Paolo Cacace, Il Messaggero 18/4/2013, 18 aprile 2013
NAPOLITANO PRONTO AL TRASLOCO IN SENATO
Il trasferimento degli scatoloni con i libri è stato già completato, le linee telefoniche sono installate. Tutto è pronto negli uffici di palazzo Giustiniani per ospitare il senatore a vita Giorgio Napolitano quando prenderà congedo dal Quirinale. Quando esattamente questo accadrà nessuno può prevederlo. Ma da oggi ogni giorno è buono perché si dà per scontato che non appena dal Parlamento uscirà il nome del dodicesimo capo dello Stato, Napolitano firmerà la lettera delle dimissioni anticipate dall’incarico, che scadrà il 15 maggio.
In verità anche nelle ultime ore non sono mancati gli appelli, le pressioni (vedi «Famiglia cristiana») perché ci ripensi ed accetti una ricandidatura in extremis. Ma il Presidente sembra irremovibile. Beninteso, intende onorare fino all’ultimo il suo ruolo. Ecco che ieri ha ricevuto sul Colle il presidente di Confindustria Squinzi e ha inviato un messaggio di commiato al Csm in cui auspica «nuovi apporti» e «coraggio innovativo ed equilibrio» per superare gli aspetti tuttora critici del sistema giustizia. Napolitano spiega che avrebbe voluto salutare personalmente il Csm ma gli impegni degli ultimi mesi travagliati della legislatura non lo hanno consentito. In realtà, ora che il settennato è davvero agli sgoccioli e quindi è possibile tracciare un primo, sommario, consuntivo, non risulta difficile constatare che gli ultimi quattro mesi hanno rappresentato un epilogo carico di delusioni e di amarezze per il capo dello Stato che probabilmente non aveva previsto e certo non aveva auspicato.
LE DELUSIONI
Le amarezze e le preoccupazioni hanno preso corpo e si sono accentuate probabilmente sul finire dell’anno scorso quando il Pdl ha deciso di staccare la spina anzitempo al governo Monti. Napolitano aveva invano sperato che la legislatura arrivasse alla scadenza naturale e che nell’ultimo scorcio i partiti riuscissero a trovare almeno un accordo per archiviare il Porcellum. Aveva desistito dall’inviare un messaggio alle Camere, limitandosi ad esercitare un pressing sui presidenti Fini e Schifani. Ma la decisione di Monti di dimettersi - insieme probabilmente a quella del Professore di «salire» in politica anziché mantenersi terzo (come Napolitano avrebbe preferito) - ha contribuito a far precipitare le cose. Il capo dello Stato ha dovuto pilotare il Paese verso il voto anticipato, consapevole che le sue armi erano spuntate proprio perché il settennato stava per finire. Il responso imprevisto delle urne ha accentuato le difficoltà e ha messo a dura prova le sue capacità di mediazione. Napolitano ha frenato le ambizioni del segretario del Pd, Bersani; al tempo stesso, ha estratto dal cilindro la formula del «doppio binario» per cercare di coinvolgere Pd e Pdl almeno sul terreno delle riforme istituzionali. Ma il tentativo di Bersani è rimasto congelato; né Napolitano se l’è sentita di nominare un nuovo governo del Presidente. Ha cercato di dare un contributo finale con la nomina dei «saggi» ma non sono mancate le riserve e le critiche. Molti sembrano avere dimenticato il contributo che Napolitano ha dato al Paese nel novembre del 2011 quando incaricò Monti in un momento drammatico per la nostra economia. Certo pesa nel commiato, e rende amaro il bilancio di un settennato in cui peraltro il ruolo del Colle si è indubbiamente rafforzato, l’ostinata sordità dei partiti agli innumerevoli appelli di Napolitano per le riforme di cui il Paese ha un disperato bisogno.