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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

IL TERREMOTO TRASPORTATO DA DUBAI ALL’INDIA CON UN «TRENO» DI ONDE

Il terremoto in Iran ha fatto sentire inaspettatamente i suoi effetti su una vastissima zona, dall’India al Golfo Persico seminando paura, distruzioni e vittime difficili da censire. «L’estensione così ampia di oltre 1.500 chilometri — spiega Gianluca Valensise, dirigente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Ingv — è dovuta soprattutto a tre cause riguardanti l’intensità del sisma, il tipo di onde con le quali si è trasmesso e la profondità dell’ipocentro dove è nato».
Il valore della magnitudo registrata, pari a 7,8 della scala Richter, dice da solo la violenza con la quale la terra ha tremato. Questo aspetto, unito alla profondità non grandissima (82 chilometri) ma rilevante del sottosuolo dove è avvenuta la lacerazione della crosta ha scatenato un treno di onde a frequenze basse in grado di essere percepite il regioni molto lontane dal luogo in cui si manifestano.
«Questo tipo di onde viaggia quasi indisturbato nella litosfera terrestre» nota Valensise. Ne risentono i piccoli edifici mal costruiti che crollano e i grattacieli, in modo particolare, che tremano ma resistono, perché le loro strutture sono concepite in modo flessibile secondo le norme antisismiche.
Tutta l’ampia regione è ben nota per la sua altissima sismicità, la più elevata della Terra. Qui si è sulla linea di sutura tra le placche africana e indiana con quella euroasiatica. Di mezzo c’è poi la placca arabica che scivola e si inabissa sotto l’Iran. Questa grande zolla si sposta alla velocità di 3,7 millimetri l’anno rispetto alla placca euroasiatica. Insomma, un inferno crostale in perenne movimento che per questo, negli ultimi decenni ma anche in un passato più remoto, ha scatenato mortali terremoti.
Già la scorsa settimana aveva fatto notizia un sisma con la magnitudo di 7,2, quindi quasi uguale all’attuale, con epicentro a duecento chilometri e nei pressi di una centrale nucleare che per fortuna non ha subito conseguenze. Ancora più vicino, a soli cinquanta chilometri, nel 1983 un sisma di 6,7 di magnitudo aveva colpito la stessa zona.
Purtroppo la storia racconta vicende drammatiche per tutti i Paesi dell’area. A partire dal 1505 quando l’intera Kabul, in Afghanistan, veniva rasa al suolo assieme a tutti i villaggi circonstanti. Oppure, in epoche più ravvicinate, nel maggio 1935, quando la terra sussultava con la forza di 7,6 della scala Richter a Quetta, in Pakistan, uccidendo circa cinquantamila persone. Un’altra data che non si dimentica è il 27 novembre 1945: la spinta della terra animata da un potentissimo terremoto di magnitudo 8 innescava uno tsunami nel Golfo di Oman e nel Mare Arabico uccidendo quattromila persone. L’elenco potrebbe tristemente continuare. «Basta guardare dall’alto come il grande territorio sia corrugato — nota Valensise — per capire le forze in gioco che nella storia geologica del pianeta hanno agito spesso in modo infausto».
Le grandi montagne in Pakistan e in Afghanistan sono il risultato delle compressioni tettoniche che avvengono tra le diverse placche, associate con la collisione della placca indiana che procede verso nord guadagnando 40 millimetri all’anno rispetto alla placca euroasiatica. È così che in quella terra tormentata sono nate le più alte vette del mondo: dall’Himalaya al Karakorum al Pamir.
«Ma proprio le potenti compressioni sotterranee hanno favorito pure la formazione del petrolio, rendendo quelle nazioni potenzialmente ricche», conclude Gianluca Valensise.
Data l’intensità dei sismi che i vari secoli raccontano, i disastri e le vittime potrebbero essere ancora peggiori, se vaste aree di quelle regioni non fossero desertiche e disabitate. Ma spesso dove la violenza della natura si manifesta la povertà della vita rende ancora più gravi i bilanci di un inesorabile destino.
Giovanni Caprara