Elena Dusi, la Repubblica 17/4/2013, 17 aprile 2013
IL MIRAGGIO DI STAMINA
«Sono Fabio Fravili, padre di Gianluca. Io per mio figlio andrei all’inferno ». Fabio è un fiume in piena. Nel raccontare si alterna alla moglie nella cucina di una casa bella e luminosa a Mentana, vicino Roma. Gianluca è sulla sedia a rotelle, legato con una cintura e oggi non vuole saperne di guardare la tv accesa. È della sua storia che si parla e lui si dimena, sbarra gli occhi, contrae la bocca. Sta partecipando alla conversazione.
«Farei qualunque cosa per farlo guarire. Cioè, guarire no, lo so che non si può guarire, ma migliorare sì». Gianluca ha 23 anni e una malattia neurodegenerativa devastante che si chiama Niemann- Pick di tipo C, insieme ad altre 500 persone nel mondo. «Vannoni mi ha detto che con le staminali possiamo togliergli il sondino. Sai che sogno? Mangiare a tavola insieme a noi».
La speranza di casa Fravili è legata al “Metodo Stamina” di Davide Vannoni e Marino Andolina, messo fuori legge nel 2012 dall’Autorità per il Farmaco ma richiesto ugualmente (secondo i dati della stessa Stamina) da 9mila pazienti in Italia. La procura di Torino, da parte sua, ha iscritto nel registro degli indagati 13 membri della Fondazione, fra cui Vannoni, per somministrazione di farmaci imperfetti, truffa ai danni dei pazienti e associazione a delinquere. Secondo le denunce e i documenti bancari la Fondazione avrebbe incassato da 70 pazienti cifre fra i 7 e i 10mila euro. Secondo il pm Guariniello i suoi vertici sono «animati dall’intento di trarre guadagno dai pazienti affetti da patologie senza speranza».
Gianluca era calciatore e nuotatore, poi intorno ai 10 anni ha iniziato a balbettare. «Pensavamo fosse l’arrivo della sorellina. Poi si è rotto un piede. Ma quando ha tolto il gesso continuava a camminare come se il gesso ci fosse ancora». La diagnosi arriva dal Bambin Gesù di Roma. Gianluca stava ancora bene, ma di lì in avanti la Niemann-Pick avrebbe iniziato a erodere nervi e muscoli. «Non si sapeva molto di questa malattia. Siamo andati a studiare su internet e ci siamo accorti che non è mica uno scherzetto. Chiedevamo ai medici: cosa si può fare? E ci rispondevano: niente. Ma come è possibile, niente di niente? Però una cosa è vera, questa malattia non ti fa capire nulla. Magari sta ferma per un anno, poi in due o tre mesi fa danni tremendi. Ogni malato è diverso dall’altro, e nessun medico sa dirti cosa accadrà a tuo figlio. Ma come si fa a campare così? Un cristiano scoppia. E invece Vannoni ci ha parlato, calmo, e ci ha detto: stia tranquillo, almeno la cannula gliela leviamo».
A 13 anni Gianluca non ha più camminato. Nel 2008 ha smesso di mangiare perché non riusciva a deglutire. «Allora abbiamo iniziato a frullargli i cibi. Ma lui tossiva e si strozzava. Un giorno ci siamo spaventati, all’ospedale gli hanno messo il sondino. Da quel giorno abbiamo spostato la tavola davanti alla televisione, così si distrae e non è dispiaciuto se mangiamo senza di lui». Fabio prova a far alzare il ragazzo in piedi. «Dai, spingi su quelle gambe. No, oggi non è giornata, ma di solito qualche passo lo fa. Lui adora Totti e gli piace molto anche Ilary. Vede questa maglietta col numero 10? C’è l’autografo: “A Gianluca tanti auguri”».
Anche se è domenica pomeriggio due giovani medici del Policlinico Tor Vergata bussano per cambiare la cannula della tracheotomia. Lo fanno ogni 20 giorni per evitare le infezioni dei polmoni. Non si può dire che il ragazzo sia lasciato solo dallo stato. Il farmaco usato per questa malattia, Zavesca, costa 10mila euro alla confezione. «A casa — continua la madre — vengono anche la fisioterapista e l’infermiera. All’inizio non volevamo perché Gianluca si vergogna e fa il segno di “sciò” con la mano. Però in realtà ci facciamo aiutare volentieri». Ogni quarto d’ora uno dei genitori si alza, prende una cannuccia sterile e aspira il liquido che si forma nei polmoni e non fa respirare Gianluca.
La sua camera è piena di apparecchi medici e immagini sacre. «L’abbiamo costruita accanto alla nostra stanza, io e un mio compare, due anni fa» dice Fabio. «Mia moglie si alza 5 o 6 volte ogni notte per aspirargli il liquido nei polmoni. C’è il materasso antidecubito, bello largo. La traversina di lato l’abbiamo dovuta alzare perché scavalcava. Ha un’energia questo mio ragazzo».
A una riunione dell’Associazione Niemann-Pick, nel 2010, i Fravili e gli altri genitori conoscono Vannoni e sentono parlare del metodo Stamina. «Eravamo tutti infervorati per fare questa cura con le staminali. Volevamo partire subito. Prima, se ci ripenso, vagavamo come disperati. Certo che ci hanno spiegato bene come funziona. Si fa il prelievo delle cellule mesenchimali da un genitore e si prendono queste cellule. Le staminali buone vengono infuse nel malato e dopo un mese si vedono i primi miglioramenti».
Gli unici bambini trattati con il metodo Stamina e poi seguiti con regolarità per capirne gli effetti sono stati 5 malati di Sma fra 1 e 3 anni, all’ospedale pediatrico Burlo Garofolo di Trieste. Lo studio pubblicato su Neuromuscular Disorders nel dicembre 2010 non ha dato buoni risultati. Due dei cinque piccoli sono morti durante il trattamento. Gli altri tre sono peggiorati come se
non avessero ricevuto cure. La salute dei bambini è stata misurata con prove oggettive: misurando la forza muscolare, la composizione del liquido cerebro- spinale e con dei video girati prima e dopo il trattamento, poi inviati a specialisti esterni all’ospedale senza indicare l’ordine di tempo.
I genitori di Gianluca hanno provato a chiedere consiglio anche ai medici che lo hanno in cura: «Ma quelli ci fulminavano ogni volta che tiravamo fuori la parola “staminali”. Non credevano a niente, non volevano nemmeno sentirne parlare. Ci era capitato di incontrare dei genitori che volevano andare all’estero, così ci siamo informati pure noi. In Tailandia c’era un trattamento a 30mila euro. Altri arrivavano a 90mila euro e noi non potevamo pensarci nemmeno. Al momento della diagnosi abitavamo al terzo piano. Ora abbiamo preso questa casa al pian terreno e dobbiamo pagare il mutuo».
Nel 2011 Gianluca era pronto a iniziare il trattamento della Stamina. «E invece si è preso la polmonite. Che botta è stata. Lui, che è alto 1 e 75, pesava solo 40 chili». La ripresa è lenta e nel frattempo il metodo viene bloccato dall’Autorità del Farmaco. «Ci siamo rivolti al giudice di Tivoli il 7 febbraio di quest’anno,
ma il primo marzo ci hanno detto che il trattamento a Gianluca veniva negato».
Andolina e Vannoni mostrano ai pazienti dei video in cui persone colpite da molteplici malattie migliorano in modo eclatante. «Per me Vannoni è come un cantante rock, mentre Andolina assomiglia a Lenin. Sono due persone eccezionali. Ho visto una foto di Vannoni in ginocchio di fronte a una bambina in carrozzina. Ha uno sguardo, un’espressione di calore. Ci hanno spiegato che le staminali si vanno a sostituire alla parte danneggiata e ricostruiscono la catena dei neuroni. È lo
stesso principio per cui i capelli ricrescono e alla lucertola rispunta la coda. Le staminali sono qualcosa di straordinario». L’analisi dei campioni di cellule usate da Stamina, effettuata all’università di Modena e Reggio Emilia dopo una visita dei Nas la scorsa estate, non ha trovato in realtà cellule staminali trasformate in neuroni e nessun esame dei bambini trattati ha dimostrato alcuna rigenerazione del tessuto nervoso. «Tutti questi medici — ribatte il padre di Gianluca — da vent’anni fanno ricerca e quello che riescono a dire è: non c’è niente da fare. Ma come, vorrei chiedergli, a te ti piacerebbe metterti dentro a un letto finché la malattia non ti uccide?
Ma perché ci devono impedire di andare dalla Stamina? Almeno loro ci hanno dato una speranza».
Neanche la bocciatura del giudice ha scoraggiato i Fravili, che hanno appena fatto ricorso. «Il magistrato era anche una donna. Ma che le costava farci provare? Che diamine, non si può mica essere sfortunati sempre. Guardalo, lo vedi come si agita Gianluca? È molto nervoso ultimamente. Sono sicuro che ha capito l’antifona, si è infervorato anche lui. Sta aspettando le staminali e io vado anche all’inferno pur di fargliele avere».