Luca Bergamin, SW 6/4/2013, 6 aprile 2013
LA MIA VITA? UNA MARATONA SENZA FINE
Mi riconoscerà dagli occhiali con la montatura spessa e il cappello colonico a falde larghe». Ore 5.30 del mattino, nella hall dell’Hotel Dan Panorama di Tel Aviv, che sorge proprio a fianco del la linea di partenza della maratona, Shaul Ladany arriva puntuale. Ed è impossibile non riconoscerlo. La sua tenuta da runner-marciatore è effettivamente in confondibile. E soprattutto c’è già un capannello di persone a stringere la mano a questa leggenda vivente di Israele. Anche perché “toccare” il 77enne professore di ingegneria industriale alla Ben-Gurion University del Negev, che parla 9 lingue, è autore di 8 brevetti e 13 libri (In Italia, Andrea Schiavon gli ha dedicato una biografia intitolata Cinque cerchi e una stella, ADD Editore), porta bene. «Quando una persona sopravvive al campo di concentramento di Bergen-Belsen, scampa a un attacco terroristico efferato come quello che uccise 11 componenti della nazionale israeliana nel villaggio olimpico di Monaco ’72, non può che ammettere di avere una buona stella. Io, però, preferisco considerarmi una persona ottimista».
È vero che è sopravvissuto “anche” a un quasi incidente aereo e ad alcuni linfomi cancerogeni alla pelle?
«Cinque anni fa il mio aereo diretto a Berlino in volo ha accusato la rottura di un motore, siamo riusciti a tornare indietro appena in tempo a Tel Aviv. Mi hanno estratto un nodulo cancerogeno dalla gamba. Ma sto benissimo, corro ancora».
Sarà molto religioso...
«Tutt’altro! Sono ateo. Non credo in niente altro che nelle mie gambe. Corro 5 mila chilometri all’anno. Certo, nel ’72 sono arrivato a 20 mila, però non mi lamento. Penso che in 77 anni di vita io abbia per corso mezzo milione di chilometri».
A 77 anni qual è il suo tempo medio sulla maratona?
«Diciamo intorno alle sei ore. Ora sono più lento, e magari il mio passo sembra più goffo. Però le assicuro che la soddisfazione di terminare una gara sulla lunga distanza è la stessa di sempre. Ho un piede che mi fa male, ma lo fascio e parto. Sul percorso tantissime persone mi fermano per complimentarsi. È una gioia unica condividere una maratona».
Allora, Shaul, non le dispiace se corriamo un po’ insieme nella sua Tel Aviv?
«Niente affatto. Però la devo avvertire: le racconterò molte barzellette e storielle».
Nessun problema. La nostra sola paura è non riuscire a tenere il suo passo...
«Nella vita non bisogna avere paura di nulla. È il mio karma da quando la Luft waffe nazista bombardò la nostra casa di Belgrado e io e la mia famiglia cominciammo a scappare e nasconderei, fino a finire in un monastero di Budapest».
Aveva otto anni quando fu internato nel lager di Bergen-Belsen.
«Io ricordo tutto. La gente mi chiede come sia possibile, visto che ero un bambino, ma ho una memoria formidabile. Come puoi, del resto, dimenticare le ore trascorse in lunghe file al freddo e sotto la neve e la pioggia per l’appello interminabile dei prigionieri? Le guardie del campo erano terribili in matematica».
Lei ha fatto spostare i... confini del lager di Bergen-Belsen.
«Di ritorno da una conferenza in Scandinavia, in automobile con mia moglie, vicino ad Hannover, vidi il cartello strada le che indicava il memoriale di Bergen-Belsen. Volli andarci. C’era una mappa del lager all’interno del museo che non corrispondeva al vero confine. Lo dissi al manager, che mi chiese come potessi saperlo. Andò a prendere le foto aeree e al la fine mi diede ragione».
Lei ricorda persino i soprannomi dei soldati di guardia alla sua baracca.
«Labbro tagliato e Braccio di ferro. Impossibile dimenticare quelle voci».
C’è chi viene schiacciato da un’esperienza così dura. Lei invece ha saputo mettersela alle spalle.
«Merito della mia immensa forza di volontà. Volevo finire la scuola ma non sapevo l’ebraico, così lo imparai. Volevo diventare ufficiale dell’esercito e ho preso parte alla Guerra dei Sei Giorni, poi laurearmi in ingegneria, conseguire un master e un dottorato, fare carriera nell’università. Io non ho mai mollato. Mai».
I tecnici federali inizialmente la scartarono per il fisico troppo gracile.
«In Israele in tanti avevano un passato da prigioniero di un campo di concentramento. Non si poteva pretendere un atteggiamento pietistico solo per questo motivo. Ero esile. E poco aggraziato. Ma io volevo correre. Così andai a studiare alla Columbia University, dove iniziai ad allenarmi sulle lunghe distanze. Conquistai il record statunitense sulle 50 miglia. Il mio primato mondiale di 7h 50’ 35” è imbattuto dal 1972!».
Nel 1968, a 32 anni, in un’età piuttosto avanzata per uno sportivo, ha partecipato alla sua prima Olimpiade, quella di Città del Messico.
«Mi classificai 24° nella 50 km di marcia. Un grande risultato se penso che quella disciplina in Israele la praticavo solo io. Lo sport nel nostro Paese, afflitto da continue guerre e scontri per i confini del territorio, era una cosa secondaria. Alle prime maratone negli Anni 60 ai nastri di partenza eravamo sei persone. Adesso corriamo in cinquantamila».
Parliamo di Monaco ’72: lei è rimasto l’unico tra i sei sopravvissuti ancora in vita. Come si salvò?
«Avevo appena gareggiato sui 50 km piazzandomi 19°. Il Commando dei terroristi palestinesi, che si era introdotto in un villaggio olimpico a quei tempi non custodito a differenza di oggi, aveva at taccato a sandwich il primo e il terzo appartamento, noi eravamo nel secondo. Forse sapevano che noi marciatori eravamo armati. All’inizio pensammo fosse uno scherzo, poi saltammo dal balcone, strisciammo carponi sul prato e così la sciammo la nostra palazzina».
Ha corso da ultrasettantenne la 300 km da Parigi a Bruxelles, ha fatto per 50 volte la famosa traversata a nuoto del Mare di Galilea, è stato il più anziano partecipante alla 100 miglia di Ashtabula in Ohio: ci svela il segreto della sua longevità agonistica?
«Sono vegetariano sin da bambino, mangio solo carboidrati nei tre giorni precedenti la maratona. Nel mio giardino ho montato una palestra su cui mi arrampico, ogni giorno corro sotto il sole del Deserto del Negev spalmandomi chili di crema solare. Ma... ecco il traguardo. La saluto, devo andare al mercatino».
Shaul, ma non è stanco? Dove va?
Al mercatino delle pulci di Jaffa. Colleziono i telefoni con salvadanaio incorporato che le compagnie di assicurazioni israeliane regalavano negli Anni 20 a chi stipulava le polizze. Ci vediamo alla prossima maratona. Magari a Milano».