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 2013  aprile 13 Sabato calendario

QUEL FANTASMA DEL CASO MORO CHE INCOMBE SU PRODI AL COLLE

Palazzo del Quirinale, ango­lo via Gradoli. La strada che con­duce Romano Prodi al Colle in­crocia ancora una volta il miste­ro buffo della famosa seduta spi­ritica del Professore da dove uscì l’indicazione della via (Gra­doli) del covo romano delle Br con Aldo Moro sequestrato. Ci­clicamente se ne riparla, di que­sta farsa medianica che avrebbe potuto salvare l’ex presidente Dc. Nessuno ha mai creduto fi­no in fondo alle versioni di Prodi e degli amici di seduta presi per mano dagli spiriti di La Pira e don Sturzo eppoi condotti con un piattino a formare le lettere G-r-a-d-o-l-i. Se nessuno crede alla soffiata dall’aldilà, è anche perché l’aspirante successo­re di Napolitano non è che abbia poi collaborato tan­to. E così, a 35 anni dal­l’agguato in via Fani,esco­no nuovi d­etta­gli di quell’espe­rienza soprannaturale che avreb­be potuto cambia­re la storia d’Italia se solo il Professore l’avesse raccontata tutta. «In data 2 aprile 1978 in località Zappoli­no, sita in provincia di Bologna, fummo invitati dal professor Clò a trascorrere una giornata nella sua casa di campagna, in­sieme alle nostre famiglie – scri­ve nel 1981 Prodi (insieme ai presenti alla seduta) alla commis­sione d’inchiesta sulla strage di via Fani nel carteggio recupera­to dal sito affaritaliani.it.
Nel po­meriggio, dopo aver pranzato, e a causa del sopravvenuto mal­tempo, lo stesso Clò suggerì di fa­re il gioco del piattino (su cui tut­ti i presenti poggiano il dito do­po aver evocato uno spirito gui­da sottoponendogli alcune do­mande)». A qualcuno viene in mente di chiedere dove si trova la prigione di Moro. Insieme ad altre indicazioni, spunta il no­me Gradoli. Località che «risul­tava tuttavia a noi ignota... da un successivo riscontro su una car­tina geografica, individuammo la effettiva esistenza di tale locali­tà proprio nei pressi di Viterbo». Come va a finire è scritto nei libri di storia e nelle pagine delle commissioni di inchiesta. Prodi, do­po aver tentato di spedire il criminologo Augusto Balloni dai magistrati con quest’infor­mazione, chiedendo di non esse­re citato, due giorni dopo la scampagnata (4 aprile 1978) gira la notizia a Umber­to Cavina, porta­voce del segretario della Dc, Benigno Zac­cagnini. Che, a sua volta, la inoltra a Cossiga, mini­stro del­ l’In­terno.
Prodi non rive­la allora, e non lo farà nei successivi tre decenni, la fonte di quella delazione. In «Via Gra­doli», e non a «Gradoli vicino Vi­terbo» infatti, vivevano i carce­rieri di Moro, Mario Moretti e Barbara Balzerani. Il covo sarà scoperto solo il 18 aprile a causa di una sospetta infiltrazione d’acqua che allerterà i vicini, tra i quali Lucia Mokbel, che raccon­terà ai magistrati di uno strano ticchettio notturno, simile a se­gnali morse, provenire dalla ta­na dei bierre. Al Viminale (dove nel frattempo è arrivata un’altra segnalazione su Gradoli) pensa­no bene di perlustrare l’omoni­mo paesino in provincia di Viter­bo invece di aprire lo stradario, come inutilmente suggerito pu­re dalla moglie del presidente della Dc, Eleonora Moro, a cui viene risposto che non esiste al­cuna via Gradoli a Roma. Falso. Via Gradoli è una traversa di via Cassia, la strada che si trova esattamente sulla “strada per Viter­bo”. La messinscena è palese, co­me denunciano sia il Ds Giovan­ni Pellegrino sia l’ex Dc Giovan­ni Galloni. Per Andreotti «lo spi­ritismo è una invenzione per co­prire una fonte dell’Autono­mia».L’ex presidente della com­missione Mitrokhin, Paolo Guz­zanti, incalzò il Professore: «Non solo mentì sulla fonte del­l’informazione ma volle personalmente trasmettere alla segre­teria della Dc e non alle autorità competenti, provocando un’operazione di polizia nell’Al­to Lazio. Questa notizia permise ai brigatisti nel covo di via Grado­li di eclissarsi. È evidente che uno solo dei partecipanti alla danza del piattino da caffè fra le lettere dell’alfabeto, possedeva fin dall’inizio l’informazione e manovrò per farla apparire ope­ra di un piattino che si comporta­va come un computer azionato dai fantasmi di don Sturzo e La Pira».Ma da dov’è arrivata la drit­ta? Francesco Cossiga individue­rà la fonte negli ambienti del­l’eversione bolognese, città in cui Prodi è docente di Econo­mia, parlando di un «professore universitario» forse in contatto con le Br.
Un’altra tesi, rimasta tale, è che i servizi segreti russi del Kgb avrebbero fatto filtrare la notizia su via Gradoli per averla appre­sa­da un loro agente sotto coper­tura in Italia, tale Giorgio Confor­to, nome in codice Dario, amico dell’affittuaria dell’appartamen­to di via Gradoli, padre di quella Giuliana Conforto nel cui appar­tamento vennero arrestati Mo­rucci e Faranda. Solo una volta Prodi si è seduto davanti a una commissione per riferire della seduta spiritica e di questa Gra­doli («visto che nessuno ne sape­va niente ho ritenuto mio dove­re, anche a costo di sembrare ri­dicolo, di riferire la cosa»). Da al­lora, non ha più risposto ai nu­merosi inviti a chiarire. Lo han­no fatto, invece, altri due collabo­ratori del Prof presenti: Mario Baldassarri e Alberto Clò. Il «piat­tino» di Prodi, per Baldassarri, diventa un «bicchierino» («pri­ma che arrivassi avevano chiamato La Pira. Il gioco funziona che uno mette il piattino e chia­ma un personaggio»), che si tra­sforma in un «piattino da caffè» nella versione di Clò. Per Fabio Gobbo, allievo di Prodi, si tratta­va invece di un «posacenere». E se Prodi ricorda che quel giorno «pioveva», e Baldassarri parla di «giornata uggiosa», il giornali­sta Antonio Selvatici dimostrò ­carte del servizio idrografico al­la mano - che a Zappolino quel pomeriggio non cadde una goc­cia. Dopo anni di silenzi fregnac­ce ultraterrene, i fantasmi di La Pira e di don Sturzo potrebbero essere invocati nuovamente da Prodi per capire chi andrà al «Colle».Inteso come Colle Quiri­nale, non Colle Val D’Elsa,Colle Brianza,Colle d’Anchise (Cam­pobasso) o Gioia del Colle.