Emanuela Audisio, la Repubblica 14/4/2013, 14 aprile 2013
MARACANÃ UNA NUOVA VITA PER IL TEMPIO DEL GOL
RIO DE JANEIRO
Non urlerà più come prima, gli hanno tappato la bocca. Ora è a dieta, a peso ridotto, tecnologia light. Era lo stadio più obeso del mondo: corpo, fiato, circonferenza. Aveva sempre fame, ingrassava sogni, ingoiava illusioni. Tondo da fare paura, infatti la metteva. Nilton Santos lo chiamò la pentola a pressione: «Ti fa scoppiare i nervi». Per altri, il più grande museo a cielo aperto: il Ventesimo secolo raccontato dal basso, ma giocato dall’alto. Per niente snob, anzi popolare, costruito al posto di un vecchio Jockey club, tra le favelas di Turano e Mangueira, dove s’incrosta la salsedine. Ingresso aperto a tutti, in piedi sempre posto, figurarsi sul tetto. Il nome da un fiume che scorreva lì sotto e da una specie di pappagalli: Maracanã.
Lo costruirono in 665 giorni: dal 2 agosto ’48 al 16 giugno ’50. Diecimila operai, diecimila tonnellate di acciaio, ottantamila metri cubi di cemento. Il Brasile giocava in casa e doveva fare bella figura ai Mondiali.
O estadio dos reis, chiaro. Nessuno aveva mai visto uno stadio così grande: 165 mila spettatori, il primo a due anelli. Una cattedrale per fedeli, le vene aperte dell’America Latina. La prima partita toccò a chi ci aveva messo le mani: ingegneri- operai. Il primo gol lo segnò Didi al nono minuto di un’inaugurale Rio-San Paolo e chissà se era una
folha seca, la sua specialità. Pelè nel ’61 contro il Fluminense ci ballò con la palla in maniera favolosa: scartò sette avversari, pure il portiere Castilho. Per i suoi compagni: «una nave che faceva slalom tra le onde». Per chi si abbandonò alla bellezza: «un fulmine nero che squarciò il cielo». Ne avrebbe fatti 1.282 in carriera, ma quello era troppo bonito, infatti il giorno dopo ci misero una targa. Otto anni dopo, nel ’69, arrivò il gol numero mille con un rigore contro il Vasco.
Il Maracanã era democratico: serviva re e regine, donne e bambini, s’inchinava agli dei, ma si piegava agli uomini e al loro furore. Si fece un gran silenzio quel pomeriggio del ’50, quando la palla finì nella rete sbagliata, a undici minuti dalla fine. Quel giorno il Brasile doveva vincere, l’Uruguay perdere e Ghiggia voleva solo crossare, invece venne fuori un tiro sbilenco, Barbosa si tuffò, la palla entrò, l’Uruguay diventò campione (2-1). E lo stadio una tomba disperata: 173.850 paganti, 199.854 presenti.
Maracanaço: il disastro del Maracanã. Si sarebbe pure vantato Ghiggia: «Solo tre persone sono riuscite a zittire quello stadio: Sinatra, il Papa e io».
A Rio l’antropologia la studiavi lì, in tutta la sua purezza. Le metamorfosi dell’uomo con la palla al piede, il carnevale del gol. Puskas e Di Stefano, maestri esteri. Il Santos che batte 4-2 il Milan di Mora e di Maldini sotto la pioggia e il frastuono di duecento tamburi. La magnifica rovesciata di Pelè nel ’65 contro il Belgio e il suo lungo addio nel ’71, quando uscì a torso nudo, dallo stadio e da un’epoca, senza segnare, non ne aveva più bisogno, perché il titolo di O Rei era ormai eterno. Il Maracanã, casa degli dei, pure di quelli storti: lì Garrincha nel ’62 con la maglia del Botafogo fu se stesso per l’ultima volta, prima di finire a dribblare alcol e osterie. Nel ’64 lo stadio viene intitolato al giornalista Mario Filho, ma è solo una formalità. Nel ’65 Bob Kennedy scende nello spogliatoio per dare la mano a Pelè, mezzo nudo e insaponato. Ci va anche la regina Elisabetta nel ’68, mettono orchidee, lavano le tribune con schiuma di cocco e non le traducono le parolacce.
Zico negli anni Ottanta ne fece il suo territorio: viesordìaundicianniedanumero10tiròfuoril’artiglieria, 333 gol in 435 incontri, sei in una sola partita, con la maglia del Flamengo. Carlos Alberto Parreira detto
O Comandanteci vinse i primi titoli importanti con il Fluminense a ritmo di centotrentamila spettatori a partita. La prima volta del dottor Socrates, a venticinque anni, ancora Magrão e incerto sulla sua cicuta, con la maglia della nazionale nel ’79 davanti a sessantamila tifosi. Nell’89 il primo inganno: Brasile-Cile 1-0, gol di Careca, al 69’ il portiere avversario Antonio Royas cade a terra, le mani alla testa, il volto insanguinato, pare colpito da un petardo. Il Cile lascia il campo, ma è solo una farsa a base di mercurio cromo, che verrà punita, mentre Rosemary, la ragazza che ha tirato il fumogeno, finirà su Playboy.
Se il pomeriggio assassino del ’50 uccise speranze, fece assai male quello del 19 luglio ’92, finale Botafogo-Flamengo: cede una recinzione per il troppo peso, mezz’ora dopo l’inizio. Due morti e centinaia di feriti.
Il Maracanã non si è perso una rivalità: Zico contro Robeto Dinamite, Romario contro Bebeto. Gli anni Sessanta del Botafogo, gli anni Ottanta di Flamengo e Fluminense, i Novanta del Vasco. Il Corinthians ci ha venduto 146.043 biglietti: nel ’76 l’incasso più alto, accompagnato da 120 mila bottiglie di birra, 80 mila soda, 65 persone bruciate da petardi. Numeri da capogiro, torcidas di tutti, miseria e nobiltà. Venti partite che hanno fatto la storia: clima torrido, 36 gradi, i tifosi avversari che vanno a rinfrescarsi nell’oceano e arrivano con i vestiti bagnati, accolti al grido di caipiras, terroni, con il Botafogo che per superstizione gioca con le maniche lunghe. Nomi, cognomi, soprannomi: Dario, Jairzinho, l’Uragano, Kleberson, Marito, l’angelo biondo, Gerson, Tobias Amarildo, Rivelino, Gilmar, Evaldo, Rondinelli, Renato Gaucho, Harlei, Carlos Miguel, Zenon, Chico Spina, Liminha, Pinga Pernambuquinho, il Pelè bianco, Kakà, Dinho, Ronaldo, il Fenomeno.
Al Maracanã è entrato di tutto: croci, rosari, Bibbie, santini, whisky, sigari, sesso di coppia e di gruppo. Lo ha dichiarato Romario detto BBB: «Ogni volta che la mia ragazza ne aveva voglia e pure insieme ad altri». Baixino Bom de Bolagò, mille gol, basso, ma svelto, se ne intende: nel ’93, dopo la lite con Zagallo e Parreira, rientra contro l’Uruguay e con la nazionale che mancava dal Maracanã da tre anni e quattro mesi. E ne segna due.
Non solo calcio: in cinquantamila per gli Harlem Globetrotters nel ’51 e per tutto quello che fa sentimento. Frank Sinatra nel 1980 non crede ai suoi occhi: 175mila persone solo per lui, altro che febbre del sabato sera. The Voice aveva già 64 anni, la pioggia smise sette minuti prima che il suo show iniziasse, venti canzoni, un’ora e mezza di spettacolo.
Strangers in the Night: Frank non si ricorda le parole, la gente si mette a cantare in inglese, «Something in your smile was so exciting». E lui al microfono: «Non avrò mai più una folla così». Poi pioggia e lacrime. Nel luglio ’80 la prima messa di un Papa in Brasile con Giovanni Paolo II. Religioni mischiate, passione e passioni,
saudadee sensualità. Le più belle gambe mai apparse sul prato del Maracanã, quelle della Private Dancer: in 180 mila nell’88 per Tina Turner.
Simply the best, mai nessuna donna ha raccolto così tanta gente in una notte. E nel ’90 Paul McCartney: era solo Yesterday, altro record per un cantante solista, 184 mila spettatori. Anche Madonna (nel ’93), Rolling Stones, Police, e Roberto Carlos che deve aspettare mezzo secolo per straziare il cuore del Maracanã, ma finalmente ci riesce nel luglio 2009.
Il mito però è in rovina. Troppo vecchio, la sua grandezza è ormai cellulite. I restauri e i rattoppi ai sedili non bastano. Si parla di buttarlo giù e di venderlo a pezzi. Pelè insorge: come fai a uccidere chi ti ha fatto nascere, crescere, vivere? Nel 2010 lo stadio chiude per ristrutturazione. L’anno prossimo il Brasile ospiterà i Mondiali di calcio. La finale si giocherà nel nuovo Maracanã. Più magro, più moderno, più attento al riciclo. Meno tondo, più ellittico. Capacità ridotta a 76 mila, sedili (pieghevoli) più larghi, anello inferiore sollevato di cinque metri, cinquantamila metri quadrati di copertura con pannelli fotovoltaici, duecentotrenta bagni che ricicleranno l’acqua piovana, nove rampe di accesso, flusso di uscita in otto minuti. Intanto però giocano le polemiche: sui costi saliti a quattrocento milioni di euro, sulle irregolarità, sui ritardi, sul fatto che dopo i temporali lo stadio si allaga e diventa Piscinao.
Una prima ufficiosa mini-inaugurazione sarà il 27 aprile con una partita tra amici di Ronaldo e quelli di Bebeto, massimo ventimila spettatori, riservata alle maestranze del restyling. Il 2 giugno la riapertura ufficiale con l’amichevole Brasile-Inghilterra. Da tempio a tempietto: dopo sessant’anni di vizi. Per una fede più comoda e ripulita dai ricordi.