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 2013  aprile 13 Sabato calendario

SONO CRESCIUTO BEVENDO BENZINA

Si presenta nel suo Paese, l’Italia, dove domani si corre il quarto appuntamento della stagione 2013 ad Arco di Trento, in testa al Mondiale motocross. Non è una novità. Di titoli, questo giovane uomo nato e cresciuto in Sicilia e arrivato da lì a guardare tutti dall’alto in basso, ne ha già vinti sei. Una specie di cannibale. Che ogni anno riparte da dove aveva finito. Vincendo. E trovando chissà dove gli stimoli per ripetersi.
«Ho la fortuna di poter correre gara per gara senza fare piani. Già vincerne una è un obiettivo, collezionandole si arriva al titolo. Ma in partenza non ci faccio caso, comunque non è un guaio avere l’obbligo di conquistare il Mondiale...».
Qual è il segreto che la rende così forte?
«Un mix di tanti fattori, tutto ciò che ogni giorno ti fa fare un piccolo salto di qualità: esperienza, che è la parte più importante, ma anche velocità, tecnica, costanza di allenamento. Dal mio esordio nel Mondiale sono cambiato tanto. Gli anni di gare sono quelli che ti insegnano di più: analizzi gli sbagli, vedi cosa si può modificare a livello di preparazione della corsa. Durante una stagione ci sono tanti momenti in cui, magari in qualifica, cerchi di risparmiarti se non è necessario fare di più. Ma a pensarci ero così anche da piccolo, sempre riflessivo, non cercavo mai di strafare. Infatti da ragazzine non ho mai avuto infortuni».
Come si guida nel cross? Che terreno preferisce?
«A me piacciono la sabbia e il terreno mosso, per fortuna tante gare iridate sono così. Lì si cerca di stare in piedi il più possibile, seguire i canali nel modo più corretto. Sul terreno più duro ci sono meno sponde e sulla superficie scivolosa va dosato il gas per non far pattinare la ruota in uscita o perdere l’avantreno in entrata. Sul morbido non bisogna attaccare troppo, serve che il lavoro lo faccia la moto: se combatti contro le buche dopo un quarto d’ora sei finito».
Com’è la sua giornata tipo?
«Mi sveglio tra le 8.30 e le 9, mi piace dormire. Colazione al bar sotto casa, dopo sono in pista se devo provare la moto oppure a correre sul tapis roulant in casa o all’aperto, dipende dalle giornate. In pista giro dalle 11 alle 16, mangio qualcosa al volo lì dopo l’allenamento. Mi muovo, passo in officina dai meccanici e infine torno a casa, guardo un po’ di tv e mi rilasso».
Dove vive?
«Appena fuori Roma, ho finito da poco una casetta a Santa Marinella, e poi in Belgio. Sei mesi qui e sei mesi là. Durante il periodo di gare sto a Lommen: è più comodo muoversi da lì per i GP nel Nord Europa ed è pienissimo di piste, una ventina nel giro di 20 km. Di Roma mi piace tutto, solo vivere pensando alla storia di questa città mi da una grande carica. E il clima è molto più simile a quello della Sicilia in cui sono nato e cresciuto».
Lei ha perso la madre un anno e mezzo fa. Quanto ha contato la famiglia nella strada che ha fatto?
«Sono stati tutti molto importanti. Mi hanno sempre sostenuto e sempre spinto a dare il massimo, ma quando non arrivava un buon risultato mi lasciavano tranquillo. Tanti padri negli sport motoristici sono invadenti anche con il team, si impicciano. I miei genitori mai, quel che facevo andava sempre bene. Mia madre cucinava e si prendeva cura di me, cambiava gli interni del casco, la maglietta di sotto (“Altrimenti ti ammali”); mio padre guardava, osservava, metteva la benzina, dava una mano».
E le sue tre sorelle?
«Sono molto appassionate e mi hanno sempre sostenuto, delle super tifose. Anche loro hanno aiutato. Una voleva fare motocross prima di me, io sono l’ultimo nato in famiglia, ma per le donne è difficile anche adesso, figurarsi anni fa e in Sicilia. Le è spiaciuto, ma può provare la mia Ktm quando vuole... Ho quattro nipoti: i tre maschi vanno in moto, alla femmina non interessa. Non do troppi consigli: come successo a me non vanno spinti troppo, se saranno davvero appassionati andranno avanti».
Cosa ricorda dei pomeriggi passati a girare vicino a casa da piccolo?
«Soprattutto il sapore della benzina, perché la succhiavo sempre dalle macchine e ogni tanto ne bevevo un paio di litri... A chi la rubavo? All’auto di mio padre, di mia nonna, dove trovavo un tappo mezzo svitato succhiavo. Eravamo in campagna, vicino a un fiume, si andava un po’ ovunque. In tanti avevano una moto da cross, anche un mio cugino che abitava a 200 metri da noi e correva già a livello regionale. Ero sempre da lui. Tornavo da scuola, mettevo giù la borsa e partivo... Mi ero fatto un piccolo tracciato e ci giravo due o tre ore».
Ci racconta il suo esordio in gara?
«La prima gara ufficiale l’ho fatta in provincia di Catania alla fine del 1990. Chiusi terzo a livello regionale, ricordo solo un sacco di polvere e un caldo bestiale, ci saranno stati 40 gradi. Avevo 6 anni, da quell’età si poteva essere tesserati. C’erano più di 250 iscritti. Non ricordo di aver avuto paura, lo prendevo come un gioco, così come tutti gli altri ragazzini che erano lì. Stavamo sempre insieme fino alla partenza, ogni tanto dovevano chiamarci al microfono perché stavamo a giocare troppo e ci dimenticavamo del via».
E la prima a livello nazionale?
«Una gara del tricolore minicross vicino a Teramo. Pilotavo una Honda CR 80 vecchia di due anni. Chiusi 2°, ma dopo ogni manche dovevamo saldare il telaio per qualche problemino tecnico... Nella seconda ho anche bucato la gomma anteriore e sono arrivato sul traguardo così, manco me n’ero accorto. Andavo allo sbando...».
Lei ha lasciato casa presto per provare a far carriera. Com’era la vita da “emigrante” per correre?
«Avevo quasi 15 anni, da Patti sono andato a vivere a Padova e in comune c’è davvero solo la P. La gente lì è un po’ più fredda e io ero molto piccolo e timido, poco socievole. In treno, allora, erano quasi 23 ore di viaggio e non andavo quasi mai a casa, una volta al mese al massimo. Abitavo in un appartamento del team, con alcuni meccanici. Ogni tanto cucinavo, più spesso lo facevano loro e io lavavo i piatti. Avevo già lasciato la scuola. Mia madre non credeva molto nel cross, voleva che andassi avanti a studiare. L’accordo era che ci provassi qualche anno, fosse andata male sarei tornato a scuola».
I momenti più brutti e più belli della sua vita?
«Di sicuro il peggiore è stato quando è venuta a mancare mia mamma nel settembre del 2011. A livello agonistico l’infortunio al ginocchio del 2008, il più grave che mi sia capitato. Il ricordo più bello il primo Mondiale conquistato. Anzi, no: il primo GP iridato vinto nel 2004 a Namur. È anche il migliore della mia vita perché il mio sogno da piccolo era proprio vincere una gara mondiale».
Ha altre passioni oltre al cross?
«I rally! Mi piacciono moltissimo, ne vorrei disputare un po’. Li seguo, guardo tutti i video, conosco la storia, il passato, le vetture del gruppo B che erano vere e proprie armi, tanto di cappello a chi le pilotava... Da quando avevo 10 anni sono stato spettatore a molti rally di Messina e tante edizioni della Targa Florio».
Che programmi guarda in tv?
«Canali tipo History Channel e National Geographic, mi piacciono i documentari. Film ne vedo pochi, più che altro seguo il genere horror».
Giornali?
«Leggo qualcosa, non in modo accanito. Guardo le news quasi esclusivamente online».
Lei è stato uno dei precursori sui social network, aveva un account twitter già nel 2009.
«Sì, mi piace. Seguo tutto personalmente: Facebook, Twitter, Istagram. Voglio stare in contatto con i miei tifosi, loro sono interessati a cosa faccio. Non posso rispondere a tutti ma leggo tutto. È un bel modo di interagire, di vedere cosa pensano».
Le piace mangiare?
«Molto. Mangio di tutto anche se non esagero, evito fritti o simili. Preferisco la cucina mediterranea: pasta a pranzo o cena, essendo a Roma la Carbonara è la mia preferita e faccio in modo che sia nel menu due volte a settimana. Cucinavo spesso, ora ci pensa la mia ragazza».
Dove l’ha conosciuta?
«Sui campi di cross, il fratello correva e il padre è un appassionato. Jill è olandese, va e viene tra Roma e il suo Paese. Stiamo insieme dalla fine del 2007».
Lei viene da una famiglia numerosa...
«So cosa vuole chiedermi. Per adesso ancora non ci penso ma un giorno vorrei dei bambini, mi piacciono molto».
Ci parli del Valentino Rossi crossista...
«Vale ha tutte le doti per guidare bene una moto, non è una scoperta. Ma, rispetto alla pista, nel cross ci sono molte più varianti: il terreno cambia giro dopo giro, quando è liscio va bene, con più canali o buche si fa fatica. Sulla pista del suo ranch, sempre tenuta benissimo, ci si diverte. Ma lui e i suoi amici fanno soprattutto short-track, derapate, roba così. Gli ho dato qualche consiglio, voleva sapere subito di mosse impegnative tipo lo scrub, una tecnica per cui si piega la moto sulla rampa in modo diverso dal solito per saltare più bassi e più lunghi e stare in aria di più. Ma è una delle ultime cose da imparare...».
Le foto di questo servizio sono eloquenti: bisogna essere un po’ matti per praticare il motocross?
«Beh, diciamo che come sport non è golf o biliardo, essere un filo pazzi per mettersi a fare uno sport del genere aiuta... C’è molta adrenalina, non c’è dubbio. Ma fuori dalla pista è tutta un’altra questione, non si fanno mai pazzie. E comunque, per quanto tu sia bravo in moto, non sai mai cosa possono combinare gli altri. Sulla strada io vado piano».
Dove si vede tra 10 anni?
«Il mio obiettivo è restare nell’ambiente e far crescere qualche ragazzine italiano, dargli una mano. Speriamo ce ne siano tanti. Nel mio caso emergere è stata dura, se uno ne ha la possibilità deve aiutare gli altri. Già adesso riconosco chi ha talento o chi si impegna tanto: potrei essere un buon maestro».