano fanciulli. La telecamera di Milena catturava i bastardi venditori di reni, i poveri deformi kazaki, l’orrore in Birmania, in Cambogia , in Somalia. Minoli ci mise il fiuto: “Mi fu segnalata da un amico, Alberto La Volpe (direttore socialista del Tg2, ndr) mi disse che era brava. Milena non rincorre le notizie: le produce”. Il calendario ha scavato il rapporto tra il maestro e l’allievo. Ma Gabanelli non ha sradicato la riconoscenza: “Il suggerimento più prezioso me lo diede una giornalista di Mixer, Marcella De Palma. Le avevo mostrato un reportage sul narcotraffico nel Triangolo d’Oro, ne ero orgogliosissima. Lei lo stroncò, ma i suoi consigli mi insegnarono a vedere il racconto”. A Milena piace raccontare, non legge il gobbo. Quando deve chiosare le inchieste di Report pretende straordinari forzati: quattro ore di nastro, 15 minuti vanno in onda. Spesso a Natale o a Pasqua telefona ai suoi cronisti: “Grazie per gli auguri. Ah, sì, volevi sapere come procede l’inchiesta?”. Report ha quasi 16 anni trascorsi con fatica: querele per 285 milioni di euro. Nomi a tante cifre: H3G, Eni, Cesare Geronzi, Mario Ciancio. A volte la Rai cerca di non concedere la copertura legale. Viale Mazzini non coccola nessuno e così la redazione confeziona materiale anche per il Corriere. Il programma randella a destra e a sinistra: i trasporti, le banche, la sanità, i comuni. Il lunedì c’è sempre un politico che s’infuria: da Giulio Tremonti a Gianni Alemanno. Report ha un gruppo storico che guida i giovani, anche se Sigfrido Ranucci e Paolo Mondani, a ragione, non si sentono vecchi. La telecamera è sempre lì, in tasca o in spalla, ma lo share ha un peso. Quando Milena chiese a Corrado Passera dove fossero le azioni di Intesa, il giorno dopo il ministro annunciò la vendita. Il marito è professore di musica. Ha una figlia, Giulia. Una volta disse che durante la stagione di Report non ha tempo nemmeno per comprare le mutande. Al Quirinale non andrebbe meglio.