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 2013  aprile 14 Domenica calendario

FONDO OCCUPAZIONE A SECCO ORA SERVONO ALTRI 1,2 MILIARDI —

«Fate presto», invocava a tutta pagina un indimenticabile titolo del Mattino di Napoli all’indomani del terremoto dell’Irpinia. C’era la gente sotto le macerie, 32 anni fa. E la storia si ripete. Non sono di pietre e mattoni le macerie che oggi minacciano di seppellire la nostra economia, ma l’invocazione non cambia: «Fate presto». Perché cos’è quello che ha investito quasi due mesi fa l’Italia se non un terremoto? E dei più devastanti? Quella invocazione arriva da tutte le parti: dagli industriali, dai sindacati, dai commercianti, dai cittadini. La paralisi della politica sta pian piano fermando anche il Paese, come sta a dimostrare la nuova esplosione della cassa integrazione nel mese di marzo. E questo rischia di essere il capitolo più esplosivo. Le risorse per la cassa integrazione cosiddetta «in deroga», quella servita a tamponare le conseguenze sociali della più grave crisi dagli anni Trenta del secolo scorso, sono al lumicino. Le casse del fondo per l’occupazione sono ormai a secco: gli 800 milioni stanziati a gennaio basteranno sì e no fino a maggio. Per arrivare almeno a Natale, perché non è certo pensabile che la ripresa arrivi prima di allora, ci vuole un altro miliardo e 200 milioni. Altrimenti, mezzo milione di persone rischia di finire davvero sul lastrico. La situazione è così tragica che i sindacati (tutti insieme, stavolta, e questo già la dice lunga sulla drammaticità delle circostanze) si preparano a una clamorosa protesta martedì davanti a Montecitorio.
Ma senza un governo è complicato tirare fuori quei soldi. L’esecutivo di Mario Monti, che giorni fa ha scioccato il Parlamento annunciando che «non vede l’ora di essere sollevato» dall’incombenza di governare, è in carica per la semplice ordinaria amministrazione. E il rifinanziamento della cassa integrazione «in deroga», tanto più per cifra tanto ingente, può essere rubricato in quel capitolo? Vero è che è appena stato varato un decreto per pagare un pò di debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, provvedimento che nessun governo politico precedente nella pienezza del propri poteri si era mai sognato di fare. Ma un conto è fare uno strappo alla regola, un altro fare degli strappi una regola. E di strappi, qui, bisognerebbe farne una marea.
Dopo aver messo una pezza alla cassa integrazione, per esempio, sarebbe necessario far partire un piano straordinario di formazione per tentare di offrire una nuova chance di occupazione a quanti dopo la crisi (certo non pochi) non potranno essere riassorbiti.
Per non parlare degli esodati: le stime dei sindacati dicono che ce ne sono ancora almeno 80 mila da sistemare. In campagna elettorale tutti i partiti hanno promesso di risolvere la faccenda. Ma il tempo passa e, ovviamente, non succede nulla.
Ancora: c’è da sistemare la questione della Tares, la nuova tassa comunale sui rifiuti. Dal primo luglio, poi, in mancanza di misure alternative scatterà l’aumento automatico dell’aliquota Iva dal 21 al 22 per cento. Come si farà a bloccare l’inevitabile rincaro?
Le tasse, quella è l’unica cosa che in questo assurdo stato d’inerzia della politica, costataci finora secondo il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi un punto di Prodotto interno lordo (circa 16 miliardi di euro, per capirci), continua a correre per tenere dietro a una spesa pubblica che la spending review montiana non è riuscita neppure a scalfire. Sono ferme, e completamente, le grandi infrastrutture. Era il 18 maggio dello scorso anno quando il ministro dello Sviluppo Corrado Passera annunciava: «L’obiettivo di avviare infrastrutture per un valore di 100 miliardi nel corso della vita di questo governo appare realizzabile». Poi più nulla. E le Province? Sono vive o morte? Il decreto che ne prevedeva gli accorpamenti non è mai stato approvato, con il risultato che resta in vigore la norma contenuta nel cosiddetto salva Italia che le avrebbe in teoria private delle funzioni. Funzioni però non attribuite a nessuno. Chi ci metterà una toppa, più in fretta possibile? Un Parlamento nel quale non si riescono nemmeno a costituire le commissioni permanenti, e che forse per prima cosa dovrebbe affrontare l’impellente scadenza della legge comunitaria necessaria a recepire direttive di Bruxelles evitando così di incorrere in costose procedure di infrazione? Ma quella delle Province è soltanto una delle tante pratiche rimaste a bagnomaria. Qualcuno ha notizie dell’Authority dei trasporti? Oppure c’è chi sa quale fine abbia fatto la famosa agenda digitale che avrebbe dovuto finalmente spalancarci le porte della modernità informatica? Pare che i decreti attuativi (la fonte è il Corriere delle comunicazioni citato da Panorama) siano ancora in alto mare. Sappiamo invece che fine ha fatto la delega che imponeva il «fuori ruolo» ai magistrati titolari di secondi incarichi: è scaduta inutilmente il 28 marzo. E tutto continuerà come prima. O quasi. Almeno c’è qualcuno che ride…
Sergio Rizzo