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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

QUELLA VIA DI BOSTON COME KABUL E BAGHDAD

Tre isolati di Boston davanti la Biblioteca Pubblica, asse lungo un miglio da Boylston a Berkeley Street, Massachusetts Avenue, Newbury Street e Huntington Avenue, somigliano oggi a Kabul o Baghdad dei giorni del sangue.

Gli artificieri della Marina americana, i migliori al mondo, cercano tra i detriti dell’attentato che ha ucciso tre persone, incluso il bambino di otto anni Martin Richard e Krystle Campbell, 29 anni, il dettaglio che porterà al killer, solitario se legato agli estremisti razzisti, di gruppo se fedele al fondamentalismo islamico. L’esplosivo è stato piazzato dentro una pentola a pressione, con cuscinetti a sfera e chiodi da falegname come schegge per uccidere e mutilare: i chirurghi ne hanno estratti ben cento dal corpo di un solo paziente. L’innesco era sul manico, fatto detonare pare da un timer, non un telefonino.

La bomba da pentola a pressione è talmente comune in Iraq e Afghanistan che la rivista «Ispirazione», legata ai terroristi di al Qaeda, ne chiariva in dettaglio la preparazione. Quando il periodico è tornato in clandestinità sono stati gli anarchici di Hellhound a mettere online video che trasformano l’innocuo utensile da cucina in ordigno micidiale. Gli artificieri temono talmente la tecnica che nel 2004 il Department of Homeland Security diffonde una circolare per chiedere agli agenti di alzare la guardia quando, durante una banale perquisizione, si imbattono in un «pressure cooker».

A Kabul e a Baghdad due morti americani su tre sono caduti per Ied, improvised explosive devices, bombe artigianali, una mina legata all’ammortizzatore di un’auto, che non detona se passa sopra un soldato, ma si innesca se arriva il peso di un autoblindo. Davanti alla Biblioteca con la mostra che celebra «L’età d’oro di Boston» gli artificieri setacciano i resti dell’età del piombo. La bomba è simile a quella che nel 1996 il terrorista antiabortista solitario Rudolph fece brillare al Parco di Atlanta durante i Giochi Olimpici, due morti e 111 feriti, usando un tubo anziché una pentola, ma la tecnica è così diffusa da al Qaeda che le indagini restano aperte.

In laboratorio si applicano le tecniche che milioni di americani adorano nella serie tv Csi, Crime scene investigation. I frammenti di bomba vengono sottoposti a cromatografia e svelano l’identikit e le impronte digitali di ogni elemento chimico usato. In queste ore, da Boston, i computer controllano i dati su esplosioni simili in tutto il mondo, per trovare analogie. Persino i chiodi estratti dalle vittime verranno studiati, uno per uno cercando tracce. Il cratere lasciato dallo scoppio è ricco di indizi, e uno per uno i Csi della vera vita li studiano.

Ogni telecamera che opera nel centro di Boston ha riversato le sue immagini alla polizia. Come a Kabul, come a Baghdad dopo un attentato, migliaia di computer e analisti guardano le banali, sgranate immagini, della vita quotidiana di una città antica ed elegante, se mai apparisse uno, o più killer. Il capo della polizia ha chiesto in diretta a tutti i presenti alla tragica volata della Maratona di consegnare foto e video ripresi con il telefonino. Dopo l’Enciclopedia collettiva Wikipedia, dopo il racconto di ieri in diretta su twitter dell’attentato, la folla ora partecipa a quella che sarà la prima inchiesta di polizia in crowdsourcing, dal basso, della storia. Ci sono software per riconoscere i volti dalle immagini, verranno usati sui sospetti, per identificare persone.

La preoccupazione maggiore è però il chatter: la conversazione sociale che occupa ogni giorno il web è strumento principe dell’antiterrorismo. Se si parla online, sia pure in gergo o in codice, di violenza si alza la guardia. Perché si chiede l’esperto di terrorismo Brian Jenkins il «chatter», il rumore di fondo della comunicazione, non ha dato segnali delle bombe di Boston?

Per trovare la risposta migliaia di agenti schiacciano il tasto rewind e replay dell’intero web e, con pazienza, riascoltano la conversazione planetaria che li ha traditi il 15 aprile. A meno che il terrorista non sia un nuovo Unabomber, lo scienziato solitario Ted Kaczynski, che spedendo pacchi bomba fece tre morti e 23 feriti. Non chattava con nessuno, il web non l’avrebbe mai tradito se il fratello non l’avesse infine denunciato alla polizia.

Il lavoro sarà completato, l’inchiesta di base darà, ha già dato, indizi e prove. Più lento il lavoro di sutura della coscienza americana, scossa più del previsto dalle vittime di Boston.

Dopo Oklahoma City 1995 e Atlanta 1996, artefici terroristi americani estremisti, McVeigh e Rudolph, e Washington e New York 2001, artefici terroristi di al Qaeda, dopo l’attentato fallito a Times Square, il paese era agitato da altre ansie, le stragi con le armi automatiche come a Newton, i missili nucleari nordcoreani, la disoccupazione che non scende come Obama vorrebbe.

Invece da Boston, con le immagini del piccolo Martin e di Krystle Campbell torna l’angoscia: un aereo fermato all’aeroporto Logan, un terminal sgombrato a La Guardia a New York, l’American Airlines che si ferma per un guasto al sistema, ma tutti restano persuasi che ci sia una minaccia terrorista e non lo si comunichi al pubblico. Il web offre ai killer una rete infinita di propaga n d a , m a a l tempo stesso offre mille mezzi per catturarli ad ogni momento.

L’esperto di guerriglia John Arquilla argomenta che nella guerra psicologica in rete oggi un killer solitario, o legato a uno «sciame» di compagni, è una minaccia difficile da piegare. Juliette Kayyem, ex analista dell’antiterrorismo per il presidente Obama, twitta @juliettekayyem, la verità che nessuno vuole riconoscere: è impossibile garantire da attacchi un continente immenso, ricco di obiettivi e infrastrutture, popolato da 300 milioni di frenetici e liberi cittadini. Dopo l’11 Settembre una docente all’Accademia di West Point tracciò su una lavagna una formula chiara: +Sicurezza=-Libertà. Per anni gli americani hanno accettato meno libertà, poi hanno preferito il rischio e la libertà. Boston rialza l’allarme, ma non cambierà la scelta: il centro può assomigliare a una zona di guerra, ma non smobilitare una città di pace.