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 2013  aprile 17 Mercoledì calendario

NAPOLITANO IN AMERICA, COSI’ ANDREOTTI MEDIO’

Quando WikiLeaks è per i libri di storia ma evoca analogie con il presente. L’organizza­zione di Julian Assange ha re­centemente pubblicato le corrispon­denze diplomatiche degli Stati Uniti relative agli anni Settanta, i Kissinger Cables: tra quelle che riguardano l’I­talia (e che sono state rilanciate da l’ Espresso ) ci sono anche le missive tra Washington e l’ambasciata Usa a Roma del 1975, relative al visto di en­trata negli Usa negato a Giorgio Na­politano, allora dirigente del Partito comunista italiano, che era stato in­vitato a tenere un ciclo di conferen­ze nelle università statunitensi. Il no­stro presidente della Repubblica, og­gi tra le personalità italiane più ap­prezzate negli Usa, non ottenne il vi­sto «per evitare di dare un attestato di rispettabilità al Pci» in quell’occasio­ne venne negato anche a Sergio Se­gre, altro politico comunista. Fino ad allora, infatti, mai un dirigente del P­ci aveva potuto compiere un viaggio ufficiale negli Usa, superando le li­mitazioni imposte dallo Smith Act del 1940, e i tempi non sembravano ma­turi neanche quella volta, anche se nel novembre dello stesso anno, in un altro contesto, lo Smith Act fu su­perato: nel novembre, infatti, una de­legazione dell’Unione interparla­mentare venne ricevuta negli Usa.
Tra loro, insieme a Giulio An­dreotti che con la sua cono­scenza degli Usa era quasi un garante, c’erano alcuni parlamenta­ri comunisti: Franco Calamandrei e lo stesso Sergio Segre. Uno degli acca­demici americani che nel 1975 invitò Napolitano, perché sembrava diri­gersi verso forme di socialismo euro­peo molto prima di altri compagni del suo partito, era Joseph La Palom­bara. Politologo, italianista, nel ’75 e­ra professore a Yale, La Palombara ha già raccontato come andò: «Voleva­mo capire se il nostro governo fosse disposto ad adottare un’interpreta­zione più morbida del famoso Smith Act , e fare delle eccezioni per un nu­mero limitato di eurocomunisti eu­ropei che consideravamo importan­ti. C’era stata una lettera inviata alla Casa Bianca firmata da me, da Nick Wahl dell’Università di Princeton e T da Stanley Hoffmann dell’Università di Harvard, ma la risposta fu negati­va ». S’incaricò di bloccare tutto Hel­mut Sonnenfeldt, consigliere al Di­partimento di Stato retto da Henry Kissinger, come spiegò La Palomba­ra: «Il Segretario di Stato si oppose fermamente. Quando lo incontrai a un ricevimento a Washington e mi la­mentai, la sua replica fu in linea con la sua politica e il suo personaggio: ’Ci sarà abbastanza tempo per invi­tarli da noi quando arriveranno al po­tere!’ disse. La risposta di Kissinger ebbe il pregio della chiarezza: finché lui fosse rimasto al Dipartimento di Stato, non avremmo potuto far a­vanzare quel tipo di inviti». Ma i do­cumenti messi oggi in rete dall’orga­nizzazione di Assange raccontano u­na storia monca, perché va ricorda­to che il viaggio di Napolitano negli Usa si realizzò tre anni dopo, dal 4 al 19 aprile del 1978, e fu un viaggio sto­rico, sia perché fu il primo di un diri­gente del Pci negli Usa, sia perché av­venne in un momento drammatico della storia del nostro Paese.
Erano, infatti, i giorni del rapi­mento di Aldo Moro: l’Italia del­la solidarietà nazionale era sconvolta dai comunicati delle Br, dai morti, divisa tra la sofferta linea del­la fermezza e quella della scelta u­manitaria. Lo stesso Andreotti, che l’11 marzo 1978 aveva costituito il suo IV governo, un monocolore Dc con una maggioranza programmatica che inglobava anche il Pci, ricorda nei suoi scritti che il viaggio negli Usa di Giorgio Napolitano, membro della segreteria del Pci, aveva delle conno­tazioni particolari: «Mi diedi da fare anch’io con l’ambasciata statuniten­se a Roma perché quel visto fosse concesso. Si trattava infatti di un’oc­casione importantissima: Napolita­no potè spiegare agli americani l’e­voluzione del Pci e il senso della po­litica che il suo partito perseguiva in quegli anni». Giorgio Napolitano gli rimase sempre grato per l’aiuto, co­me conferma una sua lettera auto­grafa del 9 maggio 2006, conservata nell’Archivio Andreotti, in cui Napo­litano, fresco di elezione al Quirina­le, scrive: «Non dimentico come ti a­doperasti per il buon esito di quella mia prima missione negli Stati uniti: venni a chiederti consiglio nel tuo studio a Palazzo Chigi, mi assicurasti il sostegno della nostra ambasciata e a Washington mi mettesti in contat­to con Dini, a casa del quale potei in­contrare il rappresentante del Fondo monetario». Inoltre, nel 1978, anche se l’ipoteca della Guerra fredda ri­maneva pesante, qualche passo era stato fatto rispetto a tre anni prima: in Italia la politica della solidarietà nazionale aveva avvicinato il Pci al­l’area di governo e, a livello interna­zionale, l’Atto di Helsinki del 1975 e le iniziative Salt per il disarmo Usa-Urss erano stati segnali di disgelo. Conseguentemente il presidente Car­ter, succeduto a Nixon, aveva am­morbidito le regole per i visti di in­gresso negli Usa per gli esponenti dei partiti comunisti stranieri. Giorgio Napolitano, al ritorno dagli Usa, scris­se il suo diario di viaggio in un im­portante articolo per Rinascita dal ti­tolo «Il Pci spiegato agli americani: le conferenze a Harward, Princeton e Yale, le domande degli studenti sulla politica italiana, l’incontro con eco­nomisti come Tobin, Modigliani e Sa­muelson ».
Ma per La Palombara il mo­mento in cui la visita negli States raggiunse il suo mas­simo risultato fu l’incontro del 14 a­prile al Council on Foreign Relations di New York. L’uditorio era composto da grandi avvocati, banchieri, indu­M striali, rappresentanti di multinazio­nali: «Posso testimoniare lo stupore di alcuni membri del Council, che chis­sà cosa s’aspettavano dicesse questo ’comunista’ italiano sbarcato a Manhattan. Dopo la mia presenta­zione Napolitano si alzò e, in un in­glese fluente, tenne una dissertazio­ne sull’economia italiana e interna­zionale ». La Palombara ha ricordato in un’intervista a 30 iorni come, al Council, Napolitano rimandò all’«accordo programmatico» in vi­gore dal luglio ’77 «che non include­va la cooperazione del Pci nell’area della politica estera italiana», sottoli­neando subito dopo, però, le mozio­ni unitarie votate in Parlamento da Pci e Dc nell’autunno del ’77 sul rafforzamento della Comunità euro­pea, sul contributo comune da dare per la distensione, la riduzione degli armamenti e la piena attuazione del­­l’Atto di Helsinki. Napolitano spiegò ancora che «il Pci non si opponeva più alla Nato come negli anni Ses­santa », e chiuse affermando che «lo scopo comune è quello di superare la crisi, e creare maggiore stabilità in Italia». Fu, quindi, una sintesi delle basi su cui era costruita la solidarietà nazionale. Stagione che si chiuse nel 1979, ma che è stata richiamata alla memoria lo scorso 8 aprile dal presi­dente Napolitano, che ha ricordato come «ci volle coraggio per quella scelta di inedita larga intesa e solida­rietà, imposta da minacce e prove che per l’Italia si chiamano inflazione e situazione finanziaria fuori control­lo e aggressione terroristica allo Sta­to democratico come degenerazione ultima dell’estremismo demagogi­co ». Un messaggio che è stato letto da tutti come un richiamo al presen­te da parte del Presidente che termi­na il suo settennato e un suggeri­mento metodologico per il prossimo futuro.