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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

NEL DIARIO DI CARMELA, SUICIDA A 13 ANNI “GLI STUPRATORI MI HANNO RUBATO LA VITA”

DAL NOSTRO INVIATO
TARANTO — “Mamma, papà, VVTTTTTB”. È rimasta senza vocali, ferma all’ultima pagina del suo diario, aprile del 2007, la vita di Carmela Cirella, 13 anni. Quello stesso diario che ora rischia di diventare la prova decisiva per incastrare i suoi aguzzini. Carmela si è suicidata sei anni fa. Il 15 aprile del 2007. Si è lanciata dalla finestra di casa di amici, a Taranto. Qualche mese prima, tre volte in quattro giorni, era stata stuprata da cinque persone diverse: due minorenni e tre maggiorenni. «Ma nessuno di questi ha fatto un solo giorno di carcere», dice il patrigno, Alfonso Frassanito. I due minorenni hanno ammesso il rapporto sessuale, all’epoca avevano quasi 17 anni, Carmela 12. «Nessuno stupro», hanno però giurato in aula. E alla fine il tribunale ha deciso che per loro la pena giusta fosse la “messa alla prova”: in sostanza, hai sbagliato ma non sbagliare più. I tre maggiorenni, invece, hanno ancora il processo in corso: la prossima udienza è fissata il 21 giugno, l’ultima il 12 luglio. Poi la sentenza.
A fare prova ora c’è anche il diario e le pagine scritte a mano da Carmela, recuperate dal padre e depositate
agli atti: sfoghi, ma anche circostanze, nomi e cognomi. Gli ultimi appunti sono stati scoperti appena qualche settimana fa: in quelle pagine Carmela racconta tutte le tappe del suo calvario. Una storia di violenza, miseria e di degrado. «Una storia che non può essere quella di una bambina», spiega l’avvocato Flaviano Boccasini, che rappresenta la mamma di Carmela.
“Ho cominciato un diario, l’ho chiamato la storia più brutta della mia vita”, inizia così il tour nell’orrore
di questa bambina di 12 anni. Tutto parte da un primo tentativo di violenza, nel 2006. Sarebbe stato un marinaio: un caso senza prove, ha detto la giustizia, che ha archiviato per due volte di seguito. Fu però quell’episodio a spingere i servizi sociali del Comune a occuparsi di Carmela, che in verità aveva già un fascicolo aperto perché la storia sua e della sua famiglia era di quelle complicate. “Ho paura del dubbio perché ho visto
Boogeyman” scrive la bambina. L’uomo nero.
I servizi sociali la mandando in comunità. Torna a casa nei weekend. “Continuo a piangere. Voglio morire. Non vedo l’ora di vedere i miei”. Carmela non sta bene. In comunità, ma non solo. E’ da casa, quartiere popolarissimo di Taranto, che scappa nel novembre del 2006. Quattro giorni. Novantasei ore durante le quali Carmela viene stuprata tre volte. Prima un minorenne, che l’avrebbe poi consegnata a un 50enne che però oggi, a processo, nega tutto. Nega di averla violentata, come sostenuto invece dalla Procura. “Era nudo e diceva che voleva ballare”, ricorda la bambina nei suoi appunti. Carmela riesce a scappare e chiede aiuto a un suo amichetto: “Volevo restare abbracciata a lui”. Invece con la forza la costringe a letto. Scappa per strada e viene fermata da due ragazzi siciliani, di 26 e 27 anni. Sono di Acireale. Sono ambulanti. E vendono statue. È proprio sul loro camper, vicino a una Venere di gesso, che abusano contemporaneamente (abuserebbero: anche loro sono a processo, in attesa di giudizio) della ragazzina. Soltanto dopo l’ennesima violenza, Carmela torna a casa. In condizioni pietose. Al pronto soccorso capiscono tutto. Gli psicologi fanno il resto. Torna in comunità. Il padre — che sta conducendo una battaglia da tempo — sostiene che lì le abbiano prescritto farmaci sbagliati, senza autorizzazioni. La madre invece preferisce più silenzio. Le basta la foto della figlia. «Ma pretendo giustizia».
Ora la storia di questa bambina ha trovato anche una sua casa, fatta di disegni e colori pastello: Alessia Di Giovanni e Monica Barengo (edizioni BeccoGiallo) hanno illustrato e raccontato quel diario dell’orrore, come a volerlo esorcizzare. La loro graphic novel si chiama “Io so’ Carmela”, frase che la bambina scriveva ovunque. E parlando di uno di “quelli che mi hanno svuotato”, scriveva: “Mi diceva sempre che ero bella. È bello quando ti dicono che sei bella. Ti senti di essere qualcosa. Invece non sei niente”.