Alessia Cruciani, SW 13/3/2013, 13 marzo 2013
SONO DIVENTATO MATTO
Schietto, educato, molto misurato. Sempre stato così, fin da bambino. Infatti si definisce «un uomo da sposare». Con un sogno: «Vorrei essere più estroverso». Per i suoi 27 anni, che compie proprio oggi, 23 marzo, proviamo allora a regalare ad Andrea Dovizioso un ritratto diverso dal solito. Perché, in fondo, come fa a non essere un po’ fuori di testa uno che corre in moto fin da quando aveva tre anni? Come fa a non essere passionale uno che si commuove davanti ai film? Ma, soprattutto, come fa a non essere un po’ pazzo uno che decide di scommettere sulla Ducati, la moto che ha reso difficile la vita di tanti piloti della MotoGP?
«Pazzia non è il termine giusto. Direi una decisione rischiosa ma molto importante. Stonerò stato l’unico a fare la differenza su questa moto, mentre tutti gli altri hanno fatto sempre fatica. Se sommiamo questo agli ultimi due anni di Rossi, da cui ci si aspettava tanto, decidere di passare su quella moto è stato un rischio grosso. Perché, se nei prossimi due anni dovessi fare risultati pessimi, la mia carriera ne risentirà di sicuro».
Non sarebbe stato più saggio restare nel team del 2012?
«Potevo restare con Hervé Poncharal nel team satellite della Yamaha. Ho fatto buoni risultati e ho chiuso la stagione al quarto posto. Ma se vuoi combattere per il titolo devi stare in un team ufficiale, con un’azienda che sviluppa la moto insieme a tè. Solo così puoi giocartela. Con la Ducati c’era questa possibilità ma sono d’accordo che è stato un azzardo. Con Yamaha o Honda devi solo “rifinire” la moto. Questo, invece, è un lavoro diverso, a lungo termine, di almeno due anni».
Quando è stata presa la decisione?
«A luglio. Ero solo a casa mia a Forlì, stavo in piscina e mi telefonò il mio manager. Quando si discute un contratto non si parla solo dell’aspetto economico ma si ponderano tanti altri aspetti, anche tecnici. Lui mi disse che tutto quello che noi chiedevamo era stato accettato. E io sarei diventato un pilota Ducati».
Visto come andava Valentino, quanti le hanno chiesto: ma chi te lo fa fare?
(ride) «E stata una cosa strana. A inizio stagione, quando accennavo a questa possibilità, la mia famiglia e gli amici non ne volevano nemmeno sentir parlare. Ma poi, senza che nemmeno li avvisassi della trattativa, hanno iniziato a dire che poteva essere una buona soluzione per me. Alla fine mi incitavano. Non tutti però».
Chi era contrario?
«I tifosi, più della metà mi ha dato del matto. Mi imploravano: “tutto, ma la Ducati no”. Ci sta perché molti tifosi miei tifano anche Rossi. E vedendo lui in difficoltà non volevano per me la stessa sorte. Mi dicevano: “ti voglio bene, non farlo!”. Ma li capisco, loro non sanno come viene studiato ogni progetto. Io sì».
Commenti dagli altri piloti?
«Nessun pilota ti dirà mai quello che pensa esattamente. Però te lo fa capire con lo sguardo».
Rossi le ha mai detto qualcosa?
«Una volta, durante una riunione dei piloti mi ha detto: “Provaci, magari riesci tu a migliorare la moto”. Ma Valentino è bravo, non è uno che si lascia prendere dall’emotività. Non ti direbbe mai “che cazzata che hai fatto!”».
Magari cosa le voleva dire davvero lo avrà capito dopo il primo giro.
«In effetti il primo giro è stato il momento più difficile. Considerando che ero in Malesia, su una pista che amo, è stato traumatico. Il problema è che non sono riuscito a mascherarlo al rientro ai box. Sono stati tre giorni complicati. Dicono che Sepang sia la pista peggiore per la Ducati, ma di sicuro non mi ero trovato a mio agio. Quando ci siamo tornati per la seconda volta è andata meglio».
Correre per la Ducati è come per un calciatore essere convocato in Nazionale, sente la responsabilità?
«Enorme. È l’unico caso in cui viene prima la moto del pilota. Non è come per la Honda o la Yamaha, in cui i tifosi sostengono più l’atleta che la marca. Quello Ducati è un tifoso molto più difficile da gestire. È un “ducatista”».
Però è una situazione un po’ strana, visto che ora la proprietà Ducati è tedesca (l’Audi) e, calcisticamente parlando, i rapporti tra Italia e Germania non sono mai stati idilliaci.
«In effetti quando ho incontrato i dirigenti tedeschi ho notato subito il “petto in fuori”. L’impostazione è tedesca senza dubbio, ma Bernhard Gobmeier (il nuovo direttore generale di Ducati Corse; ndr) è un tedesco che sorride molto. E gli piace la birra. Anzi, ci piace la birra».
La cosa più matta che le è capitata da quando è in Ducati?
«Durante Wrooom, l’evento che organizza ogni anno la Mariboro con Ferrari e Ducati a Madonna di Campiglio, stavamo facendo la gara coi kart sul ghiaccio. Ero in testa ma poi Alonso mi ha superato in modo sporco a cinquanta metri dal traguardo facendomi girare. Ci stava. Però per me, alla prima uscita in rosso, sarebbe stato un risultatone, invece chiusi quarto. All’inizio della seconda gara, per scusarsi, prima di risalire sui kart Fernando si è inginocchiato davanti a me, mi ha preso il piede e ha fatto finta di lucidarlo, come fanno i calciatori. Non so quanto fosse sincero, però è stata una bella soddisfazione. Il pilota più forte al mondo che fa così perché lo stavo per battere, e chi se lo scorda più».
I tifosi più matti?
«Più che matti, i più fedeli sono i meno obiettivi. Anzi, non lo sono per niente. E così mi trovo a litigarci di brutto perché loro, pur di difendermi, sparano un sacco di cavolate. Si crea una situazione decisamente buffa».
Ma lei, sempre così schietto ed educato, non ha mai voglia di lasciarsi andare?
«Con voi giornalisti devo controllarmi molto. A volte leggo certe cose..;».
Ha mai fatto qualche colpo di testa con la moto, fuori dalle piste?
«Facendo il pilota fin da bambino, non ho mai truccato una moto o uno scooter. Forse questa è la cosa più pazzesca. Vi racconto questa ma premetto che adesso non lo faccio più, soprattutto da quando sono diventato papa di Sarà, che ha quasi tre anni. Ho una macchina, in società con Loris Reggiani: è una Bmw del ’95 preparata per fare drifting (intraversare l’auto, ndr), alleggerita, senza i sedili, insomma è una macchina che non si può usare normalmente (scrivi però che l’assicurazione ce l’ha). Ogni tanto, la sera, andavamo in giro a fare drifting per le rotonde di Forlì. Piuttosto rischioso per due motivi: il primo è che fare questo casino a Forlì significa che, se ti beccano, i carabinieri ti vengono a prendere in un attimo; il secondo è che Reggiani, pur essendo bravissimo a guidare, una cavolata la fa sempre, puoi starne certo».
Follie per una donna?
«Quando avevo 17 anni mi facevo due ore di treno ad andare e due a tornare al giorno solo per incontrare una ragazza che viveva in un’altra città. È andata avanti per oltre un anno».
Follie per la piccola Sara?
«È lei che fa impazzire me. Soprattutto quando stiamo nel lettone. L’espressione che ha quando dorme, la tenerezza quando mi cerca nel sonno e lo sguardo appena si sveglia sono pazzeschi».
Il pilota più matto mai incontrato?
«Troy Bayliss. Ho fatto con lui una gara di supermotard al Motor Show sulla stessa moto. Per me era impensabile vedere come guidava e i rischi che prendeva. Adesso fa una scuola guida per la Ducati, dei miei amici che seguono il suo corso mi hanno confermato che è fuori testa. Troppo simpatico».
L’atleta più matto in generale?
«Il crossista americano Travis Pastrana e Antonio Cassano, mi trasmette proprio simpatia. Mi piacerebbe conoscerlo».
Il matto da non imitare?
«Mi piace per il grande talento e chi lo critica è invidioso, ma Balotelli può migliorarsi nei comportamenti. Da milanista sono felicissimo che sia venuto».
La follia da non fare in moto?
«Mai andare oltre il proprio controllo».
La pazzia che vorrebbe fare?
«Paracadutarmi tra le rocce con la tuta alare. Ma penso di non avere le palle per farlo!».
Questo magari glielo regalerà qualcun altro. Buon compleanno, Andrea.