Egle Santolini, La Stampa 17/4/2013, 17 aprile 2013
LE VITE DEGLI ALTRI" VANNO IN RETE
L’ultima invenzione in materia si chiama «The Book of Life Today», cioè il libro della vita oggi, ha in coda un bel punto org e difatti va in Rete: sarà il primo portale biografico al mondo. Hai voglia di lasciare ai posteri la tua biografia o quella di una persona che ti sta a cuore? Scrivicela e ci pensiamo noi. Non ti senti capace di farlo oppure non ne hai il tempo? Versaci una cifra simbolica e lo facciamo al posto tuo. Prossimamente sui vostri schermi: i particolari nell’intervista in questa pagina con Giulietta Bandiera, una delle promotrici dell’iniziativa.
L’idea pare buona proprio perché nell’aria del tempo, visto che mai come ora si leggono con emozionata avidità i libri che raccontano spezzoni di vita vissuta, dal bestseller di Massimo Gramellini al memoir di Fulvio Ervas. Ma ai tempi di Facebook (e di Twitter: però provateci voi a strizzare una vita in 140 caratteri) l’autobiografismo quotidiano è anche genere spicciolo esercitato di minuto in minuto, affidando alla Storia le foto dei bucatini mangiati al ristorante e quelle del primogenito in sala parto, gli insulti alla fidanzata traditrice e la visita dal veterinario del fox terrier.
Dove finisce l’autobiografismo e dove comincia il narcisismo? Per Vera Slepoj, psicoterapeuta e appassionata di libri, presidente del premio letterario Cortina d’Ampezzo, «sono spesso un tutt’uno. Ma va fatta una distinzione fra il narcisismo patologico che spinge a rappresentarsi come un personaggio famoso e la ricerca di identità che il narcisismo lo supera: cerchi di fissare nero su bianco quello che sei nel momento in cui non lo sai. In questo senso, il diario o l’autobiografia possono costituire un sintomo e una terapia. Per questo mi capita di sollecitare un paziente a scrivere, non necessariamente di sé: lo aiuta a delineare i confini della propria personalità. Internet ha capito la carenza ma vi risponde in maniera insieme esagerata e inadeguata, perché più ti rendi visibile su Facebook e meno sei saldo nell’identità: dipendi dal giudizio degli altri».
Viene in mente il caso limite di Janina Turek, casalinga di Cracovia che per 57 anni schedò tutto quello che le accadeva, dalla zuppa di funghi preparata per cena alla morte di Stalin mentre lei era al cinema a guardare «Fanfan la Tulipe»: senza ordinare gli avvenimenti in scala gerarchica e lasciandoci, alla fine, il racconto di un’ossessione e, insieme, uno sguardo sulla «vita degli altri», all’Est, nella seconda metà del Novecento.
Tutti, prima o poi, lo abbiamo pensato: la mia vita è un romanzo. «Già, e poi leggiamo “Open” di Andre Agassi, con quei temi e quei personaggi fortissimi, e ci illudiamo che sia possibile, davvero, farla diventare un libro. Peccato che “Open” sia stato scritto da un romanziere vero, J.R. Moehringer»: Laura Lepri, insegnante di scrittura creativa, mette in guardia da certi equivoci.
«Spingo i miei allievi fuori dal confine autobiografico, li invito alla fiction. E resto della scuola di pensiero di Mario Vargas Llosa, secondo cui chi scrive parte certamente dalla propria esperienza, ma poi deve allestire una specie di spogliarello alla rovescia fino a rendersi irriconoscibile. Gli scrittori veri sanno farlo. Ma se ci si limita al grado zero della narrazione autobiografica, se ci si mette per così dire a pancia all’aria, non si fa che dare una propria idea della realtà, che della verità non ha nulla, e certamente non si fa letteratura. Il rischio che stiamo correndo, ora, è che a dei libri autobiografici di grande delicatezza e di enorme successo facciano seguito le imitazioni non riuscite».