Enrico Franceschini, D, la Repubblica 13/4/2013, 13 aprile 2013
THERESA CONTRO YVETTE CHI SARÀ LA NUOVA LADY THATCHER?
Una è famosa per le sue scarpe leopardate. L’altra perché ordiva complotti a base di lasagne per conquistare il potere. La prima è soprannominata “la Merkel inglese”; la seconda è l’unica laburista che riusciva a fare andare d’accordo Tony Blair e Gordon Brown. Quella di destra non ha figli e suo marito fa il banchiere nella City. Quella di sinistra di figli ne ha tre e un marito che fa il suo stesso lavoro, il politico: sono anzi l’unica coppia della storia britannica a essere stati contemporaneamente ministri di uno stesso governo. Theresa May e Yvette Cooper, sono insomma due donne che non potrebbero essere più diverse. Eppure una cosa in comune ce l’hanno: vengono entrambe indicate come possibile futuro primo ministro. È addirittura possibile, secondo la stampa nazionale, che siano loro due a sfidarsi quando il Regno Unito tornerà alle urne nel 2015.
Lo scenario è meno fantapolitico di quel che sembri. La May, 56enne attuale ministro degli Interni, è tra i dirigenti più popolari del partito conservatore. Certamente più popolare di David Cameron, leader dei Tories e primo ministro in carica, artefice di un programma di austerity che lo ha fatto precipitare nei consensi - e senza far risalire, almeno per ora, il suo paese dal punto di vista economico. Beninteso, c’è un altro candidato a soppiantare Cameron con un golpe interno al partito, prima delle elezioni, Boris Johnson, il sindaco di Londra. Ma le ambizioni di Johnson sono così scoperte che non è detto vadano a buon fine: è noto che il primo candidato a qualunque poltrona, in politica, non sempre riesce a sedervisi sopra.
La strada della leadership appare impervia anche per la 44enne Cooper, pure lei ministro degli Interni, ma nel governo-ombra dell’opposizione. A capo del Labour oggi c’è infatti Ed Miliband, che l’ha condotto a un solido vantaggio nei sondaggi (38 a 27 per cento) nei confronti dei conservatori. Ma il vantaggio viene più dai demeriti altrui che dai meriti propri, e gli stessi sondaggi dicono che Miliband, personalmente, convince assai meno del proprio partito. Se i consensi calassero, quindi, non si può escludere una sommossa per rimpiazzare il leader prima del voto. E allora la Cooper potrebbe giocare le sue carte. Quello su cui concordano tutti gli osservatori politici inglesi è che entrambe le donne rappresentano una boccata d’aria fresca nei palazzi del potere: appaiono più oneste, pragmatiche e più credibili, proprio perché sono donne. La politica britannica è stata e rimane prevalentemente maschile, dunque sono gli uomini a portare la principale responsabilità della valanga di scandali esplosi in questi anni. Dice un vecchio proverbio: gli scandali dei conservatori sono a base di sesso, quelli dei laburisti a base di soldi. Le donne, in un caso o nell’altro, hanno meno macchie sulla reputazione e sulla coscienza. E il solo fatto che i giornali parlino della May e della Cooper come possibili inquiline di Downing street, dimostra che la Gran Bretagna è matura per un simile passo.
D’altra parte è stata uno dei primi paesi d’Europa ad avere una donna primo ministro, Margaret Thatcher, che lo diventò nel 1979, a 54 anni. Dopo di lei, non è più accaduto. Ma in altri paesi, come l’Islanda o l’Argentina, spesso succede che una donna vada al potere dopo un periodo di crisi, appunto perché trasmette un’immagine di maggiore pulizia e fiducia. La crisi della Gran Bretagna odierna potrebbe propiziare un destino analogo.
Le due potenziali premier britanniche, naturalmente, non sono esenti da critiche. Di Theresa May i maligni dicono che il suo lato più interessante sono le scarpe: di solito leopardate, quasi sempre con tacco alto, scelta che farebbe presumere estrosità di carattere e originalità di spirito, doti che però nessuno ha ancora avuto modo di scoprire in lei. «Sono Theresa May, o forse no», è una battuta che circola, per dire come siano poco conosciute le sue posizioni. «La frequento da 15 anni e non sono ancora riuscito a farmi un’impressione di lei», è la battuta velenosa riferita al Guardian da un suo collega di partito, «e una leader deve avere personalità». Ma anche la Thatcher non sembrava così “lady di ferro”, finché non è arrivata a Downing Street.
Yvette Cooper, al contrario, è accusata dai suoi compagni laburisti di averne anche troppa, di personalità: le si attribuisce un’ambizione sfrenata, perfino più grande di quella del marito, Ed Ball, attuale numero due del partito e braccio destro di Miliband. Furono marito e moglie, al tramonto del governo Brown di cui facevano parte entrambi, a organizzare una serie di cene segrete a casa loro per raccogliere appoggi a una candidatura alla leadership: sebbene non fosse del tutto chiaro se a beneficiarne avrebbe dovuto essere lui o lei. Le cene, comunque, erano a base di lasagne, preparate da lei, da cui il nome di “complotto delle lasagne” che le è rimasto addosso, anche se il complotto non andò a buon fine. Ma almeno nessuno dei commensali si lamentò di avere fatto indigestione.
L’idea che, a ventitré anni di distanza dall’ultima (e unica) premier donna della storia britannica, di candidate premier, presto, ce ne potrebbero essere addirittura due, non deve tuttavia fare credere che in Inghilterra l’altra metà del cielo abbia fatto eccessivi progressi. «Questo è un paese largamente governato dagli uomini», afferma il Center for Women and Democracy in un rapporto intitolato Sex and Power 2013. E le statistiche non lasciano dubbi, in proposito: solo il 14 % dei rettori universitari sono donne, e appena il 15% raggiunge gli alti livelli della magistratura. In politica è più o meno la stessa storia: sono donne il 22% dei parlamentari e il 17% dei ministri o dei sottosegretari. La percentuale è leggermente aumentata per i deputati (le donne sono cresciute del 4% rispetto al 2000), ma in compenso è calata, nella stessa percentuale, la presenza femminile tra i membri del governo. Il partito in cui le donne sono più rappresentate è il Labour, a quota 32%, seguito dai conservatori con il 16 e dai liberal-democratici con il 12. Con cifre simili, oggi la Gran Bretagna è solo al 60esimo posto su 190 paesi del mondo per rappresentanza femminile tra i legislatori; e tra i paesi dell’Europa occidentale, solo l’Irlanda e il principato di Monaco hanno una percentuale più bassa (l’aveva più bassa anche l’Italia, fino alle elezioni del mese scorso).
Ciò non vuol dire che le donne non abbiano fatto progressi nella società britannica. Nel 2013 hanno un livello di istruzione medio più alto di quanto abbiano mai avuto, frequentano l’università in percentuali record, ottenendo anche, in media, voti più alti di quelli degli uomini. Il problema è che poi, una volta entrate nel mercato del lavoro, fanno più fatica degli uomini ad arrivare al vertice, si tratti di business, mondo accademico o politica.
E vengono pagate peggio, il 20% in meno secondo dati del National Management Salary Survey, il che nell’arco di una vita equivale, per esempio a un disavanzo pari a 450 mila euro nel campo dei manager.
Ma una donna inglese è arrivata al top, e da oltre sessant’anni nessuno glielo toglie, ovviamente, la regina Elisabetta, sul trono dal 1952, sempre con i massimi indici di gradimento popolare. C’è lei al primo posto, in un recente sondaggio della Bbc sulle 100 donne più potenti del regno: cosa non sorprendente, forse, ma è una delusione per quante aspirano a dimostrare che anche per le donne è arrivato il momento di comandare, e vorrebbero vedere volti nuovi anche nei piani alti della politica. Così al numero due della medesima graduatoria, c’è Theresa May, e un po’ più in basso c’è anche Yvette Cooper. Chissà se prima o poi rivedremo la “Merkel inglese” o la cuoca del “complotto delle lasagne” a Downing Street?