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 2013  aprile 14 Domenica calendario

MI SONO ISCRITTO ALL’UNIVERSITA’ ON LINE

L’insegnante si chiama Pat Pattison, ha ricci brizzolati e occhi acquosi blu fiordaliso. Indossa un chiodo nero con sotto una maglietta dello stesso colore. L’unica cosa che non ho capito, pur avendolo osservato attentamente per sei settimane, è se sia alto oppure no. La telecamera l’ha sempre inquadrato dal busto in su. Sì perché il corso di composizione (di canzoni) al Berklee College of Music di Boston l’ho seguito online. Per la maggior parte da Roma, un po’ in viaggio tra Illinois e Wisconsin, quindi da Alcamo in Sicilia per finire con Nicosia, a Cipro. Se anche avessi visto in faccia i miei compagni di classe non me li sarei mai ricordati: la prosopagnosia non c’entra, è che erano oltre sessantamila. Nomadismo e virtualità non sembrano aver nuociuto all’apprendimento. Benvenuti nel fantastico mondo dei Mooc, i
dove un prof da solo fronteggia a distanza eserciti sconfinati di studenti d’ogni nazionalità.
Per alcuni pedagoghi questa evoluzione quantitativa è l’inizio della fine: si perde il rapporto individuale con l’insegnante e non c’è alcun contatto umano con gli altri allievi. Per altri, invece, è questa l’utopia realizzata dell’istruzione superiore finalmente democratica. A patto che abbia una connessione a Internet, il proverbiale ragazzino africano potrà frequentare
non tanto la voluttuaria Harvard della musica a cui chi scrive si è iscritto, ma ben più cruciali insegnamenti che altrimenti gli sarebbero stati preclusi. I centomila iscritti al corso di “linguaggio macchina” di Andrew Ng («Ci avrei messo duecentocinquanta anni a raggiungerne altrettanti dal vivo») ne sono una riprova. Docente di informatica a Stanford è anche Daphne Koller, che con lui ha fondato giusto un anno fa Coursera, il consorzio che ha convinto atenei prestigiosi (e carissimi) come Columbia, Princeton e decine di altri a offrire gratis e online oltre 370 corsi. E che ha già superato la soglia dei 3,2 milioni di iscritti, ovvero quasi il doppio dell’intera popolazione universitaria italiana.
I corsi via Internet sono tutto meno che una novità. Nel ’98 la University of Phoenix, in Arizona, fu una delle pioniere con (allora) tremila iscritti. Adulti, perlopiù, che di giorno lavoravano. Ma tra la vecchia idea e la nuova esecuzione c’è uno scarto significativo che spiega il successo di Coursera.
Ecco, in breve, come funziona. Per prima cosa vi iscrivete, con email e password, e scegliete un corso. Un paio di settimane prima dell’inizio vi arrivano i materiali in digitale, comprese eventuali dispense dell’insegnante.
Il programma è diviso in settimane. Le videolezioni, generalmente in inglese (ma anche in altre lingue, compreso un corso sulla meccanica quantistica in italiano), durano sui 10-15 minuti. Per fissarli meglio, i concetti chiave vengono “scritti” sul video. E per essere sicuri che
non vi perdiate alcuno snodo fondamentale, la spiegazione viene più volte interrotta e non procede se prima non rispondete correttamente ad altrettanti quiz a risposta multipla. Sembra una stupidaggine, è un colpo di genio. Come i riassuntini alla fine di ogni capitolo nella migliore tradizione della manualistica americana.
Dopo la videolezione c’è da dimostrare che è davvero tutto chiaro. Le prove a risposta multipla sono corrette da un software che vi dà subito i risultati. Il problema più grosso riguardava i test a risposta aperta: chi avrebbe potuto correggere, gratis, diecimila o centomila compiti? «La soluzione che abbiamo trovato» spiegava la professoressa Koller al Ted di Edinburgo, «è quella di farli correggere agli studenti stessi. E, per quanto sembri ardito, funziona. Da nostri studi, statisticamente, la media delle valutazioni di cinque o più “pari” risulta addirittura più affidabile di quella di un singolo professore, magari stanco o di cattivo umore». Prima di smettere di leggere inorriditi, pensate a
Chi avrebbe mai potuto credere che un’enciclopedia autogestita, dove ognuno può dire la sua, avrebbe di fatto raggiunto (tre errori per voce contro quattro) l’autorevolezza della
Quindi gli altri correggono te e tu correggi gli altri. Se non lo fai, per egoismo o mancanza di tempo, ti decurtano il venti per cento dei voti che hai preso. E sebbene pochissimi corsi diano per il momento crediti per una laurea, un attestato finale con un punteggio alto, magari da Stanford, vi
fa fare la vostra bella figura. Per chi ha dubbi e vuole interagire con gli altri studenti, può farlo nel forum: considerati i vari fusi e la vastità delle classi, non dovrete attendere molto per una risposta.
Cosa ci guadagniamo noi studenti è chiaro, ma loro, le università? Perché dare gratis una fetta della torta che a cose normali fanno pagare varie decine di migliaia di dollari l’anno? «Da gennaio abbiamo inaugurato un canone, da 30 a 100 dollari, per ricevere un attestato finale che verifichi l’identità dello studente. Un micropagamento che, moltiplicato per i nostri numeri, può diventare macro. Altri soldi li facciamo lasciando consultare il database degli allievi a potenziali datori di lavoro. Inoltre — è sempre la Koller a parlare — per le università è un investimento sull’immagine».
Nell’ultima settimana di lezioni ricevo una email da Pat che, prima di diventare una autorità del songwriting aveva studiato filosofia e insegnato logica: «Il corso di Coursera volge al termine, ma se volete continuare online al Berklee College avete diritto a uno sconto di 300 dollari». Su una retta da 1200-1400. Gli antipasti servono a mettere appetito. E alto o basso che sia, quando parla di prosodia o di rime, di strofe o ritornelli, di stabilità o instabilità dei versi, spiega alla grande. L’anno prossimo date un’occhiata ai crediti di Sanremo. Se mi vedrete apparire, saprete sin da ora chi dovrò ringraziare.
Il dibattito sull’istruzione superiore online si concentra spesso sulla differenza che c’è tra mettere in Rete i materiali didattici rispetto ai pregi dell’insegnamento de visu Esistono anche molte altre domande in sospeso Ad esempio che beneficio possono ricavare gli studenti da corsi che non assegnano crediti. Oppure: che futuro hanno gli atenei tradizionali Sono punti da non trascurare Ma c’è un aspetto fondamentale che gli esperti spesso lasciano in secondo piano, ed è il problema dell’accesso. Per milioni di persone in tutto il mondo, la scelta non è tra frequentare l’università tradizionale e frequentare i corsi online, tra vedere una lezione di persona e guardarla dal computer Per molti studenti la scelta è tra un’istruzione online e nessuna istruzione.