Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 14 Domenica calendario

L’ARTIGIANO CHE CREO’ LE SCARPE ROSSE ORA ASPETTA BERGOGLIO —

L’artigiano che creato le pantofole rosse di Benedetto XVI guarda la foto delle scarpe di Papa Francesco e non resiste: «C’è un limite a tutto...». Adriano Stefanelli è diventato famoso per aver realizzato a mano, pelle di capretto e cuoio, le calzature rosse fiammanti di Ratzinger, vistose come se fossero due Ferrari ai piedi. Quei mocassini sono diventati il simbolo di un papato che ha recuperato la regalità della tradizione e curato i segni esteriori. Proprio l’esatto contrario di quello che sembra fare Bergoglio. «Guardi che cosa ha ai piedi — scruta Stefanelli — sono tutte deformate, probabilmente ha scelto una misura in più per stare comodo. Si vede dai lacci che si aprono sul collo del piede. E poi va bene un po’ consumate, ma non fino a questo punto...».
Stefanelli parla da calzolaio. È un uomo minuto di 64 anni, dai modi gentili. Ama il suo lavoro che è fatto di gesti semplici, di martelli, chiodi e pinze. Altro che artefice del «lusso» vaticano. Nello spirito sembra più vicino al pontefice francescano che a quello teologo.
Ha un piccolo negozio dove vende scarpe nel centro di Novara. Anche il padre era ciabattino, lui lo ha seguito in bottega quando aveva 14 anni. Fino a 28 anni ha tagliato e cucito tomaie, poi ha capito che era meglio vendere le scarpe degli altri. Nel 2003 vede in tv Wojtyla sofferente. Ha un lampo: decide di realizzare per lui un paio di pantofole comode e gliele invia. Così nasce il rapporto con il Vaticano, senza nessuna lobby dietro, ma grazie alle intercessioni della sezione locale dell’Associazione polizia di Stato. Ha modellato le scarpe per Giovanni Paolo II e dopo per il suo successore, che gli chiese subito di averle di quel colore porpora diventato famoso.
Stefanelli è orgoglioso, mostra le foto degli incontri con i pontefici e le lettere di ringraziamento, ma non si è montato la testa. La rivista americana di moda Esquire notò quelle scarpe ed elesse Benedetto XVI uomo più elegante dell’anno. Anche l’ex presidente americano George Bush volle averne un paio (nere) e così dopo di lui anche Barack Obama. Lui le realizza con passione, ma nel tempo libero.
Ha continuato a mandare avanti il suo negozio nel centro di Novara, senza neppure un commesso («Mi aiuta mia moglie. Voglio rimanere con i piedi per terra»). Quando abbassa la saracinesca tira fuori gli attrezzi e si dedica ai grandi della Terra. Creatività e mestiere.
«Per finire un paio di scarpe impiego circa un mese», dice. Lavora all’antica. «Uso la colla di farina. Ci vogliono 4 giorni prima che asciughi ma poi la tomaia non si stacca più». Ha appena finito le nuove scarpe di Ratzinger: la stessa linea di sempre, lineare ed elegante. «Mi hanno chiamato dopo le dimissioni. Mi hanno detto che questa volta dovevano essere marroni». Del Papa emerito ha profondo rispetto. «Può apparire freddo, ma è soltanto timido. E ha avuto grande coraggio a lasciare, ha sollevato il coperchio del calderone».
Anche Stefanelli nel suo piccolo si è reso conto che la Chiesa deve cambiare. «Percorrendo quei saloni capisci che c’è tanta ricchezza...». Ecco che viene fuori lo spirito dell’artigiano Stefanelli, creatore di piccoli capolavori con mezzi poveri.
È quasi un paradosso, ma piacerebbe molto a papa Bergoglio, che ha messo in soffitta le sue scarpe rosse. «Ho già pensato anche a lui — non si perde d’animo Stefanelli —. Doppia suola e materiale resistente. Scarpa grossa per cervello fino. Rigorosamente nera». È fiducioso: «Vedrete che riuscirò a convincerlo. La semplicità va bene, ma sono le scarpe che valorizzano l’abito».
Riccardo Bruno