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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

AMATO, IL LUNGO VIAGGIO DEL "DOTTOR ETA BETA"

Trentunmila, trentaduemila, trentasettemila «in eurucci, e lordi». Chi, dei Dulcamara che girano in rete, dice di più? Mentre il «pensionato d’oro» più cliccato d’Italia - Giuliano Amato - insegue il web a suon di rettifiche della figlia Elisa - avvocato - per impedire che rilanci e moltiplichi i suoi emolumenti mensili già gonfiati dai quotidiani, e non solo della destra, basterebbe fare una ricerca sulle care, vecchie banche dati per scoprire dell’altro. Non solo, come ormai bombarda l’avvocato Elisa, la pensione «è di circa 11 mila euro netti, poiché il Professore ha da tempo rinunciato al vitalizio, dato in beneficenza...». Soprattutto - già vent’anni fa - Amato ripeteva come un mantra «serve un tetto ai superstipendi, non vanno bene compensi tali da cambiare la vita fino alle tre generazioni successive...». Un’idea di giustizia sociale che non deve essergli passata, se proprio in questi giorni sta cercando di stanare analoga stortura: analizzando il profilo degli iscritti al Sant’Anna, la Normale dei giuristi che sfornò tra gli altri anche il costituzionalista Amato Giuliano, s’è accorto che da un decennio i ceti medi, e bassi, si autoescludono. E insomma, l’hanno sentito dire in quel di Pisa, «storie come la mia oggi non sarebbero più possibili», servono azioni positive contro la crisi che ha fermato l’ascensore sociale per i giovani... «Storie come la mia...», ovvero il figlio di un piccolo impiegato emigrato dall’Agrigentino a Torino, diventato l’uomo, il politico, il giurista, l’economista, il ministro, il premier, l’inventore dell’Antitrust, il professore spiritoso che calamita gli allievi, l’eterno candidato al Colle che al Colle candidò Emma Bonino, il senatore che si porta da solo la borsa (di tela blu, dell’Aspen Institute che ha presieduto)... E che l’Italia - lo si vedrà dal suo prossimo libro, «La grande illusione» scritto con Andrea Graziosi per Il Mulino - la ama davvero, teorizzando una «terza rivoluzione industriale» che rilanci la crescita e ci tolga le paure del mercato globale. Al punto da non mollarla nemmeno quando Larry Summers gli offerse di guidare il Fondo Monetario Internazionale bisognoso (lo è ancora) di riforma.

Lo chiamano «il dottor Sottile», copyright di Eugenio Scalfari che rispunterà quando sarà pubblico il breve commentario che ha scritto per il 650° del «Principe» di Machiavelli. La nomea gli brucia perché nella vulgata, invece che sinonimo di una testa fatta a scaffali come una biblioteca, ha preso la forma di un eccesso cartesiano, e il sangue freddo nell’affrontare tante crisi ha preso l’acido di un’anaffettività nella quale lui non si riconosce. Forse - forse - gli garba di più quell’Eta Beta che nel ’93 - appena uscito da Palazzo Chigi, dopo aver convinto Oscar Luigi Scalfaro a dare il mandato a Ciampi, e Ciampi ad accettare - confidò alla «Stampa». Si trattava di una sinistra che avrebbe dovuto trasformarsi in «partito democratico» (sostantivo ed aggettivo in minuscolo), capace di inventare, come Eta Beta, soluzioni per ogni italico problema. Ma era evidente che quell’Eta Beta («mi sono convinto di essere un personaggio disneyano...») era invece proprio Giuliano Amato.

Impossibile elencare le soluzioni sfornate tra l’uno e l’altro degli autoimposti e purificatori esili dalla politica. Un elenco talmente lungo che bisogna fare dell’ucronìa, la «storia con i se», per provare a cogliere il senso delle potenzialità: ci fosse stato lui alla Farnesina, dov’era candidato prima che Alfano imponesse Giulio Terzi, avremmo ancora in corso la tragedia dei marò? Al posto di Monti, sarebbe riuscito a convincere Merkel a varare gli eurobond? Si fosse fatto quel che Amato indicò già nel 2010 per il contenimento immediato del debito pubblico - che oggi è al 130 per cento abbattendolo di qualche decina di punti con l’una tantum sui patrimoni del 30 per cento più abbiente della popolazione, avremmo affrontato meglio la crisi? Domande retoriche, o viceversa la controprova non c’è. Di certo, in una crisi che alcuni economisti considerano più grave di questa perché nel ’92 era arduo collocare i titoli del debito, fece il famoso prelievo notturno del 6 per mille sui conti correnti dei più ricchi. Ma fu evitato il default, il fallimento dello Stato italiano, con tutto quel che ne sarebbe conseguito per tutti i cittadini.

E infatti - nei giorni bui dello «stallo» - hanno sentito Giorgio Napolitano esclamare «qui ci vorrebbe Giuliano Amato!». Qualcuno che, dopo aver interpretato la Costituzione italiana e scritto quella europea, dato il via alle privatizzazioni (autocritica: «Dovevamo liberalizzare, insieme») e inventato le Fondazioni bancarie perché i denari stessero stretti al territorio che li aveva generati (autocritica: «È una foresta pietrificata»), giocato a tennis da premier a premier con Tony Blair, abbia capacità negoziale con quella che è una sua mezza creatura - l’Unione Europea sia di casa a Washington, e soprattutto sappia mediare tra le mille anime della politica italiana. Bersani ha in testa il suo nome già da tempo. Berlusconi... Beh, Berlusconi nei giorni in cui s’intestava una pulsione liberale fu udito fare una battuta megalomane, «Delle volte mi guardo allo specchio e ci vedo Giuliano Amato».

Ma prima, da battere, c’è la rete. Il web che ci rende liberi, quando non ci imprigiona in quel che non siamo. «Udite, udite o rustici, attenti non fiatate/ io già suppongo e immagino che al par di me sappiate..», cantava Dulcamara. Si tratta di vedere se un Paese che si regge sulla Bce e il Quirinale debba avere al Quirinale competenza, o popolarità. Chi offre di più?