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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

MPS, SEQUESTRO DA 1,8 MILIARDI A NOMURA

SIENA
Un sequestro senza eguali in Italia, con un’ipotesi di reato inedita. Tutto ruota intorno all’inchiesta sul Monte dei Paschi: ieri il Nucleo Valutario della Guardia di Finanza, su ordine della procura di Siena, ha eseguito un sequestro preventivo urgente a carico di banca Nomura per circa 1,78 miliardi, di cui 88 milioni costituiti da commissioni occulte percepite dalla banca giapponese per il prodotto strutturato Alexandria e 1,7 miliardi depositati da Mps in «favore di Nomura a titolo di garanzia (la cosiddetta marginazione) sul finanziamento da quest’ultima ricevuto» come si legge nella nota ufficiale del procuratore capo di Siena Tito Salerno. Un sistema che ha prodotto una «voragine di denaro verso Nomura» tanto che ogni giorno «cresce sempre di più».
Nel decreto di sequestro di 68 pagine c’è anche l’accusa pesantissima di usura e truffa aggravata: reati che alcuni responsabili di Nomura avrebbero commesso ai danni della banca senese con la complicità degli ex vertici di Mps. Tecnicamente non è la banca giapponese a essere indagata perché la norma sulla responsabilità delle società (legge 231) non può coesistere con reati come l’usura e la truffa tra privati (trattandosi, in questo caso, di rapporti fra banche e non, come in altri casi, fra banche ed enti locali). Nel registro degli indagati sono stati iscritti Sadeq Sayeed, ex ad di Nomura per i mercati di Europa e Medio Oriente, e Raffaele Ricci, responsabile finanziario del prodotto Alexandria, prima come manager di Dresdner nel 2006, quando è stato congegnato il contratto inziale, e poi come dirigente di Nomura, quando nel 2009 è stata messa a punto una rinegoziazione. Si tratta di un prodotto derivato che, secondo i calcoli della stessa Mps, avrebbe provocato perdite potenziali per 730 milioni, e che per la procura di Siena e la Gdf ha un valore negativo complessivo di 1,78 miliardi se si considerano anche i costi occulti e la marginalizzazione.
A questa maxi-operazione si aggiungono i sequestri a carico dei passati vertici di Mps: all’ex presidente Giuseppe Mussari sono stati sequestrati 2,3 milioni in beni e immobili; all’ex dg Antonio Vigni 9,9 milioni, in beni e immobili; all’ex responsabile finanziario Gian Luca Baldassarri 2,2 milioni. A quest’ultimo sono stati già sequestrati una ventina di milioni in altre 3 operazioni tra febbraio e marzo, di cui una in Svizzera. Oggi Baldassarri è in custodia cautelare in carcere per rischio di inquinamento prove e pericolo di fuga. Per tutti quanti, compresi Sayeed e Ricci, le ipotesi di reato riguardano, oltre a usura e truffa aggravata, anche ostacolo alla vigilanza, infedeltà patrimoniale aggravata e false comunicazioni sociali. Da ricordare che per la truffa sono previsti tre anni di carcere mentre per l’usura aggravata si arriva a quindici. Nel decreto della procura viene dettagliatamente ricostruita la vicenda del prodotto finanziario finito nel mirino della procura. Prima sottoscritto nel 2006 e poi ristrutturato nel 2009: è una delle cause del rosso di Mps. Viene rinegoziato perché la banca si trova in gravi difficoltà dopo l’acquisto di Antonveneta nel 2008 per 9,3 miliardi, a cui vanno aggiunti 7 miliardi di debiti che la banca padovana ha nei confronti di Abn Amro e che l’istituto senese si deve quindi accollare. Il derivato del 2006 viene quindi "coperto" con uno strutturato del 2009, la cui caratteristica è quella di essere ancorato allo spread italiano, apparentemente scollegato alla prima operazione.
Il collegamento fra i due documenti viene fatto sparire con un "mandate agreement" tenuto nascosto nelle casse di Mps e occultato agli occhi di Bankitalia. Questa sorta di "spezzatino" serve quindi a non fare emergere che l’accordo è nettamente sfavorevole per Mps per circa 4 punti percentuali in meno rispetto a Nomura. Nel momento della sottoscrizione del contratto Baldassarri preparò un canovaccio di domande e risposte già preconfezionate, in inglese: Mussari, secondo l’accusa, recitò secondo copione, con tanto di parti imparate a memoria. Il ruolo di Nomura è da chiarire: non è indagata, ma la procura di Siena ritiene che «non sia un terzo in buona fede, perché ottiene profitti da condotta illecita». Il decreto racconta anche della «ferma opposizione» del vicepresidente Francesco Caltagirone alla distribuzione di un centesimo di dividendo alle azioni di risparmio. Gli inquirenti stanno cercando di capire se sarà possibile sequestrare materialmente 1,8 miliardi a Nomura. Per ora non è stata trovata tale disponibilità nelle casse italiane e per questo ieri mattina è stata coinvolta Bankitalia, che darà un supporto tecnico.
Nomura ieri ha precisato in una nota ufficiale che nessun bene è stato sequestrato e che quindi si occuperà di tutelare la sua posizione. Ieri il pm Aldo Natalini è andato anche a San Marino, altro teatro di possibili sviluppi del caso.

Marco Ludovico e Sara Monaci

IL DOCUMENTO
Il decreto di sequestro
Il frontespizio del decreto di sequestro preventivo emesso dalla Procura di Siena. Un documento di di 68 pagine in cui c’è anche l’accusa pesantissima di usura e truffa aggravata: reati che alcuni responsabili di Nomura avrebbero commesso ai danni della banca senese con la complicità degli ex vertici di Mps. Il decreto coinvolge fra gli altri l’ex presidente di Banca Mps, Giuseppe Mussari, per 2,3 milioni di euro; Antonio Vigni, ex direttore generale di Banca Mps, per 9,9 milioni di euro; Gianluca Baldassarri, ex capo dell’area finanza di Banca Mps, per 2,2 milioni di euro e tutti i contratti in essere tra Banca Mps e Nomura riguardanti la cosiddetta operazione Alexandria.

USURA –
È la pratica consistente nel fornire prestiti a tassi di interesse considerati illegali, socialmente riprovevoli e tali da rendere il loro rimborso molto difficile o impossibile, spingendo perciò il debitore ad accettare condizioni poste dal creditore a proprio vantaggio, come la vendita a un prezzo molto vantaggioso per il compratore di un bene di proprietà del debitore, oppure spingendo il creditore a compiere atti illeciti ai danni del debitore per indurlo a pagare.

«COMPETENZA» DEI VERTICI E «MALIZIA» DELLE CONTROPARTI –
SIENA
Nell’inchiesta su Mps la procura di Siena sta mettendo a nudo le responsabilità degli ex vertici della banca: quando si tratta di guidare un istituto di tale importanza, difficile nascondersi dietro un «non sapevo», «non capivo» o «mi occupavo di altro». Eppure lo scenario ricostruito dagli inquirenti Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso sta anche mettendo in luce un altro aspetto: il ruolo delle banche straniere a Siena, dove in un solo decennio l’istituto di credito locale è cresciuto a tal punto da diventare la terza banca italiana, senza però avere tutti gli strumenti per confrontarsi con interlocutori complessi e ben strutturati. Gli interlocutori, in questo caso, si chiamano Jp Morgan, Deutsche Bank, Nomura e in parte minore Bank of New York, grandi banche d’affari che hanno predisposto e venduto prodotti complicati e suggerito soluzioni finanziarie.
Insomma l’inchiesta non riguarda – e non riguarderà – più solo il "vecchio" Monte dei Paschi di Siena, ma sta prendendo un’altra forma: il rapporto tra Mps e le grandi banche straniere, molto più esperte in derivati e strutturati degli ex vertici di Mps, capaci di vendere formule "magiche" che poi si sono dimostrate inefficaci e addirittura nocive, ottenendo però grandi ricavi con la promessa (tradita) di rimediare a conti in rosso.
L’inchiesta ha due filoni, e in entrambi i casi emerge il ruolo inequivocabile degli istituti stranieri: l’acquisizione di Antonveneta lega i suoi destini a Jp Morgan, e in parte a BoNY; la sottoscrizione dei derivati vede in primo piano il rapporto con Nomura e Deutsche Bank.
Quando nel 2007 Mps decise di acquistare dal Santander Antonveneta, ebbe bisogno di realizzare un aumento di capitale per 6 miliardi, di cui un miliardo recuperato attraverso l’operazione Fresh, cioè l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni. Dietro a questo prodotto si ravvisano i primi reati: ostacolo alla vigilanza, falso in prospetto, manipolazione del mercato. A collocare il Fresh è stata Jp Morgan, che ha poi predisposto un complesso schema finanziario: ha ceduto i titoli a BoNY, la quale poi ha chiesto una "indemnity side letter" a tutela (nascosta) di alcuni sottoscrittori che volevano avere certezza di rendimenti nonostante il prodotto fosse ancorato all’esistenza dei dividendi. Poi Jp Morgan ha mantenuto la nuda proprietà del titolo, vendendo l’usufrutto a Mps per una cifra di 86 milioni all’anno. Questa "letter" e questo contratto di usufrutto sono nel mirino di Bankitalia e della procura.
Poi ci sono i derivati e gli strutturati, e in questo caso i reati potrebbero essere l’ostacolo alla vigilanza ma anche la truffa e l’usura. Qui i prodotti sono stati sottoscritti prima e rinegoziati, con risultati peggiorativi, qualche anno dopo. A congegnarli e a venderli sono stati Deutsche Bank, nel caso di "Santorini", e Dresdner e Nomura nel caso di "Alexandria". Nel secondo caso, più grave, il passaggio è stato garantito dallo stesso manager, Raffaele Ricci, che prima ha creato il prodotto nel 2006 con Dresdner, e poi lo ha rinegoziato una volta passato in Nomura. Tutto prontamente firmato dai vertici Mps, certo, che per coprire buchi, garantirsi il ruolo e l’immagine hanno accettato contratti pericolosi. Ma con l’aiuto di manager "infedeli", capaci di comprendere i meccanismi e probabilmente intenzionati a farci pure "la cresta".

Sara Monaci

SOCI DI SIENA VERSO LA SVOLTA: IL NODO DEI VINCOLI DI VOTO AL 4% –
FIRENZE
A tappe forzate verso la normalizzazione. Banca Monte dei Paschi si prepara a chiedere agli azionisti di cancellare il vincolo di voto del 4%, regola che dal 1995 riguarda tutti i soci ma non la Fondazione Mps. Il progetto, indispensabile in vista dell’aumento di capitale da un miliardo con esclusione del diritto d’opzione, già approvato e delegato al cda (atteso sul mercato tra il 2014 e il 2015), dovrebbe concretizzarsi non oltre il mese giugno.
Il nuovo corso di Rocca Salimbeni, iniziato nel 2012 con l’arrivo di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola nel ruolo rispettivamente di presidente e di amministratore delegato, oltre all’azione di pulizia nei conti che sta alimentando le inchieste della magistratura (vedere altri servizi), punta al rilancio del gruppo senese, alla sua normalizzazione statutaria e sul terreno della governance, con il conseguente ridimensionamento del peso della Fondazione (passata dal 56% al 34,1% attuale e, in prospettiva, destinata a scendere sotto il 20%), a sua volta impegnata a riscrivere il proprio statuto.
Un cambio di rotta inevitabile. Negli ultimi due anni Banca Mps ha perso complessivamente più di 7,8 miliardi. Al rosso di 4,69 miliardi del 2011 si è aggiunto quello per 3,17 dell’esercizio passato: risultati negativi largamente condizionati dalle svalutazioni degli asset immateriali (ormai quasi azzerati nella contabilità di Siena) e dai 730 milioni persi in operazioni strutturate, ma frutto anche della bassissima redditività.
La vecchia gestione di Rocca Salimbeni aveva in parte ovviato al problema del calo dei margini investendo in Btp, fino a mettere insieme un portafoglio abnorme, superiore ai 26 miliardi, con titoli che avevano scadenze più che trentennali, in pratica una scommessa sul rischio Paese che nell’immediato ha assicurato reddito ma che poi si è tradotta in una trappola, quando l’aumento dello spread e l’obbligo di contabilizzare con il criterio del mark to market, cioè al valore di mercato del momento, ha generato uno squilibrio patrimoniale drammatico, superiore ai 3 miliardi.
L’aiuto pubblico arrivato a fine febbraio di quest’anno, 3,9 miliardi di Monti bond emessi da Rocca Salimbeni e sottoscritti dal ministero dell’Economia, più altri 175 milioni necessari a pagare gli interessi relativi al 2012 che lo Stato ha percepito sui vecchi Tremonti bond (1,9 miliardi oggi interamente rimborsati), è servito a rafforzare il patrimonio del gruppo in linea con le indicazioni dell’Autorità bancaria europea (Eba) e a tamponare il danno potenziale delle operazioni strutturate (500 milioni).
Se Profumo e Viola hanno parlato nelle settimane scorse di «svolta», di un «prima» e di un «dopo», è grazie a questo rafforzamento patrimoniale (Core Tier 1 all’11,3%) e grazie al grado di attuazione del piano industriale 2015, che a fine di quest’anno sarà realizzato per i due terzi. «La ripresa del Montepaschi passa per tre grandi obiettivi: la solidità patrimoniale, l’equilibrio finanziario e una redditività sostenibile», ha scritto lo stesso Profumo in febbraio sulle pagine del Sole 24 Ore. E Viola, che appena insediato aveva parlato di «tre anni per vedere il nuovo Monte dei Paschi», annunciando anche un taglio di almeno 10 miliardi al portafoglio finanziario, è impegnato a raggiungere gli obiettivi del piano industriale che prevede una redditività del 7% nel 2015, con una riduzione dei costi operativi di 600 milioni a regime (su un totale di 3,5 miliardi).
Il risultato della partita che i vertici di Rocca Salimbeni stanno giocando non è indipendente dall’andamento dell’economia e del mercato (ieri il titolo Mps ha guadagnato l’1,31% sull’onda del buon collocamento di Btp e anche dei sequestri preventivi decisi dalla magistratura), ma l’ottimismo di Profumo e Viola è dettato dalla consapevolezza che la banca con i sui 30mila dipendenti e 6milioni di clienti ce la mette tutta. Anche Siena è impegnata a recuperare il terreno perso in 17 anni d’immobilismo e di eccessi di localismo, dopo la nascita della Fondazione.
I prossimi mesi diranno se è troppo tardi. Ma, nella peggiore delle ipotesi, per la banca più antica del mondo si aprirà il paracadute statale.

Cesare Peruzzi