Ettore Livini, la Repubblica 17/4/2013, 17 aprile 2013
LA CORSA DELL’ORO AL CAPOLINEA L’ORDINE È VENDERE E IL VALORE CROLLA
MILANO — La corsa al metallo giallo, dopo dieci anni d’oro in cui il lingotto ha moltiplicato per sette il suo valore, è arrivata – almeno per il momento – al capolinea. Fino a pochi mesi fa, con il mondo in crisi e l’euro nella bufera, risparmiatori ed hedge fund si strappavano di mano le poche oncie del bene rifugio per eccellenza in vendita sul mercato. Oggi il vento è girato: la Caporetto dei subprime è andata in archivio, il crac Lehman è materia dei libri di storia e persino la crisi dei debiti sovrani (toccando ferro) pare avviata – giurano molti analisti – verso la soluzione. Risultato: l’oro, all’improvviso, non luccica più. Tre giorni fa un’oncia costava ancora oltre 1.600 dollari. Ieri sera ne bastavano 1.390, dopo un lunedì nero – la peggior seduta dall’83 – in cui ha lasciato per strada 100 dollari (-8,7%) in poche ore.
Cosa è successo? L’addio allo status di bene rifugio a favore di investimenti più redditizi è solo
una spiegazione. A far saltare gli equilibri – dice qualche operatore – è stata Cipro, costretta a mettere all’asta un po’ delle riserve auree per puntellare i conti traballanti delle sue banche. «Un’eccezione» ha messo le mani avanti la Ue. Ma i listini non si fidano. E il timore che la stessa ricetta possa essere applicata a paesi più grandi (la Banca d’Italia ha in cassaforte 2.451 tonnellate d’oro, valore 70 miliardi circa) ha mandato in fibrillazione
i trader.
La slavina è diventata così una valanga «Qualche hedge fund in difficoltà sta liquidando le sue posizioni per evitare il crac» è il tam tam allarmistico di un mercato dove il “guru” John Paulson, considerato il Messi dei fondi speculativi, ha perso 1 miliardo in 48 ore. Tutti, nel dubbio vendono. E senza il paracadute degli acquisti di Cina e India – dove il Pil sale meno del previsto – e dello shopping delle banche centrali (nel 2012 ne hanno comprato 536 tonnellate, un record) arginare il crollo è difficile.
I capricci della finanza ci hanno abituato a questi ottovolante. E mentre le banche d’affari si precipitano a rivedere le loro stime al ribasso (come sempre dopo che i buoi sono scappati dalla stalla) i fan dell’oro non alzano ancora bandiera bianca. «Questi prezzi sono un’ottima opportunità d’acquisto», ha detto ieri Ajivit Navard Cabraal, governatore della banca centrale di Sri Lanka. Un parere autorevole visto che le riserve auree dei paesi emergenti sono bassissime e Turchia, Brasile, Filippine e Kazakhstan sono stati grandi compratori di lingotti nel 2012.
A pensarla così non è solo lui. Anche la Bundesbank, che ha lo sguardo più lungo degli specu-latori,
sta lavorando dietro le quinte per mettere in sicurezza il suo metallo giallo. L’euro in fondo è ancora una moneta giovane e fragile. La bomba ad orologeria dei derivati – quelli in circolazione valgono nove volte il Pil mondiale – non è stata dissinnescata. Così la Buba, per non sapere né leggere né scrivere, ha chiesto alla Fed di restituirle
qualche centinaio di tonnellate di “oro del Reno” custodito dai tempi della cortina di ferro 25 metri sotto terra nei caveau della banca centrale Usa a Manhattan. «Ma come, non si fidano più l’una dell’altra?», ha twittato preoccupatissimo Bill Gross, manager di Pimco. Magari sì. Ma se il vento dovesse girare di nuovo, almeno così sembrano pensarla a Francoforte, niente di meglio e di più solido che qualche oncia di metallo giallo in più nel materasso tedesco.